La strofa – di Miriam Gaudio
29 Aprile 2012LESSICO FAMILIARE – Natalia Ginzburg
29 Aprile 2012TEMA : “In treno : nel tuo scompartimento siede una donna anziana dall’aria dimessa e sofferente : la tua fantasia ti suggerisce un racconto.
Sono sulla piattaforma del treno per New York delle 11.00, penso agli zii che mi aspettano al numero 5 di Breiken Road con una tazza di cioccolata calda e un bel letto comodo preparati per me. Sarà un week end fantastico con loro!
E’ una giornata nebbiosa ne grigia, il mio ombrello nero è bersagliato da mille gocce d’acqua che mi inzuppano le scarpe pesanti e il mio impermeabile beige stretto alla vita da una cintura. La gente mi spinge ovunque e, a stento, mi siedo in uno scompartimento quasi vuoto, davanti a me c’è una signora anziana: i suoi capelli grigi le ricadono sulle spalle sotto forma di un cespuglio scompigliato e non curato, ma mantengono un bagliore argenteo pari a quello che, ogni tanto, le guizza negli occhi vitrei, persi, sospettosi. Un pastrano scuro le ricopre un corpo un po’ tondo, troppo grande per quelle mani esili e minute che, tra l’oscurità del treno, spiccano bianche come un foglio e che, nervosamente, stringono un grosso fazzoletto sporco e unticcio ma che ogni tanto mandava qualche bagliore. Cosa deve esserci dentro? La mia fantasia vola ma, improvvisamente vengo interrotta da rumori bruschi e delle urla che si fanno sentire all’inizio del vagone. L’anziana signora scatta come una molla in piedi: pallida come un marmo. Il treno rallenta quando la sessantenne si avvicina a me e mi sussurra tutto d’un fiato: “Ventitrè Wall Street, sotto il nome
<< Jackins >>” , mi stringe nelle mani il fazzoletto, il treno si ferma, la urla diventano più vicine, la vecchia signora balza fuori dalla porta come una gazzella e scompare. Un istante dopo entrarono nello scompartimento due signori sulla quarantina, uno basso e l’altro uno spilungone: smoking nero e pistola in mano. Dallo spavento il dono appena ricevuto mi cade dalle mani: il fazzoletto si apre mostrando un orologio antico…è bellissimo! I due uomini spettatori della scena urlano qualcosa e si dirigono verso di me con le pistole alzate (puntate), non ci penso due volte: prendo l’orologio e scappo più veloce che posso.
La stazione è affollata: urla, risa…dove mi posso nascondere? Corro ancora, poi mi volto: mi stanno inseguendo. Vado a sbattere contro una porta, è il bagno delle donne: sono salva! Entro e chiudo dietro di me la porta a chiave. Mi siedo su un gabinetto con la tavoletta abbassata. Tolgo dalla tasca l’orologio: è tondo e si apre; è uno di quelli che i gentiluomini antichi portavano nel taschino del panciotto. Al tatto è gelido, ma l’oro massiccio di cui è fatto mi ispira una giornata di sole. Il coperchio è accuratamente lavorato con decorazioni floreali e tutto è di una finezza tale che sarebbe dovuto costare milioni di dollari. Iniziano a venirmi in mente moltissime domande: chi era quella donna? Perché è scappata? Cosa vogliono quei due loschi individui? Come…ma i miei pensieri vengono interrotti dal bussare della porta…cosa faccio? Mi guardo intorno c’è una finestra abbastanza grande da lasciarmi uscire; la apro e mi fiondo giù. Dove vado? Un rumore secco:stanno scardinando la porta. Passa un taxi e con un fischio lo chiamo, giusto in tempo per non farmi vedere.
“Scusi, dove siamo?” chiesi concitata all’autista.
“Ma dove vivi? A Washington!”
“Che cosa??? Io devo andare a New York! C’è un’altra stazione da cui partire?”
