Aristotele e il giavellotto fatale di Margaret Doody – prof. Luigi Gaudio
28 Dicembre 2019L’avventura di due sposi di Italo Calvino dagli Amori impossibili
28 Dicembre 2019“La storia di Pronto Soccorso e Beauty Case” è uno dei tanti racconti fantastici presenti nel libro “Il bar sotto il mare” di Stefano Benni, pubblicato nel 1991, e ci porta nel mondo surreale e ironico che caratterizza molte delle opere di Benni.
Lo spericolato Pronto Soccorso, con il suo spirito avventuroso e ribelle, si imbatte casualmente in Beauty Case, una ragazza dall’eleganza innata e un occhio per la moda.
Tra corse mozzafiato in Lambretta, esageratamente iperboliche, e discussioni sulla bellezza e lo stile, i due, pur così opposti per indole, inaspettatamente trovano un’intesa.
La loro diversità è esattamente ciò di cui il quartiere ha bisogno per invertire le tendenze negative.
Con il loro amore e la loro determinazione, possono ispirare il cambiamento e portare un tocco di positività, invertendo le tendenze del quartiere simpaticamente malavitoso.
Il nostro quartiere sta proprio dietro la stazione. Un giorno un treno ci porterà via, oppure saremo noi a portar via un treno. Perché il nostro quartiere si chiama Manolenza1: entri che ce l’hai ed esci senza. Senza cosa? Senza autoradio, senza portafogli, senza dentiera, senza orecchini, senza gomme dell’auto. Anche le gomme da masticare ti portano via se non stai attento: ci sono dei bambini che lavorano in coppia, uno ti dà un calcio nelle parti intime tu sputi la gomma e l’altro la prende al volo. Questo per dare un’idea.
In questo quartiere sono nati Pronto Soccorso e Beauty Case.
Pronto Soccorso è un bel tipetto di sedici anni.
Il babbo fa l’estetista di pneumatici, cioè ruba gomme nuove e le vende al posto delle vecchie. La mamma ha una latteria, la latteria più piccola del mondo. Praticamente un frigo.
Fin da piccolo Pronto Soccorso aveva la passione dei motori. Quando il padre lo portava con sé al lavoro, cioè a rubare le gomme, lo posteggiava dentro il cofano della macchina.
Così Pronto passò gran parte della propria giovinezza sdraiato in mezzo ai pistoni e la meccanica non ebbe più misteri per lui. A sei anni si costruì da solo un triciclo azionato da un frullatore. Faceva venti chilometri con un litro di frappé: dovette smontarlo quando la mamma si accorse che le fregava il latte.
Allora rubò la prima moto, una Guzzi Imperial Black Mammuth 6700. Per arrivare ai pedali guidava aggrappato sotto al serbatoio, come un koala alla madre: e la Guzzi sembrava un vascello fantasma, perché non si vedeva chi era alla guida.
Subito dopo Pronto costruì la prima moto truccata, la Lambroturbo. Era una comune lambretta2 ma con alcune modifiche faceva i duecentosessanta. Fu allora che lo chiamammo Pronto Soccorso. In un anno si imbussò3 col motorino duecentoquindici volte, sempre in modi diversi. Andava su una ruota sola e la forava, sbandava in curva, in rettilineo, sulla ghiaia e sul bagna- to, cadeva da fermo, perforava i funerali4, volava giù dai ponti, segava gli alberi. Ormai in ospedale i medici erano così abituati a vederlo che se mancava di presentarsi una settimana telefona- vano a casa per avere notizie.
Ma Pronto era come un gatto: cadeva, rimbalzava e proseguiva. A volte dopo esser caduto continuava a strisciare per chilometri: era una sua particolarità. Lo vedevamo arrivare rotolando dal fondo della strada fino ai tavolini del bar.
«Sono caduto a Forlì» spiegava.
«Beh, l’importante è arrivare» dicevo io.
Beauty Case aveva quindici anni ed era figlia di una sarta e di un ladro di tir. Il babbo era in galera perché aveva rubato un camion di maiali e lo avevano preso mentre cercava di venderli casa per casa. Beauty Case lavorava da aspirante parrucchiera ed era un tesoro di ragazza. Si chiamava così perché era piccola piccola, ma non le mancava niente.
Era una sera di prima estate, quando dopo un lungo letargo gli alluci vedono finalmente la luce fuori dai sandali.
Pronto Soccorso gironzolava tutto pieno di cerotti e croste sulla Lambroturbo e un chilometro più in là Beauty mangiava un gelato su una panchina.
