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28 Dicembre 2019“La vita fugge et non s’arresta una hora” è un sonetto di Francesco Petrarca, che appartiene al Canzoniere (precisamente al sonetto CCCXV, 315).
Questo testo riflette il caratteristico tono malinconico e riflessivo della poesia petrarchesca, in cui il poeta si confronta con temi esistenziali come la fugacità del tempo e l’inevitabile arrivo della morte.
Vediamo nel dettaglio una introduzione, un’analisi, un commento e una parafrasi del sonetto.
Introduzione
Il sonetto “La vita fugge et non s’arresta una hora” è un’opera di Francesco Petrarca, poeta del Trecento, riconosciuto come uno dei maggiori esponenti del Rinascimento italiano e del petrarchismo. Questo componimento si inserisce nella parte finale del Canzoniere, che è dominata da temi più cupi rispetto ai sonetti amorosi iniziali. Qui Petrarca abbandona la descrizione della bellezza e dell’amore per concentrarsi sulla riflessione filosofica e religiosa, meditativa sull’inesorabilità del tempo e l’avvicinarsi della morte.
Nel sonetto, il poeta manifesta la sua angoscia per la rapidità con cui la vita scorre e per l’avvicinarsi della fine, un tema molto sentito nel Medioevo e nel primo Rinascimento. La sua riflessione si muove tra un sentimento di impotenza e un desiderio di redenzione, che traspare nel finale, dove invoca Dio.
Testo e parafrasi del sonetto
Testo:
La vita fugge et non s’arresta una hora, e ‘l rimembrar et l’aspettar m’accora, Tornami avanti, s’alcun dolce mai Quel poco di cammin che forse avanza, |
Parafrasi:
La vita fugge e non si ferma nemmeno per un’ora, e il ricordare il passato e il temere il futuro mi angosciano, Mi ritorna alla mente, se mai qualche dolcezza Quel poco di strada che forse mi resta da percorrere, |
Analisi
Il sonetto segue la struttura metrica tradizionale petrarchesca: due quartine e due terzine in endecasillabi con schema di rime ABBA ABBA CDE CDE.
Prima quartina
La vita fugge et non s’arresta una hora,
et la morte vien dietro a gran giornate,
et le cose presenti et le passate
mi danno guerra, et le future anchora;
Il poeta apre il componimento con un’immagine drammatica: la vita scorre velocemente, senza mai fermarsi. C’è un senso di urgenza e di angoscia nel tono, come se il poeta fosse impotente di fronte all’inesorabile avanzare del tempo. La morte “vien dietro a gran giornate”, con passo rapido, pronta a raggiungere ogni uomo. Non solo il presente, ma anche il passato e il futuro tormentano Petrarca, generando un conflitto interiore senza soluzione. La tensione è evidente nella parola “guerra”, che sottolinea la battaglia costante tra il poeta e il tempo.
Seconda quartina
e ‘l rimembrar et l’aspettar m’accora,
or quinci or quindi, sì che ‘n veritate,
se non ch’i’ ho di me stesso pietate,
i’ sarei già di questi penser fòra.
Qui Petrarca descrive il dolore causato sia dal ricordare il passato che dall’attendere il futuro, due forze che lo accerchiano e lo affliggono (“or quinci or quindi”). Il poeta si trova in una condizione di afflizione e disperazione, che lo spinge quasi a voler abbandonare questi tormenti. L’unica cosa che lo trattiene è la “pietà” che prova per sé stesso, una sorta di compassione che gli impedisce di sprofondare del tutto nella disperazione.
Prima terzina
Tornami avanti, s’alcun dolce mai
ebbe ‘l cor tristo, et poi dal suo errore
ravolsomi sovente in pianto amaro.
In queste righe, il poeta si volge verso il passato cercando di ricordare se c’è mai stata una dolcezza che abbia alleviato il suo cuore triste. Tuttavia, subito emerge il senso di errore, che trasforma ogni ricordo dolce in un “pianto amaro”. Petrarca è intrappolato in un circolo vizioso: i suoi ricordi, che potrebbero consolare, alla fine lo portano solo a maggiore sofferenza.
Seconda terzina
Quel poco di cammin che forse avanza,
chiudano gli occhi miei non senza pianto,
et sia l’anima mia da troppa noia
sciolta, et lieta ne l’ultimo suo giorno.
Il finale del sonetto è una riflessione sulla fine imminente della vita. Petrarca accetta che il tempo che gli rimane è breve (“quel poco di cammin”), e desidera che i suoi occhi si chiudano “non senza pianto”, espressione di un dolore che lo accompagnerà fino alla fine. Tuttavia, in un barlume di speranza, egli chiede che la sua anima possa essere liberata dalle sofferenze (“noia”) terrene e che possa trovare pace e gioia nell’ultimo giorno, rivolgendosi implicitamente alla prospettiva di una redenzione divina.
Commento
Questo sonetto si inserisce perfettamente nell’ultima fase del Canzoniere, in cui Petrarca abbandona progressivamente i temi dell’amore terreno e della passione per Laura, per dedicarsi a riflessioni più profonde e spirituali. Il poeta appare ossessionato dalla rapidità con cui scorre il tempo, e questo gli provoca un dolore costante che si riflette nella tensione tra il desiderio di fuga dalla vita e la speranza di un’eventuale salvezza nell’aldilà.
La fugacità della vita e la consapevolezza dell’inevitabile morte sono temi centrali della poesia petrarchesca, ma in questo sonetto si avverte una dimensione quasi esistenziale, in cui il poeta si trova a fare i conti con il peso del tempo e con il fallimento delle speranze terrene. L’unica consolazione sembra essere la possibilità che, alla fine, la sua anima possa essere sciolta dal dolore terreno.
Conclusione
In sintesi, “La vita fugge et non s’arresta una hora” è un sonetto che esprime magistralmente il senso di angoscia esistenziale di Petrarca di fronte al tempo che scorre e alla morte che incombe. Il poeta si confronta con i suoi ricordi, che invece di confortarlo lo rendono più triste, e si rivolge infine a una speranza di liberazione spirituale. La forza di questo sonetto sta nella capacità di Petrarca di catturare la fragilità umana e il desiderio di salvezza, temi universali che lo rendono ancora oggi estremamente attuale.