Daniela Notarbartolo
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27 Gennaio 2019
da “Don Candeloro e C.” (1894)
Novelle di Giovanni Verga
Nel monastero di Santa Maria degli Angeli c’era sempre stata proprio la pace degli angeli. Non dispute né combriccole quando trattavasi di rieleggere la superiora, suor Maria Faustina, che reggeva il pastorale da vent’anni, come i Mongiferro da cui usciva tenevano il bastone del comando nel paese; non liti fra le monache pel confessore o per la nomina delle cariche della comunità. Le cariche si sapeva a chi andavano, secondo la nascita e l’influenza del parentado. E come suol dirsi che il monastero è un piccolo mondo, anche lì dentro c’erano le sue gerarchie, chi disponeva di un pezzetto d’orticello, e chi no, chi aveva le sue camere riserbate sotto chiave, le sue galline segnate alla zampa, e i giorni fissi per servirsi delle converse e del forno della comunità. Ma senza invidie, senza gelosie, che son l’opera del demonio e mettono la discordia dove non regna il timor di Dio e il precetto d’obbedienza. Già si sa che tutte le dita della mano non sono eguali tra di loro, e che anche nel Testamento Antico c’erano i Patriarchi e le Potestà. A Santa Maria degli Angeli l’abbadessa e la celleraria erano sempre state una Flavetta o una Mongiferro: dunque vuol dire che così doveva essere, e a nessuna veniva in mente di lagnarsene. Se nascevano delle questioni alle volte – Dio buono, siamo nel mondo, e ne nascono da per tutto – suor Faustina colle belle maniere, e don Gregorio suo fratello coi sorbetti e i trattamenti che mandava per tutte quante le religiose, nelle feste solenni, mantenevano nel convento il buon ordine e il principio d’autorità.
Ma un bel giorno questa bella pace degli angeli se ne andò in fumo. Bastò un’inezia e ne nacque un diavolìo.
Padre Cicero e padre Amore, liguorini e cime d’uomini, vennero in paese pel quaresimale e fondarono l’Opera del Divino Amore, con sermoni appropriati e sottoscrizioni pubbliche fra i fedeli. Se ne parlava da per tutto. Le buone suore avrebbero voluto vedere anch’esse di che si trattava. Però il monastero ne aveva pochi da spendere, e suor Maria Faustina diceva che bastava don Matteo Curcio, il cappellano, per gli esercizi spirituali.
C’era in quel tempo novizia a Santa Maria degli Angeli, Bellonia, figlia di Pecu-Pecu, il quale arricchitosi col battezzare il vino, aveva messo superbia per sé e pei suoi e aveva pensato di far educare la figliuola fra le prime signore del paese – motivo d’appiccicarle il Donna, se giungeva a maritarla come diceva lui.
Bellonia però, rimasta nel sangue bettoliera e tavernaia, in convento ci stava come il diavolo nell’acqua santa, e gliene fece vedere di ogni colore, a lui Pecu-Pecu, e alle monache tutte quant’erano. La prima volta fuggì ficcandosi nella ruota del parlatorio. Una povera donna che si trovava lì appunto a ricevere non so che piatto dolce dalle monache, rimase figuratevi come, invece, al vedersi sgusciar fuori dallo sportello quel diavolo in carne, appena girò la macchina. Un’altra volta si calò dal muro dell’orto, colle sottane in aria, a rischio di spezzarsi il collo. Un giorno che si facevano certi lavori nel monastero, e c’era quindi un via vai di muratori alla porta, Bellonia si cacciò fra le gambe della suora portinaia, e via di corsa. Pecu-Pecu, poveretto, ogni volta correva a cercare la sua figliuola di qua e di là, fra gli altri monelli, nei trivi, fuor del paese, dietro le siepi di fichi d’India pure, e la riconduceva per un orecchio al convento, supplicando la madre badessa di perdonarle e ripigliarsela per amor di Dio. Alla ragazzetta che si ribellava poi, e strillava rivoltolandosi in giro per terra, strappandosi vesti e capelli, e non voleva starci, carcerata in convento, Pecu-Pecu tornava a dire:
– Bellonia, abbi pazienza!… Per amor del tuo papà!… Dammi questa consolazione al papà! –
Bellonia non voleva dargliela. Vedendo che non poteva escirne, di gabbia, o dopo tornava a cascarci per sempre, cercò il modo e la maniera di farsene cacciar via dalle monache stesse. Attaccò lite con questa e con quella, mise zizzanie, inventò pettegolezzi, fece altre mille diavolerie, e non giovava niente. Pecu-Pecu accorreva, pregava, supplicava, faceva intendere questo e quell’altro, si giovava della protezione di don Gregorio Mongiferro e degli altri pezzi grossi, ch’eran tutti suoi debitori, mandava regali al convento, e Bellonia vi restava sempre. Tanto, suo padre si era incaponito di lasciarvela a imparare l’educazione, sino a che la maritava.
