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27 Gennaio 2019L’infinito in filosofia, sintesi dalla Tesina Esame di Stato di Stefano Gambaro, Esame di Maturità 2002
Filosofia
Fino al Seicento, la grande tradizione culturale occidentale si è caratterizzata per una visione finitistica: l’universo, pur essendo vastissimo, era considerato finito.
Una prima rivalutazione del concetto di infinito si ha con il Romanticismo. Questo movimento culturale interpretava la ragione come una forza infinita, onnipotente, che permea e domina il mondo, costituendone la sostanza stessa. Fichte, per la prima volta, identificò la ragione con l’Io infinito o Autocoscienza assoluta, considerandola la forza da cui scaturisce il mondo. Qui, l’infinito non è inteso come estensione o durata, ma come coscienza o potenza. Diversamente, Hegel contrapponeva il “falso infinito”, separato dal finito e in perenne tentativo di superarlo, al “vero infinito”, che si realizza all’interno e attraverso il finito stesso. Questo infinito, concepito come principio creativo e spirituale, assume nomi diversi: Io per Fichte, Assoluto per Schelling, Idea per Hegel. Tuttavia, per i romantici, esso rappresenta sempre coscienza, libertà e capacità creativa.
L’infinito poteva essere interpretato in due modi. Da un lato, come Ragione assoluta, che si sviluppa attraverso una necessaria sequenza di determinazioni. Dall’altro, come attività libera e informe, che si pone costantemente oltre ogni sua determinazione. Schlegel, ad esempio, lo considerava un sentimento, trascendente la razionalità, che si manifesta più nell’arte che nella filosofia. Schelling, infatti, riteneva che l’arte fosse la migliore espressione dell’Assoluto, rendendo l’esperienza artistica il mezzo privilegiato per avvicinarsi a esso.
Per i romantici, il fine della filosofia è la conoscenza dell’Assoluto, fondamento del divenire cosmico. L’uomo può raggiungere questa comprensione attraverso una comunione empatica, poiché uomo e Natura condividono la stessa sostanza. Cercando l’Assoluto dentro di sé o nella Natura, il filosofo romantico interpreta i segni del mondo guidato dal sentimento dello Streben (tensione verso l’infinito). Tuttavia, l’esperienza umana è limitata e conduce al Sehnsucht, uno struggimento caratterizzato da un desiderio irrealizzabile. Questo anelito insoddisfatto, rivolto all’infinito, trova una manifestazione nell’arte, dove l’infinito si realizza nel finito.
Le filosofie romantiche vedono l’Assoluto come un movimento dinamico che dà origine al mondo, trasformando l’infinito in finito e generando un flusso perpetuo. Fichte poneva l’Io al centro della realtà, considerando l’atto dell’autoscissione in Io e Non-Io il motore della conoscenza. Schelling superò questa visione, interpretando la Natura non come un limite dell’Io, ma come il primo stadio evolutivo dell’Assoluto. L’arte, per Schelling, rivela l’unità tra Natura e Spirito.
Con Hegel, l’Assoluto entra nella storia. La storia diventa il processo con cui lo Spirito raggiunge la piena consapevolezza di sé. Attraverso la Fenomenologia dello Spirito, la coscienza fenomenica si purifica fino a giungere al Sapere assoluto. Per Hegel, l’infinito si realizza nel finito, tramite un processo dialettico circolare composto da tesi, antitesi e sintesi. Questo circolo dinamico supera le divisioni tra particolare e universale, finito e infinito.
Hegel criticò Fichte, accusandolo di concepire un infinito “falso” e irrisolto, poiché la sua dialettica non raggiunge un fine concreto. Al contrario, per Hegel, il vero infinito è un processo circolare della Ragione che integra il finito.
Marx rifiutò l’Assoluto hegeliano, considerandolo astratto e distante dalla realtà pratica. Per lui, la storia è prassi materiale, non guidata da principi metafisici. Kierkegaard, invece, legò l’infinito a un’esperienza religiosa, in cui l’uomo, consapevole della propria finitudine, cerca di superarla attraverso il rapporto con Dio. Tuttavia, tale relazione è impari e genera disperazione, superabile solo attraverso la fede, che consente di accettare i propri limiti e riconoscere l’infinito.
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