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27 Gennaio 2019Appunti di storia della letteratura russa su Osip MandelStam di Carlo Zacco
Osip MandelStam (1891 – 1939)
La vita. Nasce a Varsavia nel 1891 da famiglia ebraica, ma cresce e studia a Pietroburgo, senza tuttavia conseguire la laurea. Entra nel gruppo degli Acmeisti dove conosce Anna Acmatova, ma non si sente pienamente parte di quel gruppo. Ha già pubblicato due raccolte di poesie quando nel 23 gli viene proibito di pubblicarne delle altre: da questo momento in poi si dedicherà alla poesia solo privatamente. I veri problemi tuttavia iniziano nel 34, quando viene arrestato per la prima volta, a causa dei suoi scritti; nel 38 viene portato in un lager di Vladivostok, dove morirà lo stesso anno, o l’anno seguente. Gran parte della sua produzione ci e giunta solo grazie alla moglie Badezda, che ne ha curato la postuma pubblicazione.
Le prime poesie. La prima raccolta, Kamen (La pietra), da cui sono tratti i testi antologizzati, è del 1913. L’atmosfera e le immagini sono simili a quelle di Blok: la precarietà dell’esistenza e la ricerca di qualche effimera consolazione. In queste liriche compare ancora un senso di malinconia adolescenziale e estraneità al mondo. La città, nonostante venga descritta come una sorta di grande ed attraente palco scenico, è tuttavia considerata come un regno della morte in cui regna Proserpina, dove cioè la vita è talmente inutile, che la morte è un finale scontato, come lupus in fabula.
* La vita frivola ci rende dissennati
La vita frivola ci rende dissennati (testo della poesia)
La vita frivola ci rende dissennati:
fin dal mattino vivo, e ubriachezza la sera.
Come contenere la vana allegria
e il tuo rossore, balordo ubriaco?
Nelle strette di mano un penoso rito,
e baci notturni nelle vie,
quando greve è la corrente del fiume
e i fanali, come fiaccole, ardono.
Analisi
vv. 1-4: viene qui puntato l’accento sulla vita dissoluta, e il motivo di questa lascivia è la disillusione di ogni speranza, che porta a rifugiarsi in consolazioni effimere come l’alcolismo, al fine di sfuggire la realtà, o di alleviare il dolore per la sua consapevolezza.
vv. 5-6: anche le relazioni umane sono inutili messe in scena; l’amicizia è priva di futuro, e dunque una delle mille cose in cui non vale la pena credere.
v. 8: i fanali, delle auto, ardono come fiaccole e illuminano questo paesaggio desolato;
vv. 11-12: qui l’autore fa un ritratto di un personaggio ben preciso, di cui nulla sappiamo, ma in questo testo conta solo l’immagine generale del taedium vitae, a prescindere dalla figura storica cui si allude.