Ondina combatte “sul terreno”
27 Gennaio 2019Canto quinto Orlando furioso di Ludovico Ariosto
27 Gennaio 2019PAGINE IN MEMORIA DI
ONDINA PETEANI
PRIMA
STAFFETTA
PARTIGIANA
D’ITALIA
E’deceduta il 3 gennaio 2003
Ondina Peteani,
prima staffetta partigiana d’Italia,
deportata ad Auschwitz con il numero 81672.
Era nata a Trieste nel 1925. Entrò diciottenne nel Movimento di liberazione. Arrestata due volte, la Peteani riuscì a eludere la sorveglianza con rocambolesche fughe, ma fu ripresa l’11 febbraio 1944 a Vermegliano (Ronchi dei Legionari), e segregata nel Comando delle SS di piazza Oberdan (Trieste), da dove venne poi trasferita al carcere del Coroneo, e quindi deportata a mezzo carro bestiame, dapprima ad Auschwitz, a fine marzo e successivamente, nel campo di Rawensbruck.
Un suo struggente ricordo appare in un’inervista riportata in:
-Racconti dal Lager-
di Marco Coslovich
-Mursia editore-
«Di Auschwitz ho un ricordo stupido se si vuole – … una sera sono andata sulla soglia della porta della baracca e c’era una’l’unona’ grande.
Pensavo – la vedono anche a casa mia.
Mi ha preso un’angoscia, un male fisico, una nostalgia cosi` dolorosa della mia gente, della mia terra, di casa…
Avevo il terrore di non farcela e mi ricordo che ci torturavamo dicendoci – … finira` presto la guerra, ci vedranno in questo stato e ci porteranno a casa con degli aerei.
Avranno tutte le cure per noi ridotte in queste condizioni.
Cosi` in poche ore busseremo alla porta di casa e sentiremo dire – chi è …
Mamma, mamma …
E allora giu` a piangere disperate».
L’ottobre dello stesso anno fu trasferita in una fabbrica di produzione bellica ad Eberswalde, presso Berlino, dove attuo` un insospettabile programma di sabotaggio, rallentando sensibilmente il ciclo produttivo, grazie a continui e ripetuti, pignoli, controlli, con la scusa della verifica dei torni e delle parti prodotte.
A metà aprile 1945, nel corso di una marcia forzata di cinque giorni che doveva riportarla a Rawensbruck, riuscì a fuggire dalla colonna di prigionieri, rientrando in Italia in luglio.
Aveva 20 anni.
Queste le sue parole :
«Emozionante è stato tornare a casa.
Avevo avuto il tempo di recuperare la sensibilita`, l’umanita` perduta.
Sono stata fra le prime a rientrare, erano i primi di luglio, tre mesi incredibili per attraversare 1300 chilometri circa, in un Europa in ginocchio, senza piu` ponti, strade e ferrovie integre.
Quando ho abbracciato mamma, papa` ed il cane che mi è saltato addosso per farmi le feste e che mi ha riconosciuto, allora si` che ho capito di essere tornata libera».
Come racconta chi l’ha conosciuta, la maledizione di quell’inferno atroce, la permanenza nel campo di sterminio, ha rovinato la sua esistenza dal punto di vista fisico, e ha minato il suo spirito, tanto da farle dire spesso:
«Non so cosa sia il sogno. Dal 1944 so benissimo cosa sia un incubo».
Nel dopoguerra la Peteani esercitò la professione di ostetrica.
Poi, nel 1962, insieme al suo compagno Gian Luigi Brusadin, diede vita alla prima agenzia libraria degli Editori riuniti per il Triveneto, che ben presto nella sua prima sede di Viale XX Settembre, divenne centro d’incontro di intellettuali, artisti e attori.
In seguito costituì il centro di aggregazione per i giovanissimi della sinistra denominato «Circolo Ho Chi Min» e gestì diverse colonie estive ed invernali in Italia e all’ estero.
Con aderenti al movimento democratico di Reggio Emilia fondò l’Associazione pionieri d’Italia.
Nel 1976, il terremoto del Friuli la vide subito presente, dando corpo alla tendopoli di accoglimento di Maiano.
Quindi divenne segretaria regionale del Sindacato Pensionati Italiani della Nuova Camera Confederale del Lavoro Cgil e dirigente delle organizzazioni di ex deportati e dell’Anpi.
Auschwitz e Ravensbruck sono stati i sui omnipresenti fantasmi, i suoi carnefici, che fino all’ultimo non le hanno dato tregua.
Le calcificazioni polmonari ( evidenti in tutte le radiografie toraciche ) sono le ferite tangibili di notti di appello fuori dai BLOCK , nuda all’addiaccio, torturata nel fisico e vilipesa nello spirito.
Da decenni anoressica, ha pagato lo scotto della sua sopravvivenza rifiutando, con crescente ostinazione negli ultimi anni, il cibo che non ha potuto condividere con la moltitudine di inermi trucidati nel Lager, verso i quali ha inconsapevolmente sviluppato e maturato il proprio latente “senso di colpa” , ampliamente trattato da Primo Levi.
La depressione nervosa che l’ha colpita nel 1976,
l’ asma bronchiale, l’enfisema polmonare che dal 1991 la relegavano fra le mura domestiche, dipendendo dalla bombola d’ossigeno, hanno via via minato la sua instancabile volonta`.
Nulla ha mai intaccato la sua
fede per la liberta` e l’indomita coerenza
di antifascista, antirazzista militante,
valori inestimabili che ne hanno
contrassegnato l’identita` e ne manterranno vivo il ricordo, affinchè anche la sua lacerante esperienza, il suo contributo, accresca
IL DOVERE DELLA MEMORIA dell’OLOCAUSTO
– l’immane tragedia dell’umanita`-
immortale monito per le generazioni a venire.
