La casa dei doganieri e L’anguilla di Eugenio Montale
28 Dicembre 2019Introduzione a Eugenio Montale e agli Ossi di seppia
28 Dicembre 2019Il professor Gaudio ha liberamente musicato gli ultimi versi della poesia “Maestrale” di Eugenio Montale, tratta dalla raccolta Ossi di seppia (1925), che rappresenta uno dei momenti più emblematici della poetica montaliana.
In questo testo, Montale ci offre una riflessione sulla condizione umana, mediata attraverso le immagini della natura e del paesaggio ligure, che diventa specchio e metafora del turbamento interiore. Il maestrale, il vento che spira forte e che agita il mare e il cielo, diventa simbolo di un movimento incessante e di un richiamo verso l’ignoto, un “più in là” che sfugge alla presa e che sintetizza l’ansia esistenziale tipica di Montale.
Testo della poesia “Maestrale” di Eugenio Montale (Ossi di seppia)
S’è rifatta la calma
nell’aria: tra gli scogli parlotta la maretta.
Sulla costa quietata, nei broli, qualche palma
a pena svetta.
Una carezza disfiora
la linea del mare e la scompiglia
un attimo, soffio lieve che vi s’infrange e ancora
il cammino ripiglia.
Lameggia nella chiaria
la vasta distesa, s’increspa, indi si spiana beata
e specchia nel suo cuore vasto codesta povera mia
vita turbata.
O mio tronco che additi,
in questa ebrietudine tarda,
ogni rinato aspetto coi germogli fioriti
sulle tue mani, guarda:
sotto l’azzurro fitto
del cielo qualche uccello di mare se ne va;
né sosta mai: perché tutte le immagini portano scritto:
” più in là “!
EUGENIO MONTALE, Ossi di Seppia (Torino, Piero Gobetti Editore 1925).
Analisi della poesia
Prima strofa
S’è rifatta la calma
nell’aria: tra gli scogli parlotta la maretta.
Sulla costa quietata, nei broli, qualche palma
a pena svetta.
La poesia inizia con un’atmosfera di calma e quiete, che segue probabilmente il passaggio del maestrale. Il vento sembra essere passato e aver lasciato un paesaggio pacificato, ma ancora intriso di movimento sottile. Le parole “parlotta la maretta” trasmettono un’idea di moto lieve, come se il mare continuasse a “parlare” in modo sommesso tra gli scogli, nonostante la tempesta sia passata. Anche le palme nei “broli” (piccoli giardini) sembrano appena visibili, quasi svettando a fatica in questa atmosfera rarefatta. La natura qui si muove tra la tensione e il rilassamento, tra un prima agitato e un dopo di apparente pace.
Seconda strofa
Una carezza disfiora
la linea del mare e la scompiglia
un attimo, soffio lieve che vi s’infrange e ancora
il cammino ripiglia.
Qui entra in scena il movimento sottile e continuo del vento. La carezza che disfiora il mare è una delle immagini più delicate della poesia, suggerendo un tocco leggero che sfiora la superficie dell’acqua, scomponendola solo per un attimo prima di riprendere il proprio corso. Questa metafora potrebbe suggerire il continuo flusso della vita, in cui momenti di quiete e di turbamento si alternano, senza mai arrestarsi definitivamente. C’è una ciclicità in questo moto, una sorta di moto perpetuo che Montale osserva nella natura, ma che riflette anche una condizione esistenziale.
Terza strofa
Lameggia nella chiaria
la vasta distesa, s’increspa, indi si spiana beata
e specchia nel suo cuore vasto codesta povera mia
vita turbata.
Il mare lameggia, cioè brilla sotto la luce del cielo (chiaria), mentre continua il suo moto alterno di increspamento e distensione. È un mare vivo, che riflette nel suo cuore vasto le inquietudini e le turbolenze dell’animo del poeta, che definisce la propria esistenza come “povera” e “turbata”. Il mare, qui, non è più solo una forza naturale, ma diventa uno specchio che riflette l’interiorità del poeta: i suoi tormenti, le sue preoccupazioni, la sua incapacità di trovare una vera pace. La vastità del mare si contrappone all’inquietudine interiore, quasi come se Montale cercasse nel paesaggio esterno una risposta o un riflesso al proprio stato d’animo.
Quarta strofa
O mio tronco che additi,
in questa ebrietudine tarda,
ogni rinato aspetto coi germogli fioriti
sulle tue mani, guarda:
Il poeta si rivolge a un tronco, forse un albero o una metafora della propria esistenza, invitandolo a osservare il rinascere della natura. L’ebrietudine tarda sembra evocare una condizione di stordimento e leggerezza, come se il vento avesse portato una sorta di ebbrezza finale, un’ultima estasi prima della quiete. L’albero con i suoi germogli fioriti potrebbe simboleggiare una rinascita, la promessa della vita che si rinnova dopo la tempesta. C’è una tensione tra la rigenerazione della natura e il senso di turbamento che pervade la vita interiore del poeta.
Quinta strofa
sotto l’azzurro fitto
del cielo qualche uccello di mare se ne va;
né sosta mai: perché tutte le immagini portano scritto:
” più in là “!
