DE BELLO GALLICO – CESARE – libro 6 capitolo 19
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9 Gennaio 2013LIBRO QUINTO
RIASSUNTO
Arriva il giorno e, su nell’Olimpo, si tiene un’assemblea divina indetta da Atena, sempre mentre Poseidone, nemico ad Ulisse, non si trova nella reggia del cielo. Qui la dea esplicita la sua preoccupazione nei confronti di Odisseo: costretto già da sette anni a trattenersi nella “cava spelonca” di Calipso che, innamoratasi dell’amabile uomo, non lo lascia andare; inoltre è da solo e senza un’imbarcazione. Zeus decide quindi di mandare Ermete (il nome greco di Ermes), il messaggero degli dei che, calzati i sandali alati, sorvola mari e terre fino all’isola Ogigia. Viene colpito dallo stupore nei confronti del magnifico giardino della ninfa, attraverso cui si accenna alla caratterizzazione della stessa padrona, è infatti bello, florido e rigoglioso come la donna, ma anche misterioso. Tanto magnifico che “anche un dio avrebbe guardato stupito, e gioito nell’animo suo.” E’ stato scelto la parola “bosco” probabilmente per indicare che anche la ninfa, come le ombre del bosco, attira con la sua bellezza e nello stesso tempo nasconde qualcosa che sia positivo o meno (lo stesso nome, Calipso, in greco significa “colei che nasconde” ). Il dio la interrompe nel lavoro che era proprio delle donne, la tessitura (lo stesso in cui è impegnata Penelope), lei, secondo l’obbligo dell’ospitalità, gli dà l’unico cibo che gli dei possono mangiare: il nettare e l’ambrosia. Ermete risponde quindi alle domande che la ninfa gli porge riguardo alla sua visita, le esplicita che la sorte di Odisseo non è quella di morire in quell’isola al suo fianco, ma di ritornare in patria, il volere degli dei così è quello di lasciarlo partire e non trattenerlo più a lungo. “Siete crudeli, voi dei, gelosi più di ogni altro,” ; questa è la risposta della donna rotta dal dolore di perdere l’amato, che lui non potesse più essere suo, richiamando un esempio alla mente del messaggero. La stessa sua sorte l’ebbe Aurora, che scelse di amare Orione; gli dei la invidiarono e Artemide l’uccise con una delle sue frecce. Ma non può ribellarsi alla sorte e al volere divino, obbedisce sebbene sia stata lei a salvarlo dalle onde del mare e a prendersi cura di lui per tutto questo tempo. Si reca quindi dall’infelice Odisseo, che piange il ritorno guardando il mare, sulle rive dell’isola; Calipso gli concede a libertà di partire dopo che si sia costruito una zattera per poter navigare fino ad Itaca. Lui rabbrividisce per la gioia e la paura di un nuovo inganno, le fa quindi giurare di non volere un suo male, di non tramare nulla contro di lui, e giurando ribadisce di non avere un cuore di pietra, ma di carne e pieno di compassione. Dopo essersi saziato di cibo, Calipso gli fa un’ultima offerta: se fosse rimasto con lei, gli avrebbe concesso l’immortalità; ma per l’eroe è meglio una vita breve ma vissuta con la donna che ama, rispetto ad una eterna ma vuota. Il giorno seguente Odisseo inizia i preparativi per la partenza: abbatte gli alberi con un’ascia, li spiana, li lega tra di loro costruendo una zattera ampia con l’albero, il timone e la punta; lavora così velocemente che dopo soli quattro giorni è già tutto pronto. Passata l’ultima notte d’amore con la ninfa, lei lo riveste di preziose vesti, lo nutre e rifornisce di cibo, e infine parte. Dopo una navigazione di diciassette giorni, Poseidone lo scopre solcare le sue acque e, intuendo che ci fosse stato un intervento in suo aiuto da parte degli altri dei, cresce in lui una profonda ira, che riversa in una tempesta furiosa. Odisseo intravede in essa una sua prossima morte e, prima che la sua zattera venisse immersa nei flutti e trasportata lontano, rimpiange di non essere morto valorosamente e gloriosamente in battaglia, con gli altri Achei, per la patria anziché da solo e miseramente; per la mentalità greca, infatti, la morte in battaglia onorava per sempre la memoria di quel guerriero, unico lascito che un uomo poteva lasciare nel mondo dei vivi, tutto il resto di lui veniva perduto con la morte. Qui, per descrivere la violenza del mare, Omero inserisce la prima similitudine del libro: come quando il vento autunnale della Borea scuote le piantagioni dei cardi, così ora la barca veniva sospinta dai venti marini. Arriva però un aiuto divino: Ino, ninfa immortale del mare, impietositasi, gli consiglia di togliere le pesanti vesti donate da Calispo e gli dona un telo magico, che avrebbe dovuto stendere sotto il petto. Il telo lo avrebbe fatto restare in superficie, ma lui, essendo astuto, aspetta di fidarsi finché la barca non si rompe ed è costretto ad avanzare a nuoto fino all’isola a lui vicina. Qui la seconda similitudine sempre riferita all’impetuosità del vento che rompe la bella zattera di Odisseo, sbattuta sulle onde come il vento che agita un mucchio di grano e lo sparpaglia ovunque, così si disperdono i legni della barca. E’ seguita subito dalla terza similitudine, che è riferita invece ad Odisseo che brama di giungere alla terra che intravede, così agognante come a due figli appare preziosa la vita del padre che, ammalato, giace sul letto in fin di vita. Ma appena riesce a distinguere meglio la costa inorridisce poiché essa è circondata da una fitta muraglia di scogli aguzzi; salvarsi sembra impossibile soprattutto quando le onde lo sbattono sulle rocce appuntite, ma la dea Atena gli infonde coraggio nell’animo ed Odisseo si tiene con tutte le forze sullo scoglio, finché un’altra onda lo respinge al di là della barriera rocciosa. La quarta similitudine descrive invece il modo doloroso con cui l’eroe viene strappato dalle rocce come un polipo che viene strappato via dalla tana a cui restano nelle ventose pezzi di roccia. Qui c’è l’invocazione più bella riscontrata fin’ora, e nello stesso tempo più misteriosa: Ulisse invoca non un dio della tradizione, non si riferisce a nessuna divinità in particolare (“Ascolta, signore, chiunque tu sia!” ). Con questa invocazione Omero esplicita con una sola espressione tutto il dramma degli uomini nati prima di Cristo: l’assenza di Dio, un vuoto incolmabile che non riesce ad essere riempito totalmente dagli dei immortali della tradizione, una continua ricerca verso qualcosa di vero che compia l’uomo. Ulisse si rivolge alla sola entità che ha il potere di salvarlo, ma che soprattutto si interessa dell’uomo tanto da salvarlo dal male. Qualcosa di in sperimentabile prima dell’anno zero. Infatti dopo questa richiesta, giunge finalmente alla desiderata spiaggia, dove la sera lo coglie indeciso se restare sulla sabbia per la notte o se rifugiarsi nella selva lì accanto. Nel primo caso sarebbe potuto morire di freddo per la vicinanza con il mare e l’esposizione ai venti, nel secondo avrebbe potuto diventare facilmente preda di una fiera, sceglie questa sistemazione, poiché l’assideramento era assicurato, mentre l’incontro con un animale solo una possibilità. Atena quindi gli versa sugli occhi un sonno pesante.
1 Comment
Bel riassunto,ma stai attenta alla punteggiatura…le persone potrebbero confondersi e capire cose invece che altre .Per il resto COMPLIMENTI!OTTIMO LINGUAGGIO (comprensibile a tutti !;)
BRAVA!:)