Un infinito numero
27 Gennaio 2019Un’ idea
27 Gennaio 2019La vita di Ovidio fu segnata da successi letterari, ma anche da eventi personali drammatici, come quando nell’ 8 d.C., l’imperatore Augusto lo esiliò in un luogo remoto sul Mar Nero (Tomis, nell’odierna Romania) per motivi non del tutto chiari, ma spesso attribuiti a ragioni politiche o moralistiche.
Vita ed opere di Publio Ovidio Nasone
Publio Ovidio Nasone nacque a Sulmona il 43 a, Ch. in una agiata famiglia, facente parte dell’ordine equestre. Nel 31 , anno della battaglia di Azio, fu mandato a Roma dal padre col fratello maggiore di un anno, affinche’ frequentassero scuole di retorica e filosofia presso i migliori maestri del tempo affinchè entrambi seguissero il cursus honorum destinato ai giovani di buona famiglia. Il fratello ne sentiva la vocazione, mentre il piu’ giovane, attratto dalla vita piacevole della societa’ romana, frequentava i salotti dell’alta societa’, gli spettacoli teatrali, i circoli letterari, essendo divenuto il poeta alla moda, molto ammirato per la fluidita’ dei suoi versi, e per la vivezza di immagini create dalla sua fervida fantasia, poesia molto lontana dall’impegno morale di un Orazio o di Virgilio e priva della passionalita’ di Tibullo e di Properzio, poeti a lui vicini perche’ facevano parte del circolo di Messalla Corvino.
La tecnica insegnatagli nelle scuole di retorica lo spingeva a trattare ogni argomento per cercare di convincere i lettori, come tecnica della scuola persuasoria, ma non adatta a lui perche’ mancante di fantasia e di capacita’ di dar corpo alla sua immaginazione, che lo spingeva a trasformare in verso tutto cio’ che si accingeva a scrivere. Privo del senso della misura, era lontano sia dalla poesia neoterica che da quella alessandrina, pur desiderando misurarsi con queste, essendo la scrittura considerata da lui un piacevole passatempo, che tendeva a colpire la immaginazione e a creare stupore. Per perfezionare il suo stile, come molti giovani romani si reco’ ad Atene, in Asia Minore, in Egitto e in Sicilia, dove soggiorno’ per un anno in un viaggo che costitui’ un motivo di rimpianto, nel suo esilio a Tomi sul Mar Nero. Pur avendo sostenuto qualche magistratura inferiore, come quella del collegio giudiziario, di direttore della zecca ed altri di minor entita’, senti’ sempre il fascino delle Muse, che lo invitavano a lasciare tutto per seguire soltanto loro.
Ebbe tre mogli, la prima delle quali, quando era ancora ragazzo, la seconda, di buoni costumi, ma non adatta al suo modo di vivere, la terza, invece appartenente alla gens Fabia, nobilissima e a lui congeniale e vicina nella buona e nella cattiva sorte. Scrisse, come inizio, tre libri di elegie leggere, intitolate Amores e dedicate a Corinna, una creatura fittizia, che a lui servi’ per esprimere situazioni brillanti di avventure amorose, oggetto di sviluppo successivo nell’Ars amatoria, che gli costera’ l’esilio perche’ giudicate poco adatte alla politica di reintegrazione degli antichi buoni mores instaurata da Augusto rimasto deluso dalla condotta della figlia Giulia e della nipote con lo stesso nome. La condanna fu, forse, attribuibile a questi carmi e, come dice Ovidio, a un error che il poeta non precisa. Abbandonata la tragedia, limitata a Medea, destinata soltanto alla declamazione, scrisse le Heroides epistole amorose di eroine del mitp inviate ai loro amanti e viceversa, quali Penelope ad Ulisse e Elena a Paride in cui si nota una certa analisi psicologica dei personaggi femminili nelle loro schermaglie, che presagiscono il cedimento alla passione amorosa, come accadeva nella societa’ del suo tempo, in cui il pudore era solo ostentato per provocare l’amante.
