Lessico famigliare è un romanzo del 1963, che riguarda la vita di Natalia dagli inizi degli anni venti a quelli degli anni cinquanta.
Questa è una storia vera, come scrive l’autrice nella prefazione. E’ un diario scritto a posteriori, un memoriale che risente di Proust per il genere, ma non per lo stile. Del resto la madre Lidia fu una delle prime lettrici di Proust in Italia, e Natalìa tradusse Alla ricerca del tempo perduto in italiano.
Comunque, i fatti non sono narrati in ordine strettamente cronologico, ma seguono il flusso dei ricordi. Non c’è quindi coincidenza tra fabula e intreccio, in quanto presente, passato e futuro si confondo e si sovrappongono come nel grande modello francese. Ci sono continue retrospezioni (ad esempio la morte di Leone Ginzburg, cui accenna con un semplice e non lo vidi più” molto discreto, viene narrata quando ormai Natalìa parla del dopoguerra) e anticipazioni (es. Balbo per Natalìa e Adriano Olivetti per Paola non acquistano subito il valore che avranno poi nella loro vita, ma quel ruolo viene anticipato). Il flusso è continuo, tanto è vero che il libro non è diviso in capitoli: ci sono solo degli stacchi narrativi, con un ampio spazio tipografico bianco tra una riga e un’altra.
Il titolo
Si parte da una intuizione interessante. Tutti noi utilizziamo in famiglia una serie di vocaboli che hanno un significato particolare, che solo i membri della famiglia comprendono. Quando poi ci troviamo a scrivere, o a lavorare con le parole, dobbiamo, ovviamente, correggere le storpiature, normalizzare il nostro lessico, ma forse lo impoveriamo, e rischiamo di perdere così quel vocabolario tutto particolare.
Stile
Si alternano piani temporali. Prevalgono gli spazi chiusi (dalle case” si conosce anche la gente che le abita). Si alterna un ritmo più veloce (scene, ellissi e sommari) a parti più dettagliate (pause, ricordi e riflessioni).
A proposito di lessico, c’è da dire che il linguaggio utilizzato da Natalìa, anche quando non utilizza i termini tipici della sua famiglia, è sempre molto semplice, chiaro , più popolare e immediato (anche informale) nei dialoghi, più ricercato e formale quando la narratrice espone le vicende e gli episodi di vita in modo indiretto.
Romanzo autobiografico
Questo testo si inserisce all’interno del genere del romanzo autobiografico, in quanto Natalìa parlando della sua famiglia parla di se stessa, della sua formazione. Ci sono quindi due Natalìe: una Natalìa personaggio raccontato, e Natalìa narratrice.
Solo storia di una famiglia?
No, questo libro rappresenta anche uno squarcio sull’Italia a cavallo fra due guerre (la prima e la seconda) e due regimi (il fascismo e la democrazia). Dalla casa dei Ginzburg passano personaggi importanti della politica dai socialisti del primo novecento (Turati, che viene ospitato mentre scappa dall Italia, Bissolati, Anna Kuliscioff, la compagna di Turati) agli uomini di cultura come Pavese, agli industriali, come Adriano Olivetti, uno dei primi a possedere un’automobile, che del resto amava condividere con chi ne aveva bisogno (e sappiamo quale ruolo abbia occupato poi Adriano Olivetti nel boom economico del secondo dopoguerra in Italia. Tuttavia occorre non dimenticare che tutti gli eventi, anche i più tragici, sono relativizzati, sono vissuti attraverso una prospettiva personale, la storia pubblica è corretta, ingrandita dalla lente della storia privata.
La struttura ad anello
Da notare la circolarità” del testo. Infatti, sia la prima, sia l’ultima parte del romanzo sono caratterizzate dal lessico famigliare”, per cui anche gli eventi dolorosi, i ricordi drammatici assumono una veste diversa, sono narrati con grande serenità d’animo, come se fossero una fiaba. L’autrice in questo modo vuole farci capire che, al di là delle altre tematiche storiche, politiche e culturali, ciò che caratterizza questo libro è soprattutto quel linguaggio conosciuto e usato dai membri della famiglia. Il tema della famiglia sembra centrale nella narrativa di Natalìa, che non a caso scrisse anche La famiglia Manzoni”. Il personaggio principale del romano infatti non è Natalia, e neanche suo padre, o i suoi genitori, ma la famiglia.
Il matrimonio rappresenta l’emancipazione dei figli dall’autorità piuttosto burbera del padre, lo stacco dalla famiglia di origine ela costruzione di una nuova famiglia, e infatti lui non li vede di buon occhio. Eppure, basta una delle frasi, delle espressioni, delle parole segrete”, ad esempio la frase della madre Ai piccoli una mela, ai grandi il diavolo che li pela” per ridare unità alla famiglia di origine, evocando la comunità di affetti e di intenti di un tempo.
