Dalla rivoluzione urbana alla storia degli Ebrei
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28 Dicembre 2019
“La schiena di Parker” di Flannery O’Connor racconta la storia di Obadiah Elihue Parker, un giovane che, da adolescente, rimane affascinato da un uomo completamente tatuato che vede alla fiera di paese.
Parker si mise a sedere ma rimase sul bordo del tavolo.
L’artista era soddisfatto del suo lavoro e voleva che Parker lo guardasse subito. Parker invece continuava a sedersi sul bordo del tavolo, leggermente piegato in avanti ma con lo sguardo vacuo. “Cosa ti succede?” ha detto l’artista. “Vai a guardarlo.”
“Non ho niente”, disse Parker con voce improvvisamente belligerante. “Quel tatuaggio non porterà da nessuna parte. Sarà lì quando arriverò lì. Prese la maglietta e cominciò a indossarla con cautela.
L’artista lo prese bruscamente per un braccio e lo scagliò tra i due specchi. “Ora guarda”, disse, arrabbiato per il fatto che il suo lavoro fosse ignorato.
Parker guardò, impallidì e si allontanò. Gli occhi del volto riflesso continuavano a guardarlo: immobili, dritti, esigenti, chiusi nel silenzio.
“È stata una tua idea, ricorda”, ha detto l’artista. “Avrei consigliato qualcos’altro.”
Parker non disse nulla. Si mise la maglietta e uscì dalla porta mentre l’artista gridava: “Mi aspetto tutti i miei soldi!”
Parker si diresse verso un negozio di articoli di imballaggio all’angolo. Comprò una pinta di whisky, la portò in un vicolo vicino e la bevve tutta in cinque minuti. Poi si spostò in una sala da biliardo vicina che frequentò quando arrivò in città. Era un locale ben illuminato, simile a un fienile, con un bar su un lato e macchine da gioco sull’altro e tavoli da biliardo sul retro. Non appena Parker entrò, un omone con una camicia a scacchi rossa e nera lo salutò dandogli pacche sulla spalla e urlando: “Sììììì ragazzo! O. E. Parker!»
Parker non era ancora pronto per essere colpito alle spalle. “Lascia perdere”, ha detto, “ho un nuovo tatuaggio lì.”
“Cos’hai ottenuto questa volta?” chiese l’uomo e poi urlò ad alcuni contro le macchine. “O.E. gli ha fatto un altro tatuaggio.”
“Niente di speciale questa volta”, disse Parker e si avvicinò furtivamente a una macchina che non veniva utilizzata.
“Andiamo”, disse l’omone, “diamo un’occhiata al tatuaggio di O.E.”, e mentre Parker si dimenava tra le loro mani, loro gli tirarono su la maglietta. Parker sentì tutte le mani cadere subito e la sua camicia ricadde come un velo sul viso. C’era un silenzio nella sala da biliardo che a Parker sembrò estendersi dal cerchio attorno a lui fino a estendersi fino alle fondamenta sotto l’edificio e verso l’alto attraverso le travi del tetto.
Alla fine qualcuno disse: “Cristo!” Poi tutti cominciarono a fare rumore contemporaneamente. Parker si voltò, con un sorriso incerto sul volto.
“Lascia fare a O.E.!” disse l’uomo con la camicia a scacchi. “Quel ragazzo è una vera carta!” “Forse se n’è andato e ha preso la religione”, ha urlato qualcuno.
“Non in vita tua”, ha detto Parker.
“O.E. ha una religione e testimonia Gesù, vero, O.E.?” disse ironicamente un omino con un pezzo di sigaro in bocca. “Un modo originale per farlo, se mai ne avessi visto uno.”
“Lascia che sia Parker a pensarne uno nuovo!” disse l’uomo grasso.
“Sìiiiiiiiii ragazzo!” qualcuno urlò e tutti iniziarono a fischiare e imprecare in segno di complimento finché Parker non disse: “Aaa stai zitto”.
“Per cosa lo hai fatto?” qualcuno ha chiesto.
“Per ridere”, ha detto Parker. “Che ti importa?”
“Perché non ridi allora?” qualcuno gridò. Parker si lanciò in mezzo a loro e, come un turbine in un giorno d’estate, iniziò una rissa che infuriò tra tavoli rovesciati e pugni agitati finché due di loro lo afferrarono, corsero con lui alla porta e lo buttarono fuori. Poi una calma scese sulla sala da biliardo, sconvolgente, come se la lunga stanza simile a un fienile fosse la nave dalla quale Giona era stato gettato in mare.
Parker rimase seduto a lungo per terra nel vicolo dietro la sala da biliardo, esaminando la sua anima. La vedeva come una ragnatela di fatti e di bugie che per lui non erano affatto importanti ma che nonostante la sua opinione gli sembravano necessarie. Gli occhi che ora erano per sempre sulla sua schiena erano occhi a cui obbedire. Ne era sicuro come non lo era mai stato di nulla. Per tutta la vita, lamentandosi e a volte imprecando, spesso spaventato, una volta in estasi, Parker aveva obbedito a qualunque istinto di questo tipo gli fosse venuto in mente: in estasi quando il suo spirito si era sollevato alla vista dell’uomo tatuato alla fiera, spaventato quando lui si era arruolato in marina, brontolando quando aveva sposato Sarah Ruth.