Nell’Ars Amatoria, Ovidio insegnava agli uomini come conquistare la donna, quali artifici usare, usando un tono scherzosamente ironico e didascalico. Nell’opera Roemedia amoris si sofferma a parlare di cosmesi femminile, sul modo di riparare ai guasti che il tempo produce al fisico umano. Contemporaneamente scrisse le Metamorfosi e i Fasti. Nel primo, un poema in esametri in quindici libri, tratta le trasformazioni del mondo dal caos primigenio all’impero universale di Roma con intento leggermente politico e filosofico, che non risponde allo spirito del poeta. Si tratta, invero, di 250 favole mitologiche, in cui manca una unita’ di struttura e di fini, ma tutto e’ circonfuso da un’atmosfera favolosa, di sogno, di magia. che, in seguito, si riscontrera in Apuleo. Il divino supero l’umano, in quanto gli dei, senza particolari differenze con l’uomo, nello scatenarsi delle passioni agiscono senza freni inibitori, consapevoli della loro potenza, a volte brutale, al di la’ di ogni legge. perche’ dotati di forza sovrannaturale, ci infondono una sensazione di incubo. Non mancano pero’ altri toni, ora patetici ed idilliaci, ora scherzosi. Si avvicina agli scrittori alessandrini nelle elegie e nella minuzia della descrizione calligrafica dei particolari in alcune fiabe, che si potrebbero con un salto nel tempo avvicinare alla pittura fiamminga.
Molto inferiori sono i Fasti, poema elegiaco in cui celebra le solennita’ del calendario romano, con le sue festivita’, ricercandone le origini dai miti che le generarono.
Nell’8 d c, con editto di Augusto, condannato all’esilio, visse nella mestizia, lontano da una civilta’ progredita come la romana con gente incolta, rozza, vagante in lande inospitali.
Nelle sue elegie, Tristia, esprime la sua grande nostalgia a volte in forma retorica, che, raramente, raggiunge i toni elegiaci di quella della partenza e di altre che si riferiscono alle tristi sue vicende personali e ai momenti in cui venivano meno le speranze di un ritorno in patria.
Ovidio morì intorno al 17 o 18 d.C., ancora in esilio a Tomi, senza mai essere stato perdonato e autorizzato a tornare a Roma.
Esempio di Testi tratti da due opere di Ovidio e loro traduzione
Metamorfosi VIII, 183 | Traduzione |
Daedalus interea Creten longumque perosus exiliumtactusque lci natalis amore, clausus erat pelago. “Terras licet” inquit “et undas Obstruat, at caelum certe patet; ibimus illac! Omnia possideat, non possidet aera Minos. Dixit, et ignotas animum dimittit in artes naturamque novat. Nam ponit in ordine pennas, a minima coeptas, longam breviore sequente,.