Il tono fiabesco
Si crea quindi un codice, un insieme di frasi famose” Questo personaggio è molto interessante perché pieno di abitudini insolite come fare la doccia fredda di mattina (anche sua moglie lo fa), oppure mangiare lo yogurt appena alzato, che lui chiama mezzorado”(infatti un’altra sua particolarità è di dare dei nomi inusuali, come chiamare le barzellette scherzettini” o gli sci ski”, oppure chiama pipite” le pellicine delle dita). E’ importante anche la sua origine triestina: come per la moglie, si capiscono così certe storpiature in senso
I personaggi
Non sono rigidi, ma sono soggetti a cambiamenti, così come spesso cambiano i giudizi su di loro, in base agli eventi descritti. Nell’ultima parte del nostra contributo approfondiremo la conoscenza di alcuni di essi.
Il padre Giuseppe Levi
Questo personaggio è molto interessante perché pieno di abitudini insolite come fare la doccia fredda di mattina (anche sua moglie lo fa), oppure mangiare lo yogurt appena alzato, che lui chiama mezzorado”(infatti un’altra sua particolarità è di dare dei nomi inusuali, come chiamare le barzellette scherzettini” o gli sci ski”, oppure chiama pipire” le pellicine delle dita). E’ importante anche la sua origine triestina: come per la moglie, si capiscono così certe storpiature in senso veneto” date alle parole.
Giuseppe è furibondo, sanguigno, ma sincero, perché non si vergogna mai di dire apertamente quello che pensa: come quando insulta le amiche di sua moglie che chiacchierano troppo, oppure quando torna a casa da lavoro con dei suoi colleghi e, per la strada, si mette a gridare il suo pensiero su tutti e su tutto, o anche quando, nei corridoi del laboratorio dove lavora, urla e canta come se fosse per i corridoi di casa sua; per non parlare di quando, nel treno, si è messo a tuonare che la madre del mezzorado non era nella borsa” riferendosi al lievito per fare fermentare lo yogurt o di come non sopportasse gli scherzettini” (barzellette) tranne che i suoi. E’ in pratica un po burbero, critica tutti (si sente circondato da sempi”, cioè sciocchi), ma a tutti, nella profondità del cuore, vuole un gran bene.
Altri termini usati da Giuseppe Levi, il padre di Natalìa: malignazzo, sempiezzo (stupidata).
Durante la guerra fu costretto ad emigrare a Liegi, per sfuggire all’arresto; mele carpandue,
La madre Lidia
Come Giuseppe di origini triestine, ma cattolica, questo personaggio è caratterizzato dalla tranquillità, in contrasto con il marito. E’ una donna che ama chiacchierare con le amiche che invita spesso a casa. Ama molto la famiglia, per la quale ha rinunciato a finire gli studi di medicina.
E’ una donna paziente, che accontenta sempre il marito ed è comprensiva.
Lidia si affeziona facilmente ai luoghi, infatti ad ogni trasferimento, per esempio da Torino a Palermo, o da una via di Torino all’altra, non si vuole staccare dalla vecchia casa, anche se poi si innamora ancora di più della nuova. Al collegio era una ragazza vivace e pimpante, piena di creatività e voglia di divertirsi Io son don Carlos Tadrid / e sono studente in Madrid.” Questa è una poesia che inventò lei e che tutti i componenti della famiglia conoscono a memoria.
Gino
E’ il figlio che ha sempre soddisfatto di più il padre, sia perché amava la montagna, sia perché aveva intrapreso con successo gli studi scientifici.
Mario
Fa arrabbiare molto il padre, perché è critico nei confronti di Turati e dei socialisti di inizio secolo. Per questo motivo il padre lo riteneva un fascista. In realtà Mario non lo era affatto, e fu ricercato come cospiratore, perché diffondeva opuscoli antifascisti. Fu costretto quindi a emigrare in Francia, mentre il padre e Gino passarono qualche tempo in carcere solo perché padre e fratello di un cospiratore. Mario approfondì in questo periodo, e confermò nel secondo dopoguerra il suo amore per la Francia, per tutto quello che rappresentava la Francia, contrapposta ad un Italia con una scuola male organizzata, una politica e una cultura statica e vetusta.
Alberto
E’ l ultimo dei fratelli, ed è anche il meno diligente a scuola. Per questo fa arrabbiare molto il padre. La madre Lidia però cerca di far capire a suo marito che gli amici di cui si circonda Alberto sono intelligenti e antifascisti, come Pajetta. Suo padre si arrabbiò anche quando Alberto fu messo in carcere e rischiò la corte marziale solo perché non era rientrato in tempo in caserma, dopo essere andato a skiare con una sua amica. Per questo il padre lo chiamava sempre Mascalzone, farabutto”. Si iscrisse poi alla facoltà di medicina, ma il padre all’inizio non ebbe grande stima di lui come medico, anche se lo era in effetti, perché credeva che passasse gli esami solo perché suo figlio. Si sposa poi con Miranda. Il padre dovette poi ammettere di aver sbagliato nei suoi confronti.
