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27 Gennaio 2019James Joyce
27 Gennaio 2019
Gabriele D’Annunzio
Libro Quarto delle LAUDI DEL CIELO DEL MARE DELLA TERRA E DEGLI EROI
La canzone del Sacramento
- INTROIBO AD ALTARE DEI. Sul cassero
- era fitto un pavese quadro in otto
- battagliòle forcute, e v’era un assero
- di timone per grado, e paliotto
- un panno di bastita era, tovaglia
- era ferzo di trevo o marabotto;
- e quivi con un càmice di maglia
- l’asta di croce in pugno avea l’accolito.
- Sì fatto era l’altare di battaglia.
- E fu silenzio ed isplendore insolito
- su tutto il mare, al segno del Primate.
- E tutte le galèe stavano in giolito,
- con le pale fuor d’acqua affrenellate
- su la bonaccia. E il giorno di San Sisto
- era per i Pisani, a mezza state.
- Tenean quelli di Genova il sinistro
- corno con navi e saettìe, l’opposto
- le genti di Campania unite in Cristo.
- Rosse le prore come tinte in mosto
- avea Salerno, d’indaco Gaeta,
- d’oro Amalfi alla Vergine d’agosto;
- ché que’ mercanti a battere moneta
- intendevano sol per far naviglio
- e cambiavano in gómene la seta.
- KYRIE, ELEISOS. Il bianco ed il vermiglio
- ondeggiavan con l’Aquila pisana
- che già temprato in Bona avea l’artiglio;
- e la Rosa dei v’ènti amalfitana,
- già fatta croce irsuta d’otto punte,
- si consecrava presso la campana.
- CHRISTE ELEISON. Ché s’erano congiunte
- nel lor Signore le città tirrene
- la prima volta a lega; avevan unte
- di novo spalmo a caldo le carene
- per la lega, cresciuto il palamento,
- rinforzato il cordame e le catene,
- ai lor Vescovi dato sacramento
- di riscattare dal predone immondo
- le tolte navi, il cristiano armento;
- e parea quivi il comun corpo al mondo
- latino annunziar le sante imprese,
- prima che si crociasse Boemondo.
- KYRIE, ELEISON. Le guardie del calcese
- trasognando vedean nell’acqua i bianchi
- marmi fiorir delle lor dolci chiese.
- Tutti in corazza i rematori franchi,
- allacciati i giglioni coi frenelli,
- pregavano a ginocchi sopra i banchi;
- ma i prodieri, di sotto i lor cappelli
- di cuoio, con un piede alla pedagna,
- guatavano la costa pei portelli.
- AGNUS DEI. E per tutta la compagna
- fremito corse; ché, splendor d’Iddio,
- splendé nella raggiera l’Ostia magna.
- E i prossimi gridarono: «Te, Dio,
- lodiamo, Te, Signore, confessiamo!».
- Ed anelavan di ricever Dio
- nella specie del Pane. «Te lodiamo,
- Te confessiamo, unico Iddio vivente.
- Del corpo di Gesù comunichiamo.
- Dacci il Pane dei forti!» E incontanente
- s’apprese la divina bramosia,
- corse di poppa in prua, di gente in gente.
- E il Vescovo rispose: «Così sia».
- E per tutto il naviglio fu gran serra
- al grido: «Eucaristia! Eucaristia!».
- Ed era il grido della santa guerra.
- Poi fu silenzio. Il rugghio d’un leone
- udito fu venire dalla terra.
- E dal cassero come dall’ambone
- il Vescovo parlò: «Fratelli in Dio,
- udite, udite il rugghio del leone!».
- E sopra la coverta un balenìo
- passò, dalle garitte alle rembate;
- le carte del Vangelo sul leggìo
- si volsero, le lunghe fiamme issate
- garrirono, stridé l’alberatura
- carica delle vele ammainate;
- ché si levava il vento di Gallura
- per i Pisani. E il console Uguccione
- dietro il Vescovo apparve in armatura.
- E il Vescovo parlò: «Egli è il leone
- di Ieronimo, o quel che pien di miele
- fu rinvenuto in Timna da Sansone,
- o quel che nella fossa Daniele
- mansuefece, ond’egli disse al re:
- «L’Iddio mio mandò l’Angelo fedele
- il qual compresse le fauci, talché
- non m’hanno guasto». E sì voi confidate,
- ché molta in cielo è la vostra mercé,
- e l’Angelo di Dio dalle rembate
- vi guarda, e su dal gorgo i vostri morti
- risalgono perché vi ricordiate,
- perché più non isforzi ai vostri porti
- le catene il feroce rubatore».
- Gridaron tutti: «Dacci il Pan dei forti!».
- E, come fu sedato il gran clamore,
- tanto crebbe la romba dei ruggiti
- per quelle rupi rogge dall’ardore,
- che parve avesser chiuso i re ziriti
- quivi l’intiera possa del Deserto
- a difendere i culmini turriti.