– Tu dammi questa consolazione, e il papà in cambio ti contenterà in tutto quello che desideri -.
– Pensa e ripensa, infine Bellonia disse che voleva quelli del Divino Amore, e Pecu-Pecu fece venire i due padri liguorini a sue spese. Quaresimale in regola e Santa Maria degli Angeli, con organo, mortaletti e suono di campane.
Dopo due giorni soli che padre Cicero e padre Amore fecero sentire la parola di Dio a modo loro, le povere monache parvero ammattite tutte quant’erano. Chi fu presa dagli scrupoli, e chi si trovava ogni giorno un peccato nuovo. Estasi di beatitudine, fervori religiosi, novene a questa o a quella Madonna, digiuni, cilizi, discipline che levavano il pelo. Parecchie si accusarono pubblicamente indegne del velo nero. Suor Candida, per mortificazione, non si lavava più neppur le mani, suor Benedetta portava una funicella di pelo di capra sulle nude carni, e suor Celestina arrivò a mettere dei sassolini nelle scarpe. A suor Gloriosa infine la predica dell’Inferno aveva fatto dar volta completamente al cervello, e andava borbottando per ogni dove: – Gesù e Maria! – San Michele Arcangelo! – Brutto demonio, va via! –
Siccome la grazia poi toccava i cuori per bocca dei due predicatori forestieri, le suore se li rubavano al confessionale, al parlatorio, li assediavano sino a casa per mezzo del sagrestano, coi dubbi spirituali, coi casi di coscienza, coi vassoi pieni di dolci. Alla madre abbadessa fioccavano le domande delle religiose, le quali chiedevano l’uno o l’altro dei due padri liguorini per confessore straordinario. Invano suor Maria Faustina, che ai suoi anni era nemica di ogni novità, rifiutava il permesso, anche per riguardo a don Matteo Curcio, che era il cappellano ordinario del monastero. Le monache ricorrevano al vicario, all’arciprete, sino al vescovo, inventavano dei peccati riservati, si lamentavano che don Matteo Curcio era duro d’orecchio, e non dava quasi retta: – Gnora sì – Gnora no – Ho inteso – Tiriamo innanzi -. Qualcheduna giunse ad accusarlo di far cascare le penitenti in distrazione, con quella barba sudicia di otto giorni, che in un servo di Dio non ispirava alcuna devozione.
Invece i due padri forestieri, quelli sì che sapevano fare! L’uno, padre Amore, che portava il nome con sé, un bell’uomo che si mangiava l’aria, e faceva tremar la chiesa in certi passi della predica; e padre Cicero, un artista nel suo genere, tutto san Giovanni Crisostomo, col miele alle labbra. I peccati sembravano dolci a confidarli nel suo orecchio. E la bella maniera che aveva di consolare! – Sorella mia, la carne è fragile. – Siamo tutti indegni peccatori. – Buttatevi nelle braccia del Divino Amore -. Allorché vi sussurrava all’orecchio certe parole, con la sua voce insinuante, con le pupille color d’oro che vi frugavano addosso attraverso la grata, sembrava che vi s’insinuasse nella coscienza, quasi l’accarezzasse, talché quando levava per assolvervi quella bella mano fine e bianca, vi veniva voglia di baciarla.
