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20 Ottobre 2013Diecimila anni fa l’uomo ha dato origine alla civiltà cominciando a coltivare le piante; da nomade e’ diventato stanziale ed ha capito che il territorio era una risorsa da sfruttare per la sua esistenza. Le prime comunità umane hanno iniziato quel lento processo di socializzazione che ha trasformato la società e la sua struttura organizzativa.
Le piante rappresentano il primo legame dell’uomo con la terra, considerata una madre perché da essa proviene la vita e la possibilità della sopravvivenza. Lo stesso C. Darwin, nel libro “Il potere delle piante” affermava: “sono convinto che nell’apice radicale ci sia qualcosa di simile al cervello di un organismo inferiore”. Questo concetto espresso nel 1870, alla luce delle ricerche più recenti, ci mostra come le piante ( considerate a torto, prive di sensibilità) possiedono una propria forma di coscienza e di intelligenza primitiva che le spinge muoversi e a orientarsi. L’apice radicale di ogni organismo sembra rappresentare un centro di comando, l’energia potenziale della vita che desidera affermarsi e completarsi. La diffusione delle piante sulla terra e’ enorme se si pensa che il rapporto piante-animali e del 98 per cento. Il disboscamento e gli interventi dell’uomo sull’ambiente hanno profondamente modificato gli equilibri che stabilivano relazioni paritarie tra i viventi. Gli spazi vitali che molto tempo fa consentivano all’uomo e agli organismi una produttiva ed equilibrata convivenza sembrano assottigliarsi sempre di più. L’uomo ha purtroppo perso il suo legame originario con la terra e certamente con esso anche quella forma primitiva di socialità e aggregazione che rende la natura amica e compagna di vita. Riallacciare i contatti con la natura significa imparare di nuovo a ” coltivare” cioè avere cura, assistere, sostenere, far crescere l’istinto innato di una sociale convivenza.
Laura Alberico