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27 Gennaio 2019La Vergine delle Rocce
27 Gennaio 2019dall’estetismo di Oscar Wilde alla Lettera agli artisti di Giovanni Paolo II
dalla tesina “La finzione artistica: veicolo di verità?” di Samuele Gaudio
Esame di Stato 2010
Ogni uomo deve fare della sua vita un’opera d’arte: questa affermazione è stata di Oscar Wilde, eppure è strano notare che le stesse parole sono pronunciate del Papa nella Lettera agli artisti” del 1999.
Ma in che senso il Papa dice questo?
Per Oscar Wilde, e per gli estetisti, fare della vita un’opera d’arte significava innanzitutto che l’individuo, padrone della propria esistenza, avendo a disposizione la propria vita, la deve indirizzare al fine della ricerca del piacere, proprio come succede nel gustare un’opera d’arte. Gli estetisti concepivano la loro vita in relazione a una dimensione estetica, come se volessero identificarsi con i personaggi delle proprie opere, uomini eletti e superiori, con il dono di riuscire a plasmare a piacimento la propria identità, diventando polimorfi, adatti a recepire ogni tipo di esperienza senza mai saziarsi, in un ripetitivo, ossessivo, continuo e meccanico processo di autoaffermazione, che necessariamente finisce con il prosciugarsi di ogni esperienza , che non conosce durata né valore che non si corrompa.
Il Papa, con le stesse parole, esprime un concetto totalmente diverso.
Papa Giovanni Paolo II, nella Lettera agli artisti”, sostiene come tesi che ogni uomo è chiamato ad essere artista, in quanto ognuno ha una vocazione, e questa vocazione è individuale, deve fare cioè la propria opera d’arte compiendo sé, compiendo la vocazione a cui Dio lo ha chiamato, la quale rientra in un disegno più grande. Gli artisti sono costruttori di bellezza, e Papa Woytila li mette in relazione con la creazione di Dio, in quanto Dio crea, l’artista costruisce, e ha uno sguardo che ammira. Infatti l’origine dell’arte è uno sguardo sulla realtà. L’artista possiede in sé il riflesso dell’azione creatrice di Dio, imita l’azione di Dio e quindi inventa, costruisce, è artefice.
L’artista, immagine di Dio Creatore
1. Nessuno meglio di voi artisti, geniali costruttori di bellezza, può intuire qualcosa del pathos con cui Dio, all’alba della creazione, guardò all’opera delle sue mani. Una vibrazione di quel sentimento si è infinite volte riflessa negli sguardi con cui voi, come gli artisti di ogni tempo, avvinti dallo stupore per il potere arcano dei suoni e delle parole, dei colori e delle forme, avete ammirato l’opera del vostro estro, avvertendovi quasi l’eco di quel mistero della creazione a cui Dio, solo creatore di tutte le cose, ha voluto in qualche modo associarvi.
La pagina iniziale della Bibbia ci presenta Dio quasi come il modello esemplare di ogni persona che produce un’opera: nell’uomo artefice si rispecchia la sua immagine di Creatore. Questa relazione è evocata con particolare evidenza nella lingua polacca, grazie alla vicinanza lessicale fra le parole stwórca (creatore) e twórca (artefice).
Qual è la differenza tra «creatore» ed «artefice?» Chi crea dona l’essere stesso, trae qualcosa dal nulla – ex nihilo sui et subiecti, si usa dire in latino – e questo, in senso stretto, è modo di procedere proprio soltanto dell’Onnipotente. L’artefice, invece, utilizza qualcosa di già esistente, a cui dà forma e significato. Questo modo di agire è peculiare dell’uomo in quanto immagine di Dio. Dopo aver detto, infatti, che Dio creò l’uomo e la donna «a sua immagine» (cfr Gn 1,27), la Bibbia aggiunge che affidò loro il compito di dominare la terra (cfr Gn 1,28). Fu l’ultimo giorno della creazione (cfr Gn 1,28-31). Nei giorni precedenti, quasi scandendo il ritmo dell’evoluzione cosmica, Jahvé aveva creato l’universo. Al termine creò l’uomo, il frutto più nobile del suo progetto, al quale sottomise il mondo visibile, come immenso campo in cui esprimere la sua capacità inventiva.
Dio ha, dunque, chiamato all’esistenza l’uomo trasmettendogli il compito di essere artefice. Nella «creazione artistica» l’uomo si rivela più che mai «immagine di Dio», e realizza questo compito prima di tutto plasmando la stupenda «materia» della propria umanità e poi anche esercitando un dominio creativo sull’universo che lo circonda. LArtista divino, con amorevole condiscendenza, trasmette una scintilla della sua trascendente sapienza all’artista umano, chiamandolo a condividere la sua potenza creatrice. E’ ovviamente una partecipazione, che lascia intatta l’infinita distanza tra il Creatore e la creatura, come sottolineava il Cardinale Nicolò Cusano: «L’arte creativa, che l’anima ha la fortuna di ospitare, non s’identifica con quell’arte per essenza che è Dio, ma di essa è soltanto una comunicazione ed una partecipazione».(1)
Per questo l’artista, quanto più consapevole del suo «dono», tanto più è spinto a guardare a se stesso e all’intero creato con occhi capaci di contemplare e ringraziare, elevando a Dio il suo inno di lode. Solo così egli può comprendere a fondo se stesso, la propria vocazione e la propria missione.
La speciale vocazione dell’artista
Non tutti sono chiamati ad essere artisti nel senso specifico del termine. Secondo l’espressione della Genesi, tuttavia, ad ogni uomo è affidato il compito di essere artefice della propria vita: in un certo senso, egli deve farne un’opera d’arte, un capolavoro.
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