Giovanna Megna
27 Gennaio 2019Rosanna Mutinelli
27 Gennaio 2019La situazione oggi nel mondo
Prof.ssa Giovanna Megna
La pena di morte è l’attuazione del principio etico-giuridico in base al quale lo Stato può decidere legittimamente di togliere la vita ad una persona. Ma di fronte agli elenchi di alcolizzati, malati di mente, emarginati di ogni tipo mandati a morte si ha l’impressione di essere davanti ad un potere che disinfesta, un “potere giardiniere”, che si incarica di estirpare le erbacce. Ad essere giustiziati non sono soltanto gli omicidi, ma anche i responsabili di reati economici, talvolta molto lievi.
Spesso i processi non sono equi e regolari. In Iran negli anni scorsi sono stati celebrati processi della durata di pochi minuti, davanti ad un giudice non indipendente (un’autorità politico-religiosa), e si sono conclusi con una sentenza di morte, inappellabile, eseguita quasi immediatamente. Negli USA, in un sistema giudiziario assai evoluto, un errore commesso da un avvocato d’ufficio inesperto (come, ad esempio, un leggero ritardo nella presentazione di elementi a discarico) può comportare la fine di ogni speranza per l’imputato.
LE MOTIVAZIONI A FAVORE
I sostenitori della pena di morte trovano ragioni diverse a sostegno della loro tesi, ragioni di ordine etico, sociale, anche economico.
Essi partono dal presupposto che compito fondamentale dello Stato sia difendere ad ogni costo i singoli individui e la comunità, che chi rispetta la legge ha diritto ad una tutela maggiore rispetto a chi la disattende, che chi commette reati deve pagare, che esistono colpe per cui nessuna pena, tranne la morte, costituisca la giusta punizione.
Sarebbe quindi un’esigenza di giustizia a sostenere le loro ragioni.
In relazione alla pena di morte le teorie sulla funzione della pena si possono ricondurre a due filoni fondamentali: quello della retribuzione e quello della prevenzione. Per il primo la pena è un male che interviene come reazione morale e giuridica al male che è stato commesso con il reato, alla cui gravità è proporzionato, in modo da configurarsi come castigo morale e non come vendetta; per il secondo lo Stato non restituisce male con male, ma si limita a difendere la società dalla pericolosità degli autori dei reati, cercando attraverso la pena di impedire che soggetti socialmente pericolosi commettano altri reati.
I sostenitori della pena di morte infatti assegnano ad essa una funzione deterrente, in quanto sono convinti che la durezza della pena sia sufficiente in molti casi ad evitare che il reato venga commesso: soltanto coloro che agiscono in preda a violenta passione non badano alla pena prevista dalla legge.
In modo particolare la pena di morte svolgerebbe una funzione preventiva nei confronti di ondate di criminalità organizzata in grado di sconvolgere la vita sociale di uno Stato (gangsterismo, mafia, terrorismo ecc.).
La pena di morte inoltre, soddisfacendo il risentimento delle vittime e dei loro parenti, eliminerebbe la tentazione di vendette private ed il manifestarsi di disordini sociali.
L’eliminazione definitiva di un delinquente eviterebbe poi il ripetersi di altri reati da parte dello stesso che, pur condannato, potrebbe ritornare in libertà per condoni o altri meccanismi previsti dalla legge; certamente sul piano economico essa rappresenta un sistema di punizione molto meno gravoso di una lunga detenzione e dell’ergastolo, e quindi vantaggioso per la comunità.
Il fatto che la pena di morte sia irreparabile e non si possa risarcire chi sia stato condannato ingiustamente non sarebbe una ragione sufficiente per sopprimerla: basterebbe applicarla solo nei casi in cui ci sia la matematica certezza della colpevolezza dell’imputato; tanto più che esiste un’ulteriore garanzia: il potere di ogni capo di stato di concedere la grazia in caso di dubbio, commutandola in ergastolo o altra pena detentiva.
LE MOTIVAZIONI CONTRO
Coloro che si oppongono alla pena di morte lo fanno soprattutto per motivi morali. Al di là dell’atrocità insita in questo strumento (atrocità che non si esaurisce nel momento dell’esecuzione, ma consiste in anni di angoscia nell’attesa che essa venga eseguita), essi ritengono che nessun uomo né individualmente né come rappresentante della comunità abbia il diritto di togliere la vita ad un altro uomo, indipendentemente dalla gravità delle colpe da quest’ultimo commesse.
Secondo gli oppositori della pena di morte, questa contravviene al principio secondo cui la pena non deve tendere alla vendetta o alla semplice punizione del colpevole, ma alla sua rieducazione e al suo recupero sul piano umano e sociale: e quale recupero sarà mai possibile nei confronti di un morto? In realtà il timore di trascurare i dettagli ed i mezzi legali a cui il condannato ricorre dilatano molto i tempi dei processi e ritardano il momento dell’esecuzione, per cui la persona che viene soppressa a volte è molto cambiata rispetto a quella che ha commesso il crimine, con il risultato di mandare a morte individui sostanzialmente diversi da quelli a suo tempo condannati.
Ma non è solo sul piano dell’etica che gli oppositori della pena di morte si muovono. Essi ribattono punto per punto le tesi dei sostenitori, affermando che in realtà essa non svolge alcuna funzione deterrente in quanto è semplicistico credere che un criminale consulti il codice per scegliere il crimine da commettere, così come essa non rappresenta uno strumento efficace contro la criminalità organizzata, che è stata sì a volte vinta, ma con altri mezzi, in particolare colpendola nei suoi interessi economici.
Altri fenomeni che i sostenitori della pena di morte considerano evitabili solo con il suo utilizzo, come le recidive o la tendenza alla vendetta privata, vanno invece affrontati, secondo gli oppositori, in termini di educazione sociale, cioè aiutando e seguendo gli ex carcerati e facendo in generale una capillare opera di educazione alla legalità.
A tutte queste considerazioni se ne aggiungono altre due ancora più significative. Innanzi tutto la possibilità di errori giudiziari, cioè la possibilità tutt’altro che remota di uccidere un innocente, giustifica da sola l’abolizione della pena capitale. Infine la pena di morte si dimostra uno strumento di discriminazione sociale, in quanto vengono giustiziati criminali che appartengono soprattutto alle classi sociali più deboli ed ai gruppi più marginali: membri delle minoranze razziali, individui con un basso livello di scolarizzazione, soggetti con una vita familiare allo sbando, persone con reddito molto basso, a volte oppositori politici.
In modo più dettagliato è possibile verificare la sua efficacia in alcuni casi particolari:
-
torna all’indice del Percorso sulla pena di morte prof.ssa Giovanna Megna