Qualche disordine s’era notato sin da principio. C’erano state delle mormorazioni a causa di suor Gabriella la quale accaparravasi padre Amore tutte le mattine, e lo sequestrava al confessionale per delle ore, quasi ella avesse il jus pascendi perché discendeva dal Re Martino. Altre si sentivano umiliate dai canestri di roba che suor Maria Concetta mandava in regalo a padre Cicero: paste, conserve, sacchi interi di zucchero e caffè; alla sua grata, nel parlatorio, dopo la messa di padre Cicero, sembrava che vi fosse il trattamento di qualche monacazione. Voleva dire che chi non poteva spendere, come suor Maria Concetta, o doveva fare una magra figura, o non si poteva mettere in grazia di Dio col confessore forestiero.
Perciò suor Celestina fu costretta a privarsi delle due uniche galline, e suor Benedetta, che non aveva altro, dovette sollecitare la grazia di lavare colle sue mani la biancheria di padre Cicero. – Ogni fiore è segno d’amore. – I due reverendi protestavano, padre Cicero specialmente, che ci stava alle convenienze: – Non voglio. – Non posso permettere -. Una volta finse pure d’andare in collera con don Raffaele, il sagrestano, che non c’entrava per nulla affatto, e di quelle scene non ne aveva viste cogli altri preti, stomacato dalla commedia in cui padre Amore rappresentava poi la parte di paciere e pigliava lui le paste e i regali, per non mandarli indietro. – E per non dir neanche grazie! – borbottava don Raffaele tornandosene a mani vuote. Ma infine, sia padre Cicero o padre Amore, i reverendi pigliavano ogni cosa, a somiglianza degli apostoli che erano pescatori e usavano la rete. Tutti i giorni, dal monastero ai Cappuccini, dove erano alloggiati padre Amore e padre Cicero, andava su e giù don Raffaele, poveraccio, carico di vassoi e di canestri pieni di regali, sicché una volta don Matteo Curcio, non per indiscrezione, ma per saper dire il fatto suo a tempo e luogo colle antiche penitenti, se mai, lo fermò per via, e volle cacciare il naso sotto il tovagliuolo che copriva il canestro.
– Caspita, don Raffaele! Dev’esser festa solenne anche per voi, con tante mance che vi daranno i liguorini! –
Il sagrestano gli rispose con un’occhiataccia.
– Mance, eh?… Neanche uno sputo in faccia, vossignoria!… Retribuere Domine, bona facientibus, che non costa niente… –
Figuriamoci Bellonia, che aveva fatto la spesa dei liguorini, e credeva di averli tutti per sé! Villana senza educazione com’era, si diede a insolentire questa e quell’altra. – Suor Celestina che stava al confessionale mezze giornate intere. – Suor Maria Concetta che s’accaparrava padre Amore. – Suor Celestina che basiva dinanzi a padre Cicero. – La gelosia del monastero insomma, Dio ne scampi e liberi. La madre abbadessa allora fece atto d’autorità, per metter freno allo scandalo. Niente liguorini. Niente confessori straordinari. Chi voleva ricorrere al Tribunale della Penitenza c’era don Matteo Curcio, il cappellano solito, nessuna eccettuata, a cominciare dalla Flavetta, ch’è tutto dire. Suor Gabriella non disse nulla, ma non si confessò neppure, né coi liguorini, né col cappellano ordinario, quindici giorni interi. La superiora quindi, a far vedere che non era una Mongiferro per nulla:
– Suor Gabriella, precetto d’obbedienza, andate a confessarvi da don Matteo Curcio -.
Suor Gabriella fece anche questa, si presentò al confessionale, con quell’alterigia di casa Flavetta:
– Son venuta a fare atto d’obbedienza alla madre badessa. Mi presento -.
E null’altro. Il povero don Matteo Curcio, buono come il pane, non poté frenarsi questa volta.
– Voi altre signore monache siete tutte superbe, – disse, – ma vossignoria è la più superba di tutte -.
Bellonia però tenne duro: o il padre liguorino, o niente. Pecu-Pecu dovette tornare a infilare il vestito nuovo e venire a intercedere. L’abbadessa dura lei pure.
