Tre poesie di Raoul Follereau
28 Dicembre 2019Spesso il male di vivere di Eugenio Montale
28 Dicembre 2019“Spesso il male di vivere ho incontrato” è una delle poesie più celebri di Eugenio Montale, tratta dalla raccolta Ossi di seppia (1925).
In questa poesia, Montale esprime una visione del mondo segnata dalla sofferenza e dall’ineluttabilità del male di vivere, un concetto che riflette il pessimismo esistenziale tipico della sua poetica.
Testo della poesia
Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l’incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato. 4
Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato. 8
Lettura e analisi
Prima strofa
- “Spesso il male di vivere ho incontrato:” Montale apre la poesia con un’affermazione lapidaria: il “male di vivere” è un’esperienza comune, incontrata spesso. Il “male di vivere” rappresenta il dolore esistenziale, l’insoddisfazione e la sofferenza che permeano l’esistenza umana.
- “era il rivo strozzato che gorgoglia,” La sofferenza è qui rappresentata dal “rivo strozzato”, un corso d’acqua che non scorre liberamente, ma è ostruito, bloccato. Questo simboleggia la difficoltà di fluire, di vivere serenamente, con la vita che si presenta come un percorso travagliato.
- “era l’incartocciarsi della foglia riarsa,” L’immagine della “foglia riarsa” che si accartoccia richiama la morte, il declino, l’inevitabile caducità della vita. È un’altra manifestazione del “male di vivere”, la desolazione che si palesa nella natura stessa.
- “era il cavallo stramazzato.” L’immagine del “cavallo stramazzato” è ancora più drammatica: un essere vivo, forte e nobile, abbattuto. Il cavallo, qui, è simbolo di una vita spezzata, della sconfitta, della resa di fronte alla forza inesorabile del dolore e della morte.
Seconda strofa
- “Bene non seppi, fuori del prodigio” Montale riconosce di non conoscere il “bene”, se non in una forma rara e quasi soprannaturale: un “prodigio”. Qui, il “bene” non è qualcosa di facilmente accessibile o quotidiano, ma è raro, distante, quasi inafferrabile.
- “che schiude la divina Indifferenza:” Il “prodigio” a cui allude è la “divina Indifferenza”. Questa è una delle immagini più potenti della poesia di Montale. L’unico “bene” che l’autore intravede è un distacco totale dalla vita, un’indifferenza che è quasi divina, perché si eleva sopra le miserie e il dolore dell’esistenza.
- “era la statua nella sonnolenza del meriggio,” La “statua” rappresenta un’immagine di perfetta immobilità e distacco, insensibile alle passioni e al dolore, persa nella sonnolenza di un pomeriggio assolato.
- “e la nuvola, e il falco alto levato.” Anche la “nuvola” e il “falco” sono simboli di questa indifferenza. La nuvola si sposta lentamente e senza meta, mentre il falco, alto nel cielo, è lontano e distaccato dal mondo terreno, espressione di una superiorità inaccessibile e indifferente.
Commento
“Spesso il male di vivere ho incontrato” è una poesia che incarna pienamente il pessimismo e il disincanto di Eugenio Montale. Attraverso immagini forti e concrete, il poeta descrive un’esperienza esistenziale dominata dal dolore, dalla sofferenza e dalla consapevolezza della morte. Il “male di vivere” è per Montale una realtà quotidiana, incontrata frequentemente nelle manifestazioni più banali e al tempo stesso più tragiche della vita.
La “divina Indifferenza” rappresenta, in questo contesto, l’unica forma di salvezza, se così si può chiamare: non una salvezza attiva o redentrice, ma una condizione di distacco e di estraneità che permette di non essere sopraffatti dal dolore. Questo distacco, tuttavia, è raramente raggiungibile dagli esseri umani e, pertanto, rimane un “prodigio”, qualcosa di straordinario e lontano.
Montale ci presenta una visione del mondo dura e realistica, priva di illusioni consolatorie. La vita è pervasa da un male che è ineluttabile, e l’unica risposta possibile sembra essere un distacco stoico, una sorta di rassegnazione che, però, non è amara, ma piuttosto un atto di consapevolezza superiore.