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27 Gennaio 2019Verifica su Kant
27 Gennaio 2019Il governatore della California ha negato la grazia a Tookie Williams, il detenuto che fu candidato al premio nobel.
Oggi, 14 dicembre 2005, è stato giustiziato.
In Italia a Adriano Sofri è stata negata la grazia.
Ora versa in fin di vita in un ospedale.
Entrambi a distanza di dieci o trenta anni di carcere gia espiato si sono sempre dichiarati innocenti.
Qualche giorno addietro ho sentito di un altro americano condannato allergastolo, che dopo venticinque anni scontati nelle prigioni federali, dichiarandosi sempre estraneo ai fatti contestati, è stato improvvisamente liberato, perché scagionato dalla prova del DNA.
Le prime parole che mi sono salite alle labbra sono state: ma tu guarda che fortuna.
Poi, colto da un soprassalto di vergogna mi sono piegato a una riflessione: finalmente non si è parlato dell’ennesimo condannato a morte, bensì si è trattato di un sussulto di giustizia. Eppure questa serena constatazione non mi lascia tranquillo, nonostante questa liberazione dall’oppressione dell’ingiustizia, un senso di angoscia mi morde la pancia.
Penso a quel condannato ora ritornato alla vita, propria, e dei suoi cari, penso alle sue mani infine ferme, sganciate da ogni ulteriore tormento. E più penso a quella fortuna che l’ha reso un uomo libero, più non mi sento particolarmente felice, così mi vengono alla mente i tanti dimenticati nei bracci della morte, gli altrettanti anonimi a fine pena mai, e mi coglie la domanda: ma se quell’uomo fosse morto nella sua branda, in una cella inospitale, o fosse stato giustiziato su una sedia elettrica, o attraverso una iniezione letale, chi oggi, cadrebbe, sotto il peso delle responsabilità, per una decisione senza scampo a riparare?
In America, o magari in un altro Stato come l’Italia, dove i casi di assoluzione con il senno del poi non sono tanto rari, chi oggi potrebbe riconciliare labisso della ragione?
Di certo nessuna legge statuale.
Forse in questo indicibile insuccesso c’è per intero il colpo basso di una politica prostituta di qualche elettore, e nella fortuna sfacciata del colpevole di turno c’è insonne il rimorso per il fallimento di una sentenza di morte priva di ogni certezza.
Quella fortuna sfacciata, di cui all’inizio mi sono ben vergognato, ci riguarda tutti, perché ci ricorda le miserie umane che ci portiamo addosso, ben incollate alle nostre inossidabili verità.
Vincenzo Andraous
Carcere di Pavia e
tutor Comunità
Casa del Giovane – Pavia