Puer Icarus una stabat et, ignarus sua se tractare pericla, ore renidenti modo quas vaga moverat aura captabat plumas, flavam modo pollice ceram mollibat lusuque suo mirabile patris impediebat opus. Postquam manus ultima coepto imposita est, geminas opifex libravit in alas ipse suum corpus, motaque pependit in aura. Instruit et natum: “Medio” que “ut limine curras, Icare, ait moneo, ne, si dimissior ibis, unda gravet pennas, si celsior, ignis adurat. Inter utrumque vola me duce carpe viam!” Pariter precepta volandi tradit et ignotas umeris accomodat alas. Inter opus monitusque genae maduere seniles, et patriae tremuere manus. Dedit oscula nato non iterum repetenda suo pennisque levatus ante volat comitique timet … cum puer audaci coepit gaudere volatu, deseruitque ducem, caelique cupidine tractus, altius egit ite. Rapidi vicinia solis mollit odoratas, pennarum vincula, ceras. Tabuerant ceras: nudos quatit ille lacetos emigioque carens non ullas percepit auras, oraque caerulia patrium clamantia nomen excipiuntur aqua, quae nomentraxit ab illo. At pater infelix, nec iam pater: “Icare”, dixit, “Icare”, dixit “ubi es? qua te regione requiram?” |
Frattanto Dedalo odiando il lungo esilio a Creta e percosso dal desiderio del luogo natale, era trattenuto dal mare. Penso’ fra se’: “Mi chiuda pure le vie delle terre e dei mari, Minosse, ma mi e’ certo aperto il cielo; ce ne andremo da li’. Possiedera’ tutto Minosse, ma non possiede l’etere, penso’, e volse il pensiero verso arti ancora sconosciute mutando il corso delle cose. Infatti pose in ordine delle penne, a cominciare dalle piu’piccole, facendo seguire quelle lunghe a quelle piu corte…
Icaro, ancora fanciullo, stava con lui e ignaro che fosse in gioco il suo destino, con volto sorridente, raccoglieva le piume che sollevava il vento. o rendeva morbida col pollice la bionda cera e impediva col suo gioco la mirabile opera paterna. Dopo che fu posta l’ultima mano al lavoro intrapreso, l’artefice stesso libro’ il suo corpo nelle due gemine ali e rimase sospeso nell’aria da lui smossa. E dette ragguagli al figlio: Vola, o Icaro, a un medio limite, disse, affinche’ se andrai troppo in basso l’onda non appesantisca le penne e troppo in alto non le bruci il sole. Vola fra entrambi… Dietro la mia guida, segui la via. Tra il lavoro e gli ammonimenti le guance del vecchio si inumidirono e le mani paterne ebbero dei tremiti. Diede dei baci al figlio che non dovevano piu’ rinnovarsi e, sollevatosi con le penne, volo’ avanti temendo per il compagno… quando il fanciullo comincio’ a godere dell’audace volo, abbandono’ la guida e, affascinato dalla vista del cielo, si spinse piu’ in alto. La vicinanza del cocente sole ammorbidi’ la cera odorosa, che teneva legate le penne. La cera si sciolse ed egli agito’ le braccia nude, ma privo di ali non percepi’ alcun soffio di aria e la sua bocca che invocava il nome del padre venne sommersa nell’acqua cerulea. Il padre infelice, ormai non piu’ padre, disse gridando”Icaro” disse “O Icaro, dove sei? In quale zona potrei trovarti?” “Icaro” gridava: ma quando scorse le penne sulle onde del mare, maledi’ la sua arte, compose il corpo in un sepolcro e quella terra fu chiamata dal suo nome. |
Tristia IV, 10 | Traduzione |
Ille ego qui fuerim tenerorum lusor amorum quem legis, ut noris, accipe, posteritas Sulmo mihi patria est gelidis uberrimus undis milia qui novies distat ab Urbe decem. Editus hic ego sum, nec non, ut tempora noris. cum cecidit fato consul uterque pari. Si quid id est. usque a proavis vetus ordinis heres non modo fortunae munere factus eques. Nec stirps primafui, genito sum fratre creatus qui tribus ante quater mensibus natus erat. Lucifer amborum natalibus adfuit idem; una celebrata est per duo liba dies: haec est armiferae festis de quinque Minervae quae fieri pugna prima cruenta solet. Protinus excolimur teneri curaque parentis imus ad insignes Urbis ab arte viros. Frater ad eloquium viridi tendebat ab aevo, fortia verbosi natus ad arma fori. At mihi iam puero caelestia sacra placebant inque suum furtim Musa trahebat opus. Saepe pater dixit: “Studium quid inutile temptas? Maeonides nullas ipse reliquit opes. Motus eram dictis totoque Helicone relicto scribere temptabam verba soluta modis. Sponte sua carmen numeros vniebat ad aptos, et quod temptabam scribere versus erat…
