Tito Livio
27 Gennaio 2019Globalizzazione
27 Gennaio 2019Dopo il successo clamoroso, in Gran Bretagna e in tutto il mondo, dei gruppi musicali (Beatles, Rolling Stones e i moltissimi che sono seguiti), anche in Italia negli anni ’60 è iniziato un prevedibile processo di imitazione. Contribuivano a sostenere il nuovo fenomeno due elementi: la egemonia culturale che stava esercitando sul costume la Gran Bretagna (e più in generale il mondo anglosassone) e la fame di musica e di novità del mercato italiano, allora uno dei più ricchi del mondo.
Formare un “complesso”, come venivano chiamati allora, non era difficile, il repertorio poteva essere ricavato dai successi inglesi, recuperabili sul posto dopo qualche viaggio, oppure ascoltando Radio Caroline o Radio Luxembourg, le radio private musicali inglesi.
La tecnica non era un problema, bastava un minimo di capacità di padroneggiare gli strumenti, sia per la semplicità del beat, sia per gli standard piuttosto bassi ai quali tutti si uniformavano (i virtuosi di chitarra dovevano ancora arrivare, così come gli assolo di basso e batteria mutuati dal jazz). Ascoltando i primi 45 giri dei successi italiani si può farsene una idea.
La formazione tipica era mutuata dai Beatles, chitarra ritmica (di accompagnamento) e voce, chitarra solista, basso, batteria. La chitarra ovviamente era elettrica, tipicamente una semplice Fender, spesso usata senza distorsore o altri effetti.
Alcuni seguivano la variante Stones, con un cantante front-man aggiunto, libero da strumenti da suonare, se non un tamburello con cui sottolineare il ritmo. Altri cercavano la originalità attraverso uno strumento ulteriore, tipicamente l’organo Hammond o Rhodes, secondo il modello degli americani Doors o, più tardi, degli inglesi Procol Harum e Moody Blues. Nel momento magico del Rythm & Blues qualcuno tentò anche l’innesto del sax.
I complessi cercavano, sul modello dei Beatles e dei Rolling Stones, di darsi una immagine riconoscibile e che consentisse di emergere dalla massa, nonché di identificare i musicisti come partecipanti ad un gruppo. Poteva essere il taglio di capelli, o i vestiti – travestimenti da utilizzare. Molti usavano abiti tutti uguali, sempre del tipo giacca e cravatta, come i Beatles degli inizi, che potevano trasformarsi anche in una specie di travestimento se l’abito era particolarmente estroso (per esempio una divisa militare, o un abito di colore insolito, o un costume di epoche passate).
L’uniformità non doveva però essere eccessiva, per consentire di fare emergere individualità e qualche fenomeno di proto-divismo, soprattutto incentrato sul cantante, che era solitamente il front-man. E che infatti, sul modello straniero, spesso era tentato di abbandonare il gruppo e tentare la carriera solistica.