Allora, dicevamo che era una sera di prima estate e gli uccellini stavano sugli alberi senza cinguettare perché col casino che faceva la moto di Pronto era fatica sprecata. Si udì da lontano la famosa accelerata in quattro tempi andante mosso allegretto scarburato5 e poi Pronto arrivò nel vialetto dei giardini guidando senza mani e con un piede che strisciava per terra, se no non era abbastanza pericoloso. Vide Beauty e cacciò un’inchiodata storica. L’inchiodata per la verità non ci fu perché, per motivi di principio, Pronto non frenava mai. La prima cosa che faceva quando truccava un motorino era togliere i freni.
«Così non mi viene la tentazione» diceva.
Quindi Pronto andò dritto e finì sullo scivolo dei bambini, decollò verso l’alto, rimbalzò sul telone del bar, finì al primo piano di un appartamento, sgasò nel tinello6, investì un frigorifero, uscì nel terrazzo, piombò giù in strada, carambolò contro un bidone della spazzatura, sfondò la portiera di una macchina, uscì dall’altra e si fermò contro un platano.
«Ti sei fatto male?» disse Beauty.
«No» disse Pronto. «Tutto calcolato.»
Restarono alcuni istanti a guardarsi, poi Pronto disse:
«Bella la tua minigonna a pallini». E Beauty disse:
«Belli i tuoi pantaloni di pelle».
Quali pantaloni? Stava per chiedere Pronto. Poi si guardò le gambe: erano talmente piene di crostoni, cicatrici e grattugiate sull’asfalto che sembrava avesse le braghe di pelle. Invece aveva le braghe corte.
«Sono un modello Strade di Fuoco» disse. «Vuoi fare un giro in moto?»
Beauty ingoiò il gelato in un colpo solo, che era il suo modo per dire di sì. Sulla moto, si strinse forte al petto di Pronto e disse:
«Ma tu la sai guidare la moto?».
A quelle parole Pronto fece un sorriso da entrare nella storia, sgasò una nube di benzoleone7 e partì zigzagando contromano. Chi lo vide, quel giorno, dice che faceva almeno i duecentottanta. La forza dell’amore! Si sentiva il rumore di quel tornado che passava, e non si vedeva che un lampo di stella filante. Pronto curvava così piegato che invece dei moscerini in faccia doveva stare attento ai lombrichi. E Beauty non aveva neanche un po’ di paura, anzi strillava di gioia. Fu allora che lui capì che era la donna della sua vita.
Quando Pronto arrivò davanti a casa di Beauty, impennò la moto e Beauty volò attraverso la finestra, precisa sulla poltrona del salotto. La mamma se la vide davanti e disse:
«Dov’eri che non ti ho neanche sentita rientrare?».
In quello stesso momento si udì il rumore di Pronto che si fermava contro la saracinesca di un garage. Si tirò su: la moto aveva perso una ruota e il serbatoio. Roba da ridere: si riempì la bocca di benzina e tornò a casa su una ruota sola sputando un sorso alla volta nel carburatore.
Si stese sul letto e dichiarò a quattro scarafaggi:
«Sono innamorato».
«E di chi?» chiesero quelli.
«Di Beauty Case.»
La sera dopo Pronto e Beauty uscirono di nuovo insieme. Dopo trenta secondi Pronto chiese se poteva baciarla. Beauty ingoiò il gelato.
Iniziarono a baciarsi alle nove e un quarto e stando ad alcuni testimoni il primo a respirare fu Pronto alle due di notte.
«Baci bene, dove hai impara…» voleva dire, ma Beauty gli si era incollata di nuovo e finirono alle sei di mattina.
Quando tornò a casa la mamma chiese:
«Cos’hai fatto con quel ragazzo del motorino?». Beauty disse:
«Niente mamma, solo due baci». Non mentiva, la ragazza.
Così l’amore tra i due illuminò il nostro quartiere, e ci sentivamo così felici che quasi non rubavamo più.
(da S. Benni, Il bar sotto il mare, Feltrinelli, Milano, 2016)
NOTE:
- Manolenza: il nome del quartiere indica in modo ironico la principale attività dei suoi abitanti, che, usando le mani a mo’ di lenza, “pescano” oggetti preziosi rubandoli
- lambretta: ciclomotore molto diffuso in Italia tra gli anni Cinquanta e Sessanta del novecento
- si imbussò: si schiantò. Il narratore usa un lessico informale per caratterizzare meglio la vicenda
- perforava i funerali: Pronto alla guida della sua lambretta non aveva limiti e passava a tutta velocità persino vicino ai cortei funebri
- andante mosso allegretto scarburato: espressioni che il narratore ha preso in prestito alla musica, fatta eccezione per l’ultima, gergale.
- tinello: stanza da pranzo
- benzoleone: espressione gergale con cui l’autore indica la nube prodotta dal motore della vettura