Ergo, quod vivo durisque laboribus obsto nec me sollicitae taedia lucis habent, gratia, Musa, tibi! Nam tu solacias praebes, tu curae requies, tu medicina venis: tu dux et comes es: tu nos abducis ab Histro in medioque mihi das Helicone locum. Tu mihi, quod rarum est, vivo sublime dedisti nomen, ab exequiis quod dare fama solet. Nec, qui detrectat praesentia, livor iniquo ullum de nostris dente momordit opus. Nam tulerint magnos cum saecula nostra poetas, non fuit ingenio fama maligna meo, cumque ego praeponam multos mihi, non minor illis dicor in toto plurimus orbe legor. Si quid habent igitur vatum praesagia veri, protinus ut moriar, non ero, terra, tuus. Sive favore tuli sive hanc ego carmine famam, iure tibi grates, candide lector, ago. |
Chi sia stato io, cantore di teneri amori, ascolta posterita’ che leggi per venire a saperlo. Mi e’ patria Sulmona ricchissima di gelide acque che dista da Roma dieci volte dieci miglia. Io sono nato qui, e, affinche tu venga a conoscere il momento, quando con pari destino morirono i due consoli. Se vale qualcosa, antico erede dell’ordine fin dai proavi, divenni cavaliere non solo per dono della sorte. Non fui il primo, sono nato dopo mio fratello che era nato dodici mesi prima. La stella di Lucifero fu presente alla nascita di entrambi e un solo giorno veniva festeggiato con due focacce. Fa parte dei cinque gioni festivi dedicati all’armigera Minerva, che suole divenire cruento nel primo combattimento. Veniamo ancora teneri fanciulli istruiti e per volere del padre andiamo a Roma da insigni maestri in quell’ambito.
Il fratello tendeva all’eloquenza fin dalla verde eta’, nato per le forti battaglie forensi. Ma a me, allora fanciullo, piacevano le sacre cose celestiali e la Musa segretamente mi traeva verso la sua attivita’. Spesso mio padre mi diceva: “Perche’ tenti un inutile studio? Lo stesso Maconide nessuna ricchezza ha lasciato”. Io ero turbato da quelle parole e, abbandonato l’Elicona, tentavo di scrivere parole non in rima. Spontaneamente veniva fuori una poesia in metri appropriati e cio’ che tentavo di scrivere diventava verso…
|
fonte: http://www.pierluigiadami.it/Lett_Latina_augusto2.html
Letteratura latina dell’ Età augustea
Materiale didattico su atuttascuola
-
L’amore e la donna in Virgilio, Orazio, Catullo e Ovidio (classe IIIF a.s.1999/2000) presentazione Power Point 357 Kbyte. Si può anche vedere l’ipertesto in html
Lezioni scolastiche
Materiale generale (biografia, opere in generale, ecc…)
-
VIDEO Publio Ovidio Nasone prima parte 4C videolezione scolastica di Luigi Gaudio su youtube
Le metamorfosi – Apollo e Dafne
-
VIDEO Apollo e Dafne di Ovidio prima parte vv. 525-534 4C videolezione scolastica di Luigi Gaudio su youtube
-
VIDEO Apollo e Dafne di Ovidio seconda parte vv. 535-549 4C videolezione scolastica di Luigi Gaudio su youtube
-
VIDEO Apollo e Dafne di Ovidio ultima parte vv. 550-565 4C videolezione scolastica di Luigi Gaudio su youtube
Le metamorfosi – Piramo e Tisbe
-
VIDEO Piramo e Tisbe videolezione scolastica di Luigi Gaudio su youtube
Illustrazioni di Samuele Gaudio su Apollo e Dafne
Apollo e Dafne (particolari) di Samuele Gaudio
Chiedi un preventivo telefonando al padre Luigi 347-8318450 o direttamente a Samuele 349-0803399