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6 – sesta parte de Langolo dei tesori – Una proposta multimediale” per rivedere insieme il percorso della Storia europea: L’Alto Medioevo
di Cristina Rocchetto
6. Una proposta multimediale” per rivedere insieme il percorso della Storia europea:
La volta scorsa abbiamo iniziato a dipingere un disegno fatto di macchie verdi punteggiate da castelli, abbazie e pochi centri urbani. Siamo nel X secolo: l’Impero carolingio non esiste più a causa delle tendenze secessioniste dei nobili rafforzate dalla continua minaccia delle invasioni del IX secolo; il tentativo di Carlo Magno di creare un potere centrale è fallito nel giro di pochissime generazioni e chi voglia ricreare un centro” del potere ha l’esperienza fallimentare dei Carolingi alle spalle. Si trattava ora di non ripetere gli stessi errori.
Quale era dunque stata la debolezza del sistema di Carlo Magno? Sicuramente, il non avere una solida struttura che unisse il centro” (rappresentato dalla sua Corte e dalla sua persona) alla periferia” del suo Impero: Carlo Magno non aveva, come aveva invece la Corte bizantina, un forte apparato burocratico direttamente dipendente dal sovrano, anche perché in Occidente non esisteva più una classe media di persone libere sul quale quello avrebbe potuto fondarsi, ma tre Stati”, tre ceti sociali”: i religiosi, il cui compito è pregare (ma i vescovi già da tempo amministrano di fatto i centri urbani in cui risiedono – anche sulla scia della tradizione sancita dalla Prammatica Sanzione giustinianea; e le grandi abbazie si trovano ad amministrare porzioni sempre maggiori delle terre che le circonda); i combattenti, guidati da capi militari che sono i nobili a cui Carlo si era appoggiato, cedendo come beneficio” delle terre che loro però avevano ormai preso l’abitudine di sentire come proprie anche a causa del privilegio delle immunità” (che rendeva il feudatario absolutus”, sciolto, immune dall’obbligo di rispettare alcune direttive imperiali nel suo territorio e di applicarvi invece le sue); ed un terzo gruppo di persone che non sono né questo né quello, ma sudditi e servitori. Volendo visualizzare il contesto in cui visse il primo Imperatore carolingio, rispetto a quello fatto la volta scorsa il nostro disegno cambierebbe di poco: estese selve; pochi castelli/fortezze a protezione soprattutto dei territori di confine; meno monasteri; più o meno gli stessi centri urbani con qualche miglioria in qualche chiesa – nell’Alto Medioevo non vengono fondate città non trattandosi di civiltà urbana.
Carlo Magno sembra aver intuito la necessità di equilibrare il potere dei nobili e forse anche quello della Chiesa (facente capo ad un altro centro, Roma) formando=istruendo una classe di funzionari laici; gli Imperatori della dinastia successiva penseranno ad un’altra soluzione diciamo praticabile più sull’immediato, ma anch’essa gravida di conseguenze per la formazione di una cultura e di un pensiero laico – premessa fondamentale per lo sviluppo di una civiltà urbana (=borghese, degli abitanti dei borghi), caratteristica del futuro Basso Medioevo. Fondamentale è dunque per noi comprendere il potenziale di novità alla base della creazione della Scuola Palatina, che Carlo Magno volle far gestire dal suo Palazzo di Aquisgrana (il centro).
Carlo era analfabeta, non parlava Latino, non sapeva né scrivere né leggere. Per realizzare il suo progetto, chiama perciò ad Aquisgrana un dotto monaco, Alcuino di York, dandogli il compito di organizzare e coordinare un centro di studi dei testi antichi. Tra i monaci, alcuni (non tutti) a quei tempi rappresentavano la classe degli intellettuali, quella che aveva a disposizione nei monasteri preziose biblioteche in cui erano conservati rotoli (di papiro) e codici (di pergamena – pelli di animale) continuamente ricopiati che i vescovi non sono tenuti a leggere. Nei monasteri, invece, al fine di decidere se doveva essere ricopiato o no dagli amanuensi (coloro che copiano a mano i manoscritti”, lavoro che non implica di per sé una particolare capacità di comprensione della lettura, ma senz’altro una buona capacità di esecuzione tecnica: ricordiamoci che fino ancora al 1600 saper scrivere e saper leggere sono due competenze del tutto distinte ed insegnate da diversi maestri), un testo ormai in via di disfacimento doveva essere letto con spirito critico (=valutandolo sulla base del criterio supremo, l’interpretazione ufficiale delle Sacre Scritture) dallabate o da chi labate stabiliva dovesse farlo. La pratica della divisione dei compiti lavorativi, inizialmente svolti da tutti indistintamente, si era piano imposta fondandosi sulla naturale predisposizione (non tutti siamo bravi a fare tutto) ed aveva portato ad una specializzazione sicuramente supervisionata dallabate, ma che, con il passare dei secoli, aveva creato una classe di monaci davvero dotti, veri e propri esperti di Teologia. Dai pochi centri urbani dove risiedevano, i vescovi si occupavano invece di salvaguardare ed assicurare la predicazione della fede nel territorio che alla città faceva capo (diocesi) anche tramite i loro aiutanti (preti e diaconi) ed a curare i rapporti con il potere: i loro compiti, quindi, avevano più a che fare con il mondo dei vivi (essi fanno infatti parte del clero secolare”) che con i libri, e non erano tenuti ad arrivare a quei livelli di speculazione – che, pur rimanendo prettamente teologica, impegna la razionalità staccandosi dalla quotidianità più legata all’urgenza di risolvere bisogni pratici – bensì a sviluppare tutt’altro genere di competenze diverse per Carlo Magno ugualmente importanti.
