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27 Gennaio 2019James Joyce
27 Gennaio 2019Gabriele D’Annunzio
Libro Quarto delle LAUDI DEL CIELO DEL MARE DELLA TERRA E DEGLI EROI
La canzone d’oltremare
- I miei lauri gettai sotto i tuoi piedi,
- o Vittoria senz’ali. E’ giunta l’ora.
- Tu sorridi alla terra che tu predi.
- Italia! Dall’ardor che mi divora
- sorge un canto più fresco del mattino,
- mentre di te l’esilio si colora.
- Oggi più alta sei che il tuo destino,
- più bella sei che la tua veste d’aria;
- e di lungi il tuo vólto è più divino.
- Odo nel grido della procellaria
- l’aquila marzia, e fiuto il Mare Nostro
- nel vento della landa solitaria.
- Con tutte le tue prue navigo a ostro,
- sognando la colonna di Duilio
- che rostrata farai d’un novo rostro.
- E nel cuore, oh potenza dell’esilio,
- il nome tuo m’è giovine e selvaggio
- come nel grido delle navi d’Il’io.
- Italia! Italia! Non fu mai tuo maggio,
- nella città del Fiore e del Leone
- quando ogni fiato era d’amor messaggio,
- sì novo come questa tua stagione
- maravigliosa in cui per te si canta
- con la bocca rotonda del cannone.
- Questa è per te la primavera santa
- che – dice il dio – «d’ogni semenza è piena
- e frutto ha in sé che di là non si schianta».
- Oggi nova tu sei per ogni vena
- sopra l’oblìo dell’onta; e nelle Sirti
- ucciderai l’ultima tua sirena.
- Come vivremo, o bella, per servirti?
- come morremo, o fior delle contrade,
- perché tu c’inghirlandi de’ tuoi mirti?
- Del miglior sangue fa le tue rugiade
- e serba la promessa d’Oriente,
- se il paradiso è all’ombra delle spade.
- Siamo cinti d’oblìo. Siamo una gente
- fresca e spedita, immemore dei giorni
- squallidi, paziente e impaziente,
- immemore dei sonni e degli scorni
- quand’ella mendicava il suo preconio
- dal ciompo, tempestando il pan ne’ forni,
- e la pace era femmina da conio
- che per ruffian s’avea qualche Bonturo
- e un Zanche per mezzano al mercimonio.
- Giorni senz’alba, il rullo del tamburo,
- lo squillo della tromba, e questa sorte
- che turbina alle soglie del futuro,
- vi disperdono. Tuonano sì forte
- le volontà, che nella rossa aurora
- non s’ode il crollo delle cose morte.
- Ecco il giorno, ecco il giorno della prora
- e dell’aratro, il giorno dello sprone
- e del vomere. O uomini, ecco l’ora.
- E’ venuta col rombo del tifone
- pel Mar Mediterraneo, più fiera
- che l’astro su la spalla d’Orione,
- più colorata che la messaggera
- della Celeste. E al grido «Issa! Issa!»
- già tutta l’aria è sola una bandiera.
- Emerge dalle sacre acque di Lissa
- un capo e dalla bocca esangue scaglia
- «Ricòrdati! Ricòrdati!» e s’abissa.
- E il Mar Mediterraneo, che vaglia
- le stirpi alla potenza ed alla gloria,
- in ogni flutto freme la battaglia.
- «Ch’io mi discalzi» dice la Vittoria,
- simile a grande mietitrice albana,
- fosca sotto la fronda imperatoria
- «Ch’io mi discalzi presso la fiumana
- di Rumia bella, dove il suo meandro
- nutre l’olivo a Pallade romana.
- Ch’io pieghi e chiuda un ramo d’oleandro
- in Lebda, nella cuna di colui
- che suggellò la tomba d’Alessandro.
- Ch’io m’abbeveri là dove già fui,
- non per l’umide argille alla caverna
- onde il Lete discende i regni bui,
- ma per l’aride sabbie alla cisterna
- di Roma, che nell’ombra una silente
- linfa conserva e una memoria eterna.
- Con me, con me verso il Deserto ardente,
- con me verso il Deserto senza sfingi,
- che aspetta l’orma il solco e la semente;
- con me, stirpe ferace che t’accingi
- nova a riprofondar la traccia antica
- in cui te stessa ed il tuo fato attingi,
- con me là dove chi combatte abbica,
- perché nella corona io ti connetta
- la foglia della quercia con la spica!
- Se tu mi veda oggi nell’armi eretta
- sopra la prua, tu mi vedrai domani
- da presso curva al suolo che t’aspetta,
- quando pacata come i Decumani
- acerrimi, con nude ambe le braccia,
- tu rempierai di semi le tue mani.
- Troppo vegliai, avverso la minaccia
- del sonno e della febbre, in Ostia morta,
- volta al limo del Tevere la faccia,
- tra gli stipiti alzati della Porta
- Marina dove a vespero s’aduna
- luce fatale dalle pietre assorta,
- io sola con l’anelito, se alcuna
- ombra d’iddio scorgessi o udissi entrare
- nella foce la Nave e la Fortuna.
- Ah, se tanto vegliai sul limitare
- terribile, ch’io dorma un sonno lene
- e breve, sotto l’Arco d’oltremare!
- Ch’io sogni il greco sogno di Cirene,
- sotto l’Arco del savio Imperatore
- sgombro della barbarie e delle arene,
- schiuso al Trionfo, mentre dalle prore
- splende la pace in Tripoli latina,
- recando i dromedarii un sacro odore.
- O incenso del Deserto alla marina,
- profumo delle incognite contrade
- fulvo come la giubba leonina;
- aròmati e metalli, armenti e biade,
- e Berenice dalla chioma d’oro!
- Il paradiso è all’ombra delle spade.
- La palma è la sorella dell’alloro.»
- Dice la grande Vergine che squilla
- simile a Cl’io nel grande aonio coro.
- E per noi dalla libica Sibilla,
- sotto il cielo voltato dal Titano,
- la sentenza di Dio si disigilla.
- Preparate l’aratro cristiano,
- preparate la falce per la mèsse,
- il frantoio e la macina al Soldano,
- l’ascia il piccone e il palo ch’ei dilesse,
- i gran magli e le macchine forbite
- simili a moltitudini indefesse;
- i forni vasti come le meschite
- pel ferro dissepolto, le magone
- ov’aspro strida nell’assidua lite;
- le fornaci per cuocere il mattone
- dei costruttori, in cui porrem l’impronta
- che piacque a Nerva: Roma col timone.
- Ogni tristezza dietro a noi tramonta.
- Chi latra ancóra nella lorda fossa,
- quando il fato con l’anima s’affronta?
- Italia, alla riscossa, alla riscossa!
- Ricanta la canzone d’oltremare
- come tu sai, con tutta la tua possa,
- come quando sorgeva sopra il mare
- in sangue e in fuoco un sol cl’amor selvaggio
- «Arremba! Arremba!» e ne tremava il mare,
- scrosciando la galèa, preso il vantaggio
- e infisso il cuor del capitano al rostro,
- con le vele e coi remi all’arrembaggio.
- «Dienai’, Dienai’ e ‘l Signor nostro!
- Dienai’, Dienai’ e ‘l San Sepolcro!»
- cantava la galèa sul Mare Nostro.
- Nel croscio de’ tuoi secoli io t’ascolto.
- «Dienai’, Die n’aìti in mare e in terra!»
- Alza nel grido il tuo raggiato vólto,
- e in terra e in mare tieni la tua guerra.