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4 Febbraio 2022(ANSA) – ROMA, 25 GEN – In occasione del Giorno della Memoria, la Fondazione Museo della Shoah presenta a partire dal 27 gennaio, presso la Casina dei Vallati sede museale della Fondazione, la mostra “Dall’Italia ad Auschwitz” a cura di Marcello Pezzetti e Sara Berger.
La mostra si avvale del patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, dell’UNAR Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali del Dipartimento per le Pari Opportunità, della Regione Lazio, di Roma Capitale, dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, della Comunità Ebraica di Roma, dell’Associazione Figli della Shoah e in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione.
Questa esposizione descrive la storia di tutte le persone arrestate tra il 1943 e il 1944 nel territorio italiano e deportate nel complesso concentrazionario di Auschwitz-Birkenau.
Si tratta innanzitutto delle persone di origini ebraiche – spesso interi blocchi familiari -, compresi gli ebrei stranieri che negli anni precedenti avevano cercato rifugio nella penisola e gli ebrei che risiedevano nelle isole del Dodecaneso, nella quasi totalità di nazionalità italiana. Ma, grazie alle indagini storiografiche condotte, si è scoperto che la realtà della deportazione “politica” – nella quasi totalità costituita da donne residenti nel territorio dell’Adriatisches Küstenland (Litorale Adriatico) – è ben più consistente rispetto a quella proposta fino ad ora dalla storiografia e che la deportazione ha toccato anche un piccolo numero di rom – dato fino ad oggi sconosciuto -, anch’essi arrestati nell’Adriatisches Küstenland.
L’esposizione si apre con un’introduzione sulla storia di Auschwitz-Birkenau dal 1940 al 1943, ovvero del periodo precedente l’arrivo dei primi prigionieri giunti dall’Italia, per poi proseguire con una sala dedicata ai trasporti, dove appaiono volti e numeri dei deportati di ogni convoglio partito dal territorio italiano.
È messa in luce la specificità della sorte degli ebrei, che rappresentarono la parte più consistente delle vittime, dalla “selezione all’arrivo” all’omicidio sistematico di massa. Viene conseguentemente presentato un focus sul meccanismo e sulle strutture di messa a morte.
Si prosegue quindi con il racconto relativo alla sorte dei prigionieri ebrei e “politici” all’interno del complesso concentrazionario, partendo dalle procedure di immatricolazione (in particolare il tatuaggio, metodo utilizzato solo ad Auschwitz), per arrivare al loro inserimento nel sistema del lavoro schiavo, soprattutto nei vari “sottocampi” dipendenti da Auschwitz III (Monowitz). Ci si sofferma sulle terribili condizioni igienico-sanitarie e, in generale, sulla vita nel campo. Uno sguardo particolare viene dato alla sperimentazione medica e alle “selezioni interne”, procedura omicida a cui furono sottoposti prevalentemente gli ebrei.
Segue, infine, la parte dedicata all’evacuazione del complesso concentrazionario, al trasferimento dei prigionieri ancora in grado di camminare e di lavorare verso i Lager nel Reich e all’abbandono dei cosiddetti “inabili”, in prevalenza ammalati, nelle strutture concentrazionarie locali, dove il 27 gennaio del 1945 giunsero le truppe sovietiche.
La mostra si caratterizza per la presenza di considerevoli novità, storiografiche ed espositive, fra cui innanzitutto la scoperta della rilevante consistenza della deportazione dei “politici” non ebrei ad Auschwitz e la presenza nei convogli di rom, donne e uomini. Vengono presentate nuove cifre della deportazione ebraica, compresa anche l’individuazione di nuove date di partenza dei trasporti.
Nel corso della ricerca è emersa la notevole consistenza, nei vari trasporti, di coniugi e figli di matrimoni misti così come la loro specifica sorte all’interno del campo. Ponendosi la mostra come obiettivo anche quello di dare un volto alla deportazione dall’Italia ad Auschwitz, sono proposti nuovi e commoventi percorsi biografici di numerose vittime, sia tra i “sommersi”, sia tra i “salvati”, senza tralasciarne alcuni relativi ai persecutori.
L’ampio uso di disegni e dipinti realizzati nel dopoguerra da artisti sopravvissuti alla deportazione ad Auschwitz ci fanno comprendere situazioni che non sono documentate da immagini fotografiche. (ANSA).