Quindi, alla corte di Carlo Magno vengono chiamati soprattutto i monaci più dotti da tutte le parti d’Europa, accomunati dalla conoscenza della lingua latina: dalla Marca di Spagna (Catalogna), allIrlanda, all’ItaliaEssi, gli operatori culturali attivi” (i produttori dell’ideologia) – che sono al tempo stesso teologi, giuristi, grammatici, letterati e si intendono di ciò che per scienza” si poteva allora intendere (dal momento che tutto doveva essere compreso senza contraddizione con le Sacre Scritture, quindi con Roma, di cui Carlo Magno è alleato e protettore) – ad elaborare, legittimare e sostenere il potere fondandolo su una visione del mondo che lo giustifichi e lo faccia risalire alla volontà di Dio, quindi lo renda indiscusso” ed indiscutibile” anche per i nobili. Schematicamente:
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I dotti riuniti nella sua scuola hanno perciò anche il compito di riunire le loro conoscenze scientifiche”, integrando la sapienza antica e bizantina con alcuni spunti della cultura araba che comincia a penetrare attraverso la Marca di Spagna in una visione del mondo coerente, aggiornata ma soprattutto funzionale all’idea di potere centralizzato. Qualcuno sa anche il Greco e lArabo;
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Riguardo al vettore della comunicazione, la lingua latina, essi hanno il compito di mettere a punto una lingua nuovamente aulica” per la Cancelleria imperiale, ritrovando le norme del Latino classico attraverso lo studio collettivo dei testi originali antichi e la comparazione delle proprie conoscenze: un Latino quindi diverso dal Latino medievale, che è quello della Chiesa di Roma scaduto di livello nei primi secoli di vita della Chiesa sia per potersi rapportare meglio alle masse popolari che per il generale degrado del livello culturale occidentale;
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Riuniti insieme, questi letterati creano (per convenzione) anche una nuova scrittura, riconoscibile nei manoscritti come la minuscola carolina”, una grafia non tanto dissimile al nostro attuale corsivo;
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Essi hanno anche il compito di mettere a punto un piano di studi per le scuole (disatteso, ma fonte ispiratrice della posterità) che rivaluta quello delle scuole dell’Impero romano basato sullo studio delle Sette Arti Liberali (materie umanistiche del Trivio: Grammatica, Retorica e Dialettica; e materie scientifiche del Quadrivio: Aritmetica, Geometria, Musica e Astronomia/Astrologia/Cosmologia, che allora era la stessa cosa a causa del puntuale simbolismo che doveva riportare alla volontà di Dio tutto ciò che accadeva sulla Terra anche attraverso il piano intermedio del movimento planetario);
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L’operazione culturale si estende anche alle arti figurative, ossia a ciò che traduce in materia e forme più facilmente leggibili” per il popolo (analfabeta) i concetti mentali a cui si riferisce creando ciò che chiamiamo immaginario collettivo”, quell’insieme complessivo di immagini e rappresentazioni mentali su cui si fonda un certo modo di vedere il mondo tipico di una determinata cultura in un determinato periodo storico. Vengono quindi chiamati ad Aquisgrana tutti i maggiori conoscitori delle tecniche artigiane correnti affinché preparino/siano preparati a rappresentare determinati moduli artistici, espressioni visibili della stessa ideologia di potere: tornando dal centro” alla periferia dei propri luoghi di provenienza, chi è stato formato formerà nel medesimo senso altri artigiani. Molti di essi sono monaci (architetti, miniaturisti, mosaicisti), ma non tutti: quando si parla di laici” della Scuola Palatina ci si riferisce soprattutto a questo gruppo di persone e bisognerebbe non fare troppa confusione dimenticando che la cultura scritta è e rimarrà ancora per un bel po (fino alla rinascita delle città) appannaggio del clero.