“Certo!”
La macchina parte rombando proprio quando i due uomini escono dalla finestra: in lontananza li vedo fermare un altro taxi e il sudore freddo mi bagna la fronte. La macchina sfreccia per le strade poco affollate, dopo venti minuti siamo arrivati, pago il conducente e mi fiondo di corsa dentro la stazione. Degli spari squarciano l’atmosfera ovattata che ricopre l’aria. Sono morta, penso, se mi prendono sono morta! Un treno arriva ad una piattaforma, leggo l’insegna: New York.
Le porte si aprono e corro dentro sedendomi in uno scompartimento molto affollato, cercando di mimetizzarmi tra la folla, “magari qui sono al sicuro” , penso tra me e, terrorizzata, mi guardo intorno per un po’, finché la stanchezza non mi sopraffa e un agitato sonno mi piomba, pesante, sugli occhi.
Una voce metallica mi sveglia all’improvviso: “New York, stazione di New York” .
“Li ho seminati, non devo temere altro.”
L’oscurità sta calando lentamente sulla famosa città americana: le luci degli alti grattacieli incominciano ad accendersi puntinando il buio come tante stelle. Devono essere le 18.00 e ripenso ai miei zii, alla cioccolata e al letto caldo, ma non mi scoraggio: Wall Street è vicina. Percorro tre isolati a piedi, le insegne luminose dei negozi mi colorano il viso delle sfumature più abbaglianti, ma io conosco questa città e non mi faccio distrarre: ho passato un’intera estate tra queste strade l’anno scorso insieme ai miei amici e con il passo sicuro mi dirigo verso il numero 23 … ancora qualche metro.
Sono davanti ad un edificio grigio, malandato: il numero 23. Il palo della luce non funziona e nessuna insegna illumina la casa sinistra. A stento, tra le tante cassette postali, scorgo “Jeckins” . Allungo la mano e mi fermo a mezz’aria: che cosa sto facendo? Perché lo sto facendo? Dove ho già sentito questo nome?
Un urlo:” Ferma!” . Mani pesanti mi scaraventano a terra e mi bloccano i movomenti.
“Per chi lavori? Diccelo!” Sono morta, i due uomini mi hanno raggiunta.
“Parla!”
“Per nessuno! Ho incontrato una vecchia sul treno e mi ha chiesto di portare l’orologio qui. Non ve lo darò, ladri!”
“Siamo agenti della CIA e quell’orologio è stato<rubato da un museo d’antiquariato, ha un valore immenso e qui credo che il ladro sia tu” .
“No, vi sbagliate! E’ la vecchia signora la ladra! Andate a controllare in questo edificio, è sotto in nome Jeckins!”
Uno dei due lascia la presa.
“Jeckins?! L’esperta ladra di gioielli? John, io vado a vedere, tu tienila d’occhio” .
“Stai attento” . Dopo un cenno l’uomo più alto si dilegua nell’edificio. Io tremo come una foglia, mille dubbi mi assalgono: e se non fosse stata lì? Cosa sarebbe successo di me?
Dieci minuti di terrore, poi rumori remoti e infine un urlo di gioia:” John molla la ragazza: l’abbiamo presa! Abbiamo preso Jackins!” .
Già dopo “molla la ragazza” il mio cuore ricominciava a battere normalmente. L’agente basso mi aiuta a rialzarmi e si scusa per il placcaggio, io sorrido e, vedendo la “vecchia” con una maschera in mano e che mostrava il fisico energico e scattante di una ventenne, quale è, e che viene buttata nell’auto scura degli agenti, penso tra me: “Lo diceva la zia che le apparenze ingannano” e mentre mi incammino verso il numero 5 di Breken Road gli agenti mi ringraziano da dietro il finestrino. Tiro un sospiro di sollievo, ora è veramente tutto finito e finalmente potrò gustarmi la cioccolata calda e il meritato riposo.