Titiro e Melibeo
27 Gennaio 2019Zaira Gangi
27 Gennaio 2019da Il giorno di Giuseppe Parini – Il mezzogiorno – vv. 516-555
di Carlo Zacco
A Tavola. Siamo nel Mezzogiorno. Il giovin signore siede a tavola con altri nobili.
– Il precettore a un certo punto si sofferma a descrivere due personaggi singolari, che il destino ha voluto che capitassero seduti l’uno vicino all’altro, in modo che l’uno accresca la singolarità dell’altro: il primo è un uomo estremamente grasso;
– l’altro invece è magrissimo: il poeta si sofferma su quest’ultimo;
– la sua magrezza è dovuta al fatto che è vegetariano, e il poeta lo osserva arricciare il naso e le labbra vedendo che gli altri commensali mangiano carne, mentre lui spilucca lentamente un po di pane, e dice:
«Pera colui che prima osò la mano
Armata alzar su l’innocente agnella,
E sul placido bue: né il truculento
Cor gli piegàro i teneri belati
Né i pietosi mugiti né le molli
Lingue lambenti tortuosamente
La man che il loro fato, ahimè, stringea».
– il vegetariano è quindi sensibile alla sofferenza degli animali, ma evidentemente non a quella umana;
– Mentre il vegetariano pronuncia queste parole, alla dama del giovin signore spunta una lacrimuccia, perché questa tirata contro il maltrattamento degli animali le fa venire in mente un episodio di violenza di cui è stata vittima la sua cagnolina, la vergine cuccia.
520
525
530
535
540
545
550
555
|
Or le sovviene il giorno, Ahi fero giorno! allor che la sua bella Vergine cuccia de le Grazie alunna, Giovenilmente vezzeggiando, il piede Villan del servo con l’eburneo dente Segnò di lieve nota: ed egli audace Con sacrilego piè lanciolla: e quella Tre volte rotolò; tre volte scosse Gli scompigliati peli, e da le molli Nari soffiò la polvere rodente. Indi i gemiti alzando: aita aita Parea dicesse; e da le aurate volte A lei l’impietosita Eco rispose: E dagl’infimi chiostri i mesti servi Asceser tutti; e da le somme stanze Le damigelle pallide tremanti Precipitàro. Accorse ognuno; il volto Fu spruzzato d’essenze a la tua Dama; Ella rinvenne alfin: l’ira, il dolore L’agitavano ancor; fulminei sguardi Gettò sul servo, e con languida voce Chiamò tre volte la sua cuccia: e questa Al sen le corse; in suo tenor vendetta Chieder sembrolle: e tu vendetta avesti Vergine cuccia de le grazie alunna. L’empio servo tremò; con gli occhi al suolo Udì la sua condanna. A lui non valse Merito quadrilustre; a lui non valse Zelo d’arcani uficj: in van per lui Fu pregato e promesso; ei nudo andonne Dell’assisa spogliato ond’era un giorno Venerabile al vulgo. In van novello Signor sperò; chè le pietose dame Inorridìro, e del misfatto atroce Odiàr l’autore. Il misero si giacque Con la squallida prole, e con la nuda Consorte a lato su la via spargendo Al passeggiere inutile lamento: E tu vergine cuccia, idol placato Da le vittime umane, isti superba. |
– rodente: irritante, che fa prurito;
– il riferimento a Eco innalza il tono del racconto;
– tre volte: ricorda l’epico terter..
– de le grazie alunna: verso formulare: tono epico;
– lo zelo nell’aver adempiuto a incarichi delicati, come quelli riguardanti gli amorazzi della signora; – assisa: divisa; – novello signor: un nuovo padrone; |