– Anche le educande adesso? Ci voleva anche questa adesso! Perché lo tengo padre Curcio allora? –
Pecu-Pecu, che gli cuoceva ancora la spesa dei liguorini, non sapeva darsi pace. – O bella! Come se le educande non potessero avere dei peccati riservati meglio delle professe! Son io infine che pago!… – E nell’andarsene mortificato e deluso si lasciò pure scappar di bocca:
– Sino in Paradiso si deve andare per riguardo umano! Se Bellonia fosse figlia di qualche barone spiantato, l’avrebbe avuto il liguorino! –
Bellonia intanto per spuntarla pensò di mutar registro. Demonio incarnato, si mise a fare la santa, cadendo in estasi ogni quarto d’ora, presa dagli scrupoli se le toccavan una mano, facendo chiamare in fretta e in furia don Matteo Curcio al confessionale due o tre volte al giorno, come se fosse in punto di dannarsi l’anima, per dirgli invece delle sciocchezze, tanto che il pover’uomo ci perdeva il latino e la pazienza.
– Figliuola mia, il troppo stroppia. – Questo è opera della tentazione. – Che c’è di nuovo, sentiamo?
– C’è che ho un peccato grosso. Ma non vuol venir fuori con vossignoria… O che non sapete fare, o che mi siete antipatico… –
Finché il pover’uomo perdé la pazienza del tutto, e le sbatté il finestrino sul muso. La madre abbadessa montò su tutte le furie contro Bellonia, e le appioppò una bella penitenza, il giorno stesso, in pubblico refettorio:
– Donna Bellonia, mangerete coi gatti, per insegnarvi il precetto d’umiltà – sentenziò suor Maria Faustina colla voce nasale che metteva fuori nelle occasioni in cui le premeva far vedere da chi nasceva.
La ragazzaccia, come se non fosse stato fatto suo, se ne stava tranquillamente ginocchioni nel bel mezzo del refettorio, seduta sulle calcagna, colla disciplina al collo, e la corona di spine in capo, e per ingannar la noia contava quanti bocconi faceva intanto suor Agnese con mezzo uovo, e quante mosche mangiavano nello stesso piatto di suor Candida. Poscia cavò fuori di tasca pian piano l’agoraio, e si divertì a far passare gli aghi da un bocciuolo all’altro. Tutt’a un tratto, mentre suor Speranza dal pulpito faceva la lettura, e le altre religiose stavano zitte e intente col naso sul piatto, si udì la figliuola di Pecu-Pecu, da vera figlia di tavernaio che era, a sbadigliare in musica.
La superiora picchiò severamente sul bicchiere col coltello, e si fece silenzio.
– Donna Bellonia! precetto d’obbedienza, farete subito subito tre volte la via crucis ginocchioni, col libano e la corona di spine! –
La ragazza spalancò gli occhiacci mezzo assonnati, ancora a bocca aperta, e domandò:
– Perché signora badessa?
– Per insegnarvi l’educazione, donna voi!
– Già… l’educazione… al solito!… –
Poi, sempre seduta sulle calcagna in mezzo al refettorio, cominciò, strapparsi di dosso la corona di spine e la funicella sparsa di nodi strillando:
– Io non voglio starci qui, lo sapete!… E’ mio padre che vuol tenermi qui, finché mi marito…
– L’ha preso per una locanda il monastero, l’ha preso! – disse forte suor Benedetta. – Anzi l’ha preso per un’osteria!…
– Già, l’osteria!… Vossignoria che lavate i fazzoletti di padre Cicero per sentire l’odore del suo tabacco… Come se non fosse peggio!… –
Scoppiò una tempesta nel refettorio. Suor Maria Concetta lasciò la tavola forbendosi la bocca col tovagliuolo a più riprese, quasi ci avesse delle porcherie; suor Gabriella arricciò il naso adunco dei Flavetta, sputando di qua e di là. La superiora poi sembrava che le venisse un accidente, gialla come lo zafferano, colla voce che dalla collera le tremava nel naso e fra i canini malfermi. Tutte quante che se la prendevano con donna Bellonia, ritte in piedi, vociando e gesticolando.