Paola
L’unica sorella di Natalìa, sposerà Adriano Olivetti, che come suo padre, aveva i capelli rossi, particolare molto apprezzato in casa Levi, assieme ovviamente all’antifascismo, e ad una certa sobrietà. Per cui anche se erano molto ricchi, gli Olivetti non lo davano a vedere, e vivevano in modo semplice.
La guerra
Nei primi anni a Torino non si sentono molte ripercussioni del conflitto. Occorre aspettare il 1942 con i bombardamenti e l’armistizio.
Leone Ginzburg
All’epoca la moglie perdeva il proprio cognome e assumeva quello del marito. Una volta che si sposa con questebreo di origini russe, Natalìa è per suo padre non più Natalìa Levi, ma Natalìa Ginzburg. Singolare però il fatto che lei abbia tenuto il cognome del marito anche quando è diventata scrittrice, testimonianza della profonda sintonia umana con quell’uomo. In questo libro i sentimenti non sono espressi in modo romantico o passionale, ma molto discreto e distaccato, eppure, paradossalmente emerge ancora di più il legame profondo con il marito, e il dramma di un uomo che avrebbe potuto essere, per le sue qualità, un grande uomo politico, ma fu travolto dalla guerra e dall’ideologia al potere opposta alla sua. Le sue qualità, di grande conversatore e uomo di compagnia, emergono ancora di più in contrasto con l isolamento e la scarsa capacità di comunicazione di Pavese.
Si capisce così anche il suicidio di Pavese, dovuto alla sua profonda solitudine, alle paure angosciose e mortali: Pavese, lo si capiva sin da quegli incontri serali con Leone, non amava la vita.
Giulio Einaudi
Fonda la casa editrice negli anni del fascismo, con la collaborazione di Leone Ginzburg, tra mille difficoltà. Frequenta casa Levi, ma è sempre molto timido e riservato. Utilizzerà poi questa sua caratteristica comportamentale per mortificare le proposte editoriali che gli vennero fatte nel secondo dopoguerra, quando la sua casa editrice divenne una delle più importanti. Del resto, diceva sempre Pavese, noi non abbiamo bisogno di nuove idee, dal momento che già ne avevano loro di idee”. Natalìa diventò poi collaboratrice della casa editrice nel secondo dopoguerra. Singolare il fatto che nel romanzo non sia chiamato con il suo nome, Giulio Einaudi, ma con il suo appellativo di editore (editore anche di questo” libro).
Rognetta
E’ un personaggio quasi complementare ai Levi, poiché mentre loro si spostano molto raramente da Torino, il Rognetta invece viaggia frequentemente. I Levi hanno spesso una visione distorta, quasi paesana delle città, delle nazioni, o comunque dei luoghi lontani dall Italia.
Abruzzo
E’ la terra del confino della famiglia di Natalia e di Leone: qui sono ambientati gli ultimi momenti di riunione dei genitori con i figli, prima che Leone sia arrestato e portato a Roma, dove poi sarà ucciso dai tedeschi.
Le donne di servizio
La Natalina è per decenni la domestica in casa Levi, e la Martina in casa Ginzburg. Entrambe sono trattate con molto rispetto. In particolare Natalìa quando si sposa e ha dei figli, riconosce il valore del lavoro, e quindi si vergogna di chiedere di lavorare alla Martina.
Lo zio demente e Silvio
In realtà chiamano così lo zio perché curava i dementi, non perché fosse demente lui. Silvio era un parente della mamma che si era tolto la vita, e che viene spesso in mente a Lidia.
Barbison
E’ un personaggio decisamente secondario, eppure il romanzo si chiude con il suo nome. Se il padre di Natalia dice Ah non cominciamo adesso col Barbison! Quante volte lho sentita contare questa storia!” Sembra quasi alludere appunto a quella struttura circolare della storia, che può ricominciare daccapo, come un circolo che non finisce.
La formazione letteraria di Natalìa
Natalìa inizia a scrivere novelle, che fa leggere a Pitigrilli, uno scrittore di successo all’epoca, che però faceva praticamente da spia del regime. Fu però Felice Balbo a guidare la maturazione letteraria di Natalìa, con le sue critiche pazienti e i suoi giudizi illuminanti. Balbo aveva una moglie che non condivideva le sue idee, Lola, che aveva lavorato nella casa editrice Einaudi era stata incarcerata per due mesi dai fascisti. Balbo e la moglie si trasferiscono poi a Roma, dove dimostrano di non sapere educare i loro figli. Natalia si trasferisce anche lei a Roma, e si risposa.
La sua scrittura deve emanciparsi dalla famosa ansia di scrivere che sembrava cogliere tutti nel secondo dopoguerra, dopo l’epoca del silenzio” fascismo. Ad un certo punto Era necessario tornare a scegliere le parole, a scrutarle per sentire se erano false o vere, se avevano o no vere radici in noi”. Da sottolineare questa urgenza di verità della scrittura, e anche queste radici, da contrapporre alla comune illusione”, e questo testo si pone in questa prospettiva.