Il pensiero di lei lo fece alzare lentamente in piedi. Avrebbe saputo cosa doveva fare. Avrebbe chiarito il resto e almeno ne sarebbe stata contenta. Gli sembrava che, da sempre, questo fosse ciò che voleva, compiacerla. Il suo camion era ancora parcheggiato davanti all’edificio dove aveva la sua casa l’artista, ma non era lontano. Salì a bordo e partì di notte dalla città per la campagna. La sua testa era quasi libera dall’alcol e osservò che la sua insoddisfazione era scomparsa, ma non si sentiva del tutto se stesso. Era come se fosse se stesso ma un estraneo a se stesso, mentre guidava in un nuovo paese anche se tutto ciò che vedeva gli era familiare, anche di notte.
Alla fine arrivò alla casa sull’argine, fermò il camion sotto l’albero di noci pecan e scese. Fece tutto il rumore possibile per affermare che lì comandava ancora lui, che lasciarla per una notte senza dire altro era il modo in cui lui faceva le cose. Sbatté la portiera della macchina, salì i due gradini e attraversò il portico e fece tintinnare la maniglia della porta. Non ha risposto al suo tocco. “Sara Ruth!” urlò: “fammi entrare”.
La porta non aveva serratura ed evidentemente aveva appoggiato lo schienale di una sedia contro la maniglia. Cominciò a battere sulla porta e allo stesso tempo a far tremare la maniglia.
Sentì cigolare le molle del letto, si chinò e avvicinò la testa al buco della serratura, ma era tappato con della carta. “Fammi entrare!” urlò, picchiando di nuovo sulla porta. “Per quale motivo mi hai rinchiuso?”
Una voce tagliente vicino alla porta disse: “Chi c’è?” “Io”, disse Parker, “O.E.”
Aspettò un momento.
“Io”, disse con impazienza, “O.E.” Ancora nessun suono dall’interno.
Provò ancora una volta. “O.E.” disse, sbattendo la porta altre due o tre volte. “O. E. Parker. Sai chi sono.”
Ci fu un silenzio. Poi la voce disse lentamente: “Non conosco nessun O.E.”
“Smettila di fare sciocchezze”, implorò Parker. «Non hai niente da fare con me in questo modo. Sono io, vecchio O.E., sono tornato. Non hai paura di me.”
“Chi è là?” disse la stessa voce insensibile.
Parker girò la testa come se si aspettasse che qualcuno dietro di lui gli desse la risposta. Il cielo si era schiarito leggermente e c’erano due o tre strisce gialle fluttuanti sopra l’orizzonte. Poi, mentre era lì, un albero di luce esplose all’orizzonte.
Parker ricadde contro la porta come se fosse stato inchiodato lì da una lancia.
“Chi è là?” disse la voce dall’interno e adesso c’era qualcosa in questo che sembrava definitivo. La maniglia tremò e la voce disse perentoria: “Chi è lì, ti chiedo?”
Parker si chinò e avvicinò la bocca al buco della serratura imbottito. “Abdia”, sussurrò e all’improvviso sentì la luce riversarsi dentro di lui, trasformando la sua anima di ragno in un perfetto arabesco di colori, un giardino di alberi, uccelli e bestie.
“Abdia Elihue!” lui ha sussurrato.
La porta si aprì e lui entrò barcollando. Sarah Ruth incombeva lì, con le mani sui fianchi. Cominciò subito: «Quella per cui lavoravi non era una donna bionda e robusta e dovrai pagarle ogni centesimo del trattore che hai rotto. Non mantiene l’assicurazione su di esso. È venuta qui e io e lei abbiamo fatto una lunga chiacchierata e io…”
Tremando, Parker cominciò ad accendere la lampada a cherosene.
“Che cosa ti succede, sprechi quel cherosene così vicino alla luce del giorno?” chiese. “Non devo guardarti.”
Un bagliore giallo li avvolse. Parker posò il fiammifero e cominciò a sbottonarsi la camicia.
“E non avrai niente di me stamattina”, disse.
“Chiudi la bocca”, disse tranquillamente. “Guarda questo e poi non voglio più sentirti dire.” Si tolse la maglietta e le voltò le spalle.
“Un’altra foto”, ringhiò Sarah Ruth. “Avrei potuto sapere che eri fuori dopo esserti messo addosso un po’ più di spazzatura.”
Le ginocchia di Parker si incavarono sotto di lui. Si voltò e gridò: “Guardalo!
Non dirlo e basta! Guardarlo!” “Ho guardato”, ha detto.
“Non sai chi è?” gridò angosciato.
“No, chi è?” Ha detto Sarah Ruth. “Non è nessuno che conosco.” “È lui”, ha detto Parker.
“Lui chi?”
“Dio!” Parker pianse.
“Dio? Dio non ha quell’aspetto!”
“Che ne sai del suo aspetto?” Parker gemette. “Non l’hai visto.” “Non guarda”, ha detto Sarah Ruth. “È uno spirito. Nessun uomo vedrà la sua faccia”. “Aw ascolta”, gemette Parker, “questa è solo una sua foto.”
“Idolatria!” Sarah Ruth urlò. “Idolatria! Infiammarti di idoli sotto ogni albero verde! Posso sopportare la menzogna e la vanità, ma non voglio nessun idolatra in questa casa!” e lei afferrò la scopa e cominciò a colpirlo sulle spalle.
Parker era troppo sbalordito per resistere. Si sedette lì e lasciò che lei lo picchiasse finché non lo fece quasi perdere i sensi e sul volto del Cristo tatuato si formarono grandi lividi. Poi si alzò barcollando e si diresse verso la porta.
Batté la scopa due o tre volte sul pavimento, poi andò alla finestra e la scosse per toglierne la macchia. Tenendolo ancora stretto, guardò verso l’albero di noci pecan e i suoi occhi si indurirono ancora di più. Eccolo lì – che si faceva chiamare Obadiah Elihue – appoggiato all’albero, piangendo come un bambino.
Audio Lezioni sulla Letteratura del novecento del prof. Gaudio