GabrieleD’Annunzio
27 Gennaio 2019Modulo 2 ECDL – Gestione dei file
27 Gennaio 2019Fisicamente deboli, moralmente fragili, le donne erano considerate nel Medioevo creature da proteggere dagli altri, ma anche da se stesse. Esse erano sempre state sottoposte alla sorveglianza e alla guida degli uomini del loro “ordine”. Quindi a tutti i livelli della società la donna disponeva di una libertà di spostamento e di azione molto ridotta rispetto a quella maschile. Il compito principale assegnato loro, di qualsiasi ceto o condizione fossero, era quello di prendersi cura della famiglia a cui appartenevano o presso cui prestavano servizio, e di vegliare sui beni del gruppo familiare. Dall’alto Medioevo in poi, le bambine venivano educate già dall’età di sette-otto anni quando, separate dai bambini, iniziavano la loro vita di apprendimento stando intorno alla loro madre: la signora del castello. Quest’ultima insegnava alle figlie come usare il telaio e l’ago. Infatti il campo artigianale tessile è rimasto per tutto il Medioevo di competenza femminile. Si lavorava in casa per uso familiare ma anche come lavoro retribuito nei laboratori dei villaggi. Il matrimonio nella società medievale aveva funzione procreativa che nei ceti elevati era affiancata dalla trasmissione del patrimonio familiare, e questo implicava trattative complesse e prudenti. L’integrazione della donna alla casa dell’unico uomo che avesse il diritto di fecondarla arrivava talvolta fino a cambiare il suo nome personale. L’aspetto più importante del suo ruolo nella casa era partorire dei buoni eredi che potessero essere degni della trasmissione del patrimonio degli avi. I figli erano quindi la conseguenza più importante del matrimonio e rappresentavano la fusione del sangue delle due famiglie. I nomi a loro assegnati erano quelli di entrambi i rami.
Nel basso Medioevo, invece, la situazione migliorò. Anche se le giovani ragazze dai quindici anni in su sposavano signori dai sessant’anni in poi, traevano da questa situazione il loro vantaggio. Da parte dei mariti si evidenziava una sorta di protezionismo paterno, e questi si preoccupavano di insegnare loro come dovevano comportarsi. Erano particolarmente indulgenti lasciando coltivare alle mogli i propri interessi e assecondandole nella richiesta di istruzione.
Nei confronti del marito, in seguito all’insegnamento:
“… le donne a cui Dio ha dato una coscienza e che sono ragionevoli debbono avere un perfetto e riverente amore per i loro mariti…”,
dovevano essere sempre premurose sia a letto che a tavola, a volte nascondendo un cuore triste. Mostrare pazienza era una qualità essenziale e per tale motivo non dovevano mai lamentarsi, tenendosi stretto il marito e riportandolo a sé se questo evadeva dal rapporto coniugale.
Anche la contadina dei feudi gestiva la sua casa ma direttamente, innanzitutto versando i tributi e poi tenendola in ordine e pulita. Accudiva i figli in quanto il marito stava tutto il giorno nei campi del MANSO dove ogni tanto andava ad aiutarlo, curandosi del pollaio e di tosare le pecore. Esisteva inoltre un laboratorio separato da quello degli uomini dove, insieme alle altre contadine e serve, svolgeva i lavori assegnati.
La caccia alle streghe
Nel corso del XII secolo, accanto ai monasteri maschili ebbero ampia diffusione anche quelli femminili. Ma verso la fine del secolo, la religiosità delle donne cominciò ad esprimersi al di fuori di qualsiasi regola, trovandosi immediatamente esposta all’accusa di eresia.
Allassurdo massacro degli eretici si deve aggiungere un’altra categoria, duramente perseguitata dalla Chiesa: le streghe.
Il Terrore iniziò con papa Gregorio IX il quale decretò che gli eretici dovevano essere consegnati al braccio clericale ai fini dell’esecuzione della pena. Centinaia di morti torturati e bruciati testimoniano la follia dell’Inquisizione. Alle cerimonie stregonesche la Chiesa oppose sue personali forme di magia (riprese dalle Antiche Religioni)come acqua santa, candele benedette, campane, medaglie, rosari, reliquie, esorcismi e sacramenti ma nonostante tutte queste armi “divine” più torturava, bruciava ed uccideva, più c’erano streghe, maghi e fattucchiere. In letteratura vengono riportati casi di località nelle quali il numero delle streghe superava del doppio quello delle persone “normali”. Interi paesi vennero spopolati (a Triora, la Salem italiana vennero bruciate 400 donne) bruciandone gli abitanti.
Su incoraggiamento del papa Innocenzo VIII Heinrich Kramer e Jakob Sprenger
pubblicarono nel 1486 il Malleus Maleficarum. Quest’opera raccoglieva tutte le credenze e superstizioni popolari che spesso mischiava con la dottrina della Chiesa. Questo libro dava anche direttive su come svolgere i processi e le torture ed è indicativo dei pensieri morbosi, specialmente verso le donne, a quel tempo:“…Che cosa e’ la donna se non un nemico dell’amicizia, una inevitabile punizione, un male necessario, una tentazione naturale?”
Grande fu la fama di questo libro tanto che fu tradotto in francese, inglese tedesco e italiano e in tutti i paesi infiammava l’animo della comunità con il monito biblico del versetto 22,17 dell’Esodo:
” Non lascerai vivere la maga”.
La caccia alle streghe iniziò nel ‘400, si intensificò nella seconda metà del ‘500 e declinò a partire dalla fine del ‘600. La maggior parte delle condanne per stregoneria fu la conseguenza di processi condotti in modo legale. L’ultimo processo per stregoneria in Inghilterra risale al 1712. La giuria giudicò l’imputata, Jane Wenham, colpevole e la condannò a morte, una sentenza che poi fu annullata grazie agli sforzi del giudice che aveva tentato invano di convincere la giuria a scagionare la prigioniera.
Le beghine
Le donne che vivevano sole o in comunità, conducendo un’esistenza povera e casta, furono chiamate con un nome che era usato per i Catari della Francia meridionale: quello di Beghine. Il movimento delle Beghine si sviluppò come una nuova forma di vita religiosa e cercò la protezione della curia. Il Medioevo è un periodo nel quale l’esperienza religiosa e i testi sacri sono il tessuto della vita comune. Le donne del tempo sicuramente si confrontarono con un famoso passo del Vangelo che presenta la figura di Marta e quella della sorella Maria al cospetto di Cristo.
I testi medievali ci tramandano tre figure di donne, che ci permettono di riflettere su questa doppia via: Trotula De Ruggiero, Ildegarda di Bingen e Margherita Porete.
Con il movimento religioso del tempo, quello femminile aveva una meta in comune: vivere cristianamente, secondo i principi del Vangelo, che si intendeva realizzare mediante la povertà e la castità. Spesso è stato detto che questo movimento religioso femminile del XIII secolo si può spiegare con la situazione economica e sociale delle donne appartenenti ai ceti più bassi della popolazione, ma esse non si erano fatte monache per trovare fonti di sostentamento. Molte donne avevano rifiutato la ricchezza dei loro genitori e il matrimonio con ricchi e nobili signori per vivere in povertà con il lavoro delle proprie mani, mangiando e vestendo poveramente, dedicandosi alle proprie aspirazioni religiose. Molte donne si separavano dal proprio marito per andare a far parte di comunità di Beghine o, più tardi, di Conventi di Domenicane, ai quali fecero capo le comunità delle Beghine, soprattutto nella Germania meridionale.