Ricordo di Ondina Peteani riportato dall’ Onorevole Antonino Cuffaro, gia` viceministro alla Ricerca Scientifica, sulla rivista
«Rinascita»
del 24 gennaio 2003:
La storia eroica della partgiana triestina Ondina Peteani.
«LA LOTTA ANTIFASCISTA PER UN MONDO MIGLIORE»
Nello sguardo profondo, in quel suo allargare gli occhi scuri per poi riportarli al sorriso largo del suo viso bello ma segnato da tanti patimenti, Ondina Peteani ci riportava naturalmente alla sua storia.
Una storia eroica e da incubo che si portava dietro con riserbo e che solo in rari momenti ripercorreva per intero, quando nel dopoguerra travagliato di queste terre, il cielo sembrava di nuovo oscurarsi e farsi “piatto” come sopra Auschwitz.
Perchè sotto quel “cielo piatto”, di cui ha parlato in una sua intervista all’Istituto di Storia della Resistenza, Ondina era stata portata appena diciottenne, dopo aver svolto il compito di staffetta partigiana , fra il monfalconese e Trieste.
A Monfalcone era stata presa dalla Wermacht il 31 maggio del 1943 e portata alle carceri del Coroneo di Trieste da dove aveva iniziato, di traduzione in traduzione, il lungo calvario di Auschwitz, poi del campo di Ravensbruck e del lavoro coatto in una fabbrica d’armi tedesca.
Nata il 26 aprile 1925 a Trieste, Ondina aveva cominciato gia` agli inizi del ’43 a lavorare per la Resistenza e per il Partito Comunista.
«Nella primavera del ’43, con una compagna, spesso venivamo a Trieste a prendere dei giovani per portarli in montagna», racconta Ondina sempre nell’intervista, dove accenna al lavoro di volantinaggio il primo maggio, sotto il naso dei fascisti, alle scritte sui muri di Ronchi inneggianti al ” Partito Comunista Italiano – Comitato del Litorale di Trieste”, alla raccolta di materiale per i partigiani: da mangiare, medicinali, carta, tutto quello che si poteva, qualche arma.
Del Lager Ondina conosce tutti gli orrori.
Ha paura di non farcela.
Ma è resistente.
Il pensiero rivolto alla famiglia – anche l’ingenua constatazione che la luna che scorge dalla soglia della sua baracca, «è la stessa che vedono a casa sua» la tormenta – l’aiuta a sopravvivere. La forte fibra, la sua giovinezza, la salvano dalla camera a gas.
La spediscono in una fabbrica d’armi.
La sua astuzia trova il modo, sfruttando abilmente il desiderio maniacale dei tedeschi di salvaguardare le macchine, di sabotare la produzione che la ripugna.
Torna a casa colpita nel fisico ma non doma.
Gli studi che la portano al diploma ed alla professione di ostetrica non le fanno dimenticare il suo ruolo, il suo impegno politico.
Non quello della reduce, ma quello attivo di militante e di dirigente comunista, impegnata sino all’ultimo nel partito e nel sindacato.
Vivace, combattiva, spirito libero eppure disciplinata ed operosa.
Ha compiti sempre impegnativi, Ondina, ed anche delicati.
E quando i tempi si fanno plumbei e l’eversione dissemina il Paese di attentati e di vittime e c’è da temere il peggio, è ancora ad Ondina che il partito ricorre perchè la sua esperienza ci aiuti a parare i colpi di chi vuole portare l’Italia verso avventure reazionarie.
Alcuni giorni fa, dopo una malattia, eredita` certa dei Lager che la tormentava da anni, Ondina è giunta al momento estremo.
Ma la malattia non l’ha piegata nell’animo e nella bella passione della sua vita:
LA LOTTA ANTIFASCISTA E PER UN MONDO MIGLIORE.
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Contributo del Ministro Willer Bordon alla Conferenza indetta dalla CGIL nel quadro delle manifestazioni del GIORNO della MEMORIA del 27 gennaio 2004:
Roma, 26 gennaio 2004
Caro Gianni,
se la situazione politica nazionale, che tu ben conosci,
non mi blocasse a Roma, con le emergenze che incalzano
quotidianamente, questo pomeriggio avrei desiderato essere con
voi nella mia Trieste per onorare chi seppe in epoche assai
più dure e difficili non perdere mai di vista il vero
significato dell’amore per la libertà e per la giustizia
sociale.
Avrei in particolare avuto piacere di ricordare Ondina,
la tua meravigliosa mamma, che, prima staffetta partigiana,
compì per intero un percorso di coraggio e di inaudita
sofferenza rovinando, come lei stessa diceva,
irrimediabilmente il suo fisico, chiudendo orizzonti che per
una giovane donna sarebbero stati naturali e che lei
sintetizzò nella drammatica frase:
“Non so cosa sia il sogno.
Dal ’44 so benissimo cosa sia l’incubo”.
Ma per fortuna, perfino aldilà di quanto fosse
umanamente possibile, non fu così, se è vero come è vero che
lo stesso straordinario impegno di quella giovane staffetta
partigiana lo ritrovammo intatto nel dopoguerra,
nella ricostruzione, nell’ impegno politico, nell’attività
divulgativa ed educativa che coniugò, e non casualmente, la
formazione dei giovanissimi con l’impegno verso la terza età.
Ondina libera e saggia, dinamica ed appassionata.
Presenza costante e continua della militanza sociale,
politica, civile e dell’antifascismo della nostra regione.
Domani sarà la giornata della memoria ed è anche grazie
a persone come Lei, grazie alla Sua caparbia volontà di
ricordare e di far sapere, se questo giorno è un intreccio
presente e forte che non può e non deve venire meno.
Willer Bordon
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