- Sorgevano le sette torri in serto
- sopra il ciglione, e la muraglia spessa
- le collegava; e il fosso era coperto
- dal barbacane; e sola era l’ungh’essa
- la muraglia una porta verso terra,
- ché la cerchia marina era inaccessa.
- Ismisurata macchina di guerra,
- la nemica città feriva il cielo
- mentre il suo cor parea ruggir sotterra.
- «O Cristiani, in duomo pel Vangelo
- voi giuraste, toccata la scrittura,
- per le Reliquie sante, per il velo
- di Nostra Donna e per la sua cintura,
- pei vostri fuochi e per le vostre fonti,
- e per la culla e per la sepoltura!»
- Miravano i Pisani Ugo Visconti
- ch’era il lor fiore, e rivedeano corca
- la dolce Pisa in ripa d’Arno ai ponti,
- e dove la fiumana si biforca
- l’orme di Piero, e alzata in pietre conce
- la preda di Palermo e di Maiorca.
- Misurar si sognavano a bigonce
- i Genovesi e il console Gandolfo
- l’oro ch’avean pesato a once a once.
- Quei di Salerno il lor l’unato golfo,
- gli archi normanni, tutta bronzo e argento
- la porta di Guïsa e di Landolfo
- aveansi in cuore, e l’arte e l’ardimento
- onde tolse lo scettro ad Alberada
- Sigilgaita dal quadrato mento.
- Ma quei d’Amalfi, cui la lunga spada
- era misura, a patria più lontana
- andavano; ché già s’avean contrada
- e forno e bagno e fondaco e fontana
- per tutto, e Mauro Còmite dal Greco
- mattava il Doge al libro di dogana.
- «Fratelli in Cristo, dietro il muro bieco
- a mille a mille anime battezzate
- penano; e solo il pianto hanno con seco.
- Non vi croscia nel cor, se l’ascoltate?
- Sono i fanciulli, sono i vecchi, gli avi
- e i padri, son le donne violate,
- schiavi alla mola, schiavi al remo, schiavi
- al carico, sepolti nelle gune
- del grano come in cemeterii cavi,
- muffi nelle cisterne e nelle mude,
- riarsi dalla sete e dalla fame,
- rotti dalla catena e dalla fune.
- Bevono pianto, màsticano strame.
- Vivi non sono più né sono morti.
- Sono un cieco dolore in un carname.
- Se non vincete, ecco le vostre sorti,
- fratelli in Cristo.» E il tuono fu sul mare.
- «Allarme! Allarme! Dacci il Pan dei forti!»
- E l’Ostia sfolgorava su l’altare
- a tutti i marinai come la spera
- del sole. E Dio ricamminò sul mare.
- Ed issò lo stendardo ogni galera;
- e volse d’Occidente ad Oriente
- con le mani velate la raggiera
- il Vescovo, e dal petto suo potente
- AGNUS DEI QUI TOLLIS PECCATA MUNDI
- clamò tre volte sopra la sua gente.
- Ed Uguccione e i consoli congiunti
- in Cristo e tutta la capitanìa
- AGNUS DEI QUI TOLLIS PECCATA MUNDI
- conclamarono. E lungo la corsia
- e nelle balestriere e su i castelli
- risposero gli armati: «Eucaristia!».
- E i vogavanti sciolsero i frenelli,
- al sìbilo dei còmiti; e due vanni
- il legno fu dai cento suoi portelli.
- «La croce a poppa, messer San Giovanni
- a prua, la Vergin Donna Nostra in vetta
- all’albero di mezzo: e Dio li danni!»
- Gridavano i prostrati «Affretta! Affretta!»
- vedendo i lor adusti cappellani
- frangere a gara l’Ostia benedetta.
- E alfine s’ebber l’Ostia nelle mani
- essi i prostrati; assolti l’ebber tocca
- i feditori con le dure mani
- indurite alla lieva ed alla cocca,
- e la fransero e diedero ai compagni;
- e ricevuta fu di bocca in bocca.
- E l’un l’altro pregava: «Sì la fragni
- che basti a me, che basti anco a fratelmo!».
- E tremavagli il fondo degli entragni,
- ché non bastava. Allora nello schelmo
- saltò quell’uno, armato; si scoperse
- il capo, empié d’acqua marina l’elmo;
- e l’alzò, come calice l’offerse
- gridando: «Valga a noi per sacramento,
- o Vescovo di Cristo!». E quei converse
- in ispecie divina l’elemento
- indomito, col segno, dall’altare
- gridando: «Valga a voi per sacramento».
- E si comunicarono del mare
- sol con quel segno i fanti: ginocchioni
- contra i pavesi, udìan Màdia rugghiare.
- Poi forzaron le rupi ed i leoni.