– Sissignora! – ostinavasi a dire la figlia di Pecu-Pecu colla faccia tosta di monella. – Come non si sapesse!… Suor Maria Concetta che gli imbocca i biscottini colle sue mani, a padre Cicero!… E le male parole che suor Gabriella ha detto a suor Celestina perché le ruba padre Amore!…
– E’ uno scandalo! una porcheria! – strillavano tutte insieme.
Suor Gloriosa, cogli occhi fuori dell’orbita, andava borbottando:
– Gesù e Maria! – San Michele Arcangelo! – Libera nos, Domine!…
– Sissignora! le porcherie le fanno loro pel confessore. Io non ho potuto averlo, il confessore forestiero, perché non son figlia di barone!… –
La superiora, ritta sulla predella abbaziale, riescì infine a far udire la sua voce in falsetto:
– Lo scandalo lo fo cessare io! Da ora innanzi il solo confessore di tutta la comunità sarà don Matteo Curcio, come prima!… Precetto d’obbedienza! La madre portinaia non lascierà passare più nulla senza il mio permesso speciale… Precetto d’obbedienza!… Voi, donna Bellonia, farete otto giorni di cella a pane ed acqua. Dopo poi si vedrà con vostro padre!… –
Non si dormì quella notte a Santa Maria degli Angeli.
«Che posso farci se l’amo? Forse che al cuore si comanda?…» dice la Sposa dei Cantici…
Padre Cicero, dacché gli era chiuso il parlatorio e il confessionale di Santa Maria degli Angeli, faceva parlare ogni momento la Sposa dei Cantici, negli ultimi sermoni del quaresimale. Padre Amore, più focoso, scorrazzava come un puledro nel Testamento Vecchio e Nuovo, cavandone fervorini di questa fatta:
«Tu mi hai involato il cuore, o sposa, sorella mia: tu mi hai involato il cuore con uno dei tuoi occhi» – «O Dio, tu ci hai scacciati… Dacci aiuto per uscir di distretta…».
Nel coro, di risposta, erano sospiri repressi, soffiate di naso ancora più eloquenti. Suor Benedetta, che non sapeva frenarsi, singhiozzava addirittura come una bambina, sotto il velo nero. – E Bellonia che doveva udire e inghiottir tutto.
Gonfia, gonfia, le venne in mente all’improvviso l’ispirazione buona.
Terminato il triduo, spenti i lumi e pagate le spese, padre Amore e padre Cicero vennero a ringraziare le signore monache e a prender congedo dalle figlie penitenti, una dopo l’altra, per non destar gelosie. Le poverette figuratevi in quale stato, e padre Cicero cavando di tasca il fazzoletto ogni momento, quasi gli si spezzasse il cuore a quella separazione. A un tratto, in mezzo alla scena muta che succedeva fra padre Amore e suor Celestina, tutt’e due colle lagrime agli occhi, saltò in mezzo anche Bellonia, come una spiritata, e ne fece e disse d’ogni sorta. Pianti, convulsioni, strilli che si udivano dalla piazza, tanto che corsero i vicini. Pecu-Pecu, don Matteo Curcio, ed anche gli sfaccendati della farmacia. E poi, quando vide il parlatorio pieno di gente, Bellonia si mise a gridare che voleva andarsene coi padri liguorini, che ci aveva il cuore attaccato con essi – un putiferio. Saltò su allora la madre abbadessa, come una furia, e se la prese con tutti quanti, a cominciare dai liguorini.
– Ah? E’ questa l’opera del Divino Amore che intendete voi? Non son chi sono se non vi faccio pentire! Scriverò a monsignore! Vi farò togliere la messa e la confessione! Vedrete chi sieno i Mongiferro! –
Quei poveri servi di Dio se ne andarono più morti che vivi, la madre abbadessa fu costretta a mandar via quel diavolo di ragazza, e Pecu-Pecu dovette ripigliarsi la sua Bellonia, che non prese il Donna, ma vinse il punto.