Riorganizzando le scuole, Carlo si proponeva quindi di assicurare un minimo di istruzione e cultura sia al basso clero preposto ad occuparsi del controllo sulle anime” in tutto il territorio (ma che continuerà ad essere perlopiù analfabeta), che agli artigiani che dovevano dare immagini e forme all’ideologia in maniera consapevole – in Occidente, gli artigiani non sono i raffinati esecutori della Corte bizantina: la mancanza di un forte centro, le invasioni, la creazione di diversi Regni romano-barbarici di breve durata hanno lasciato libero un certo spazio per l’espressione personale in cui è andato anche a collocarsi, svincolato dalla tradizione orientale, l’apporto barbaro. Mentre Alcuino perciò coordinava i lavori ad Aquisgrana e sempre al fine di diffondere l’ideologia imperiale capillarmente in tutto il territorio, Carlo Magno pensò di creare nelle campagne parrocchie rurali (ma i disordini delle invasioni rimanderanno questo progetto alla fine del X secolo) e, con il Concilio di Tours (813) stabilì che tutte le prediche rivolte direttamente alla popolazione fossero dette in lingua rustica” (locale) e non in Latino (medievale=della Chiesa), che nessuno ormai capiva più (dettaglio importante, questo, per lo studio dello sviluppo delle lingue nazionali europee): assicurarsi che i suoi sudditi capissero le prediche e fossero cristianizzati secondo una visione del mondo e della vita umana funzionale al potere era di fondamentale importanza per lui. Nessuno poteva predicare senza l’autorizzazione specifica del vescovo, che, a capo della diocesi, aveva il compito di sorvegliare la corretta diffusione di una dottrina cristiana sostenitrice di chi era stato incoronato dal Papa protettore della Cristianità”. Carlo favorì anche l’attività missionaria dei monaci nelle terre appena conquistate: in Sassonia, per esempio, dove obbligherà i Germanici a convertirsi e farà massacrare chi oppone resistenza. I monasteri, intanto, vengono organizzati secondo Regole” ed integrati sotto l’ombrello della Madre Chiesa; anche i programmi delle loro scuole furono potenziati, ma esse furono chiuse ai laici che, teoricamente, avrebbero potuto frequentare le scuole parrocchiali e cattedrali (ne riparlerò).
Tutto il programma è chiaramente finalizzato a garantire la retta diffusione di ciò che si voleva fosse diffuso.
L’ideologia imperiale aveva lo scopo precipuo di tenere a bada le tendenze centrifughe giustificando e legittimando attraverso la religione l’origine di un’autorità centrale indiscussa ed indiscutibile, ma laica. Carlo Magno si era perfettamente reso conto che, per garantire la stabilità interna, bisognava rivalutare e diffondere una visione sacrale” del potere elaborata e supervisionata dalla Corte. Egli trasse vantaggio da entrambe le funzionalità in cui si era specializzato il clero: dai monaci, che rendevano possibile l’accesso alla cultura scritta; ed all’apparato ecclesiastico (facente capo ai vescovi a livello territoriale e, partendo da loro, al Papa suo alleato) in quanto unica struttura più o meno organizzata già esistente nel territorio – la quale da lì in poi comincerà a trasformarsi nella struttura avente potere politico/temporale avversata dai tanti movimenti che, a varie riprese, reclameranno un ritorno alla missione più spirituale della Chiesa cristiana.
La formidabile politica culturale da lui voluta fece perciò dei chierici di ogni grado e livello i veri e propri ministri di acculturazione” del suo regno: non solo produttori di ideologia, ma anche suoi diffusori.
L’Impero carolingio durò troppo poco per far venire a galla quanto precaria fosse la felice coincidenza di mutui vantaggi tra le due potenze universali allora alleate, Papato ed Impero; i risultati ottenuti non permisero di risolvere i problemi di gestione politica e neppure di attuare del tutto l’idea di sistema scolastico da lui concepito. Carlo Magno però sicuramente attivò una rinascita” (si parla di rinascimento carolingio”) culturale con un potenziale di novità che si propagherà nei secoli a lui successivi promuovendo un processo di trasformazione che travolgerà il modo in cui l’uomo concepiva la realtà ed il senso stesso della sua esistenza, un mutamento della visione del mondo” sul quale poi si fonderà la seconda parte del Medioevo e che anzi la renderà culturalmente possibile: di lì ad un secolo o due, risorgerà in Europa una cultura ancora limitata sicuramente ai dotti del clero, ma profondamente debitrice del valore ed al potere che Carlo Magno, imperatore analfabeta, alla cultura seppe riconoscere intuitivamente. Ecco perché noi ancora possiamo riconoscergli l’aggettivo magno” (grande”, in Latino) associato dalla Storia al suo nome.
Sul Web, non ho trovato nessun particolare video monografico in lingua italiana dedicato all’arte carolingia: i più sono in lingua spagnola e si possono trovare da soli. Io posso indicare, come accompagnamento a questo mio discorso (che continuerò anche la prossima volta), il seguente link di non molti minuti (neppure otto): https://www.youtube.com/watch?v=JeSedjHruYY.
Cristina Rocchetto (educatrice e consulente pedagogista)
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