L’ultima strofa è una delle più potenti e iconiche della poesia. Sotto un azzurro fitto, un cielo intenso e compatto, un uccello di mare vola via, senza mai fermarsi. Il volo dell’uccello diventa una potente metafora del movimento incessante della vita e del desiderio umano di andare oltre, di cercare un senso, un significato che sembra sempre sfuggire. “Più in là” è il messaggio che Montale attribuisce alle immagini della natura: tutto, ogni segno, ogni visione, ci invita a cercare oltre, ad andare oltre ciò che conosciamo, come se la verità e la risposta alle nostre domande esistenziali fossero sempre un passo più avanti, sempre irraggiungibili.
Temi principali
- La natura come specchio dell’interiorità: La natura, con i suoi movimenti e il suo moto continuo, riflette lo stato d’animo del poeta. Il mare, il vento, gli uccelli, tutto parla dell’inquietudine dell’uomo, della sua ricerca di senso in un mondo che appare in continua trasformazione.
- Il desiderio di andare oltre: Il tema del “più in là” è centrale in Montale. La vita sembra essere un continuo movimento verso qualcosa di indefinito, mai raggiungibile, come un uccello che vola senza sosta. Il poeta percepisce la realtà come qualcosa di transitorio e incompiuto, un eterno viaggio senza una meta definita.
- L’inquietudine e la ricerca esistenziale: La vita turbata del poeta è un tema ricorrente. L’immobilismo non appartiene alla condizione umana: la vita è fatta di turbamenti e movimenti costanti, proprio come il mare e il vento. Montale accetta questa realtà, ma non senza un senso di malinconia e disillusione.
Conclusione
La poesia “Maestrale” rappresenta perfettamente la poetica di Montale, in cui la natura e il paesaggio fungono da simboli delle inquietudini e dei turbamenti interiori. Il movimento continuo del vento, del mare e degli uccelli riflette una condizione di irrequietezza esistenziale, dove la verità e la felicità sono sempre “più in là”, mai del tutto raggiungibili. Il messaggio finale della poesia è quello di un invito a non fermarsi mai, a cercare sempre oltre l’apparenza delle cose, consapevoli che la risposta potrebbe essere per sempre irraggiungibile.
Più in là (musica di Luigi Gaudio, parole liberamente ispirate dalla fine della poesia “Maestrale” di Eugenio Montale)
- Sotto l’azzurro fitto del cielo
qualche uccello di mare se ne va
Né sosta mai perché tutte le immagini
portano scritto più in là
Più in là, più in là, più in là
Più in là, più in là, più in là
- Perché anche l’amore non ti dà
una continua felicità?
Perché quella montagna è grande
ma dopo una cima un’altra è là?
Più in là, più in là, più in là
Più in là, più in là, più in là
Più in là (musica di Luigi Gaudio)
Più in là è una canzone che trae ispirazione dalla poesia “Maestrale” di Eugenio Montale e che, attraverso una forma musicale, ne riprende e amplifica il tema centrale del “più in là”.
Questo testo, scritto da Luigi Gaudio, interpreta liberamente l’ultima strofa della poesia, mettendo in luce il tema dell’inquietudine esistenziale e della continua ricerca di significato, già molto presente in Montale.
Analisi del testo
- Sotto l’azzurro fitto del cielo / qualche uccello di mare se ne va: Il riferimento iniziale riprende fedelmente i versi originali di Montale. L’immagine dell’uccello di mare che vola sotto il cielo azzurro, senza mai fermarsi, rimanda a quell’idea di movimento incessante che caratterizza la condizione umana. L’uccello, simbolo di libertà ma anche di vagabondaggio, rappresenta l’animo umano, sempre in cerca di qualcosa che sembra sfuggire.
- Né sosta mai perché tutte le immagini / portano scritto più in là: Qui viene ripreso il messaggio chiave della poesia di Montale: ogni immagine, ogni esperienza, ogni cosa che vediamo nella vita ci spinge a guardare oltre, a cercare un significato che non è mai pienamente raggiungibile. Il “più in là” diventa una sorta di motore dell’esistenza, l’idea che la vita è una continua esplorazione, senza una destinazione finale chiara.
- Più in là, più in là, più in là: Il ritornello ripetuto enfatizza questo moto perpetuo e l’inquietudine di non potersi mai fermare. È una ripetizione che rimarca la fuga costante e l’impossibilità di trovare una risposta definitiva.
- Perché anche l’amore non ti dà / una continua felicità?: Qui Gaudio introduce un aspetto più intimo e personale. L’amore, che spesso è visto come la fonte principale di felicità, non è in grado di garantire una soddisfazione costante. Anche l’amore, così come la vita, è segnato da alti e bassi, da momenti di gioia e momenti di vuoto. Questo interrogativo riflette il tema montaliano della fragilità delle esperienze umane, comprese quelle più profonde come l’amore.
- Perché quella montagna è grande / ma dopo una cima un’altra è là?: Questa metafora della montagna richiama l’idea del cammino e dell’ascesa. Non importa quante vette raggiungiamo nella vita, ci sarà sempre un’altra sfida, un altro obiettivo, un’altra cima da scalare. Il raggiungimento di una meta non è mai definitivo, ma porta inevitabilmente verso un nuovo traguardo. È un ciclo senza fine, un continuo andare “più in là”.
Temi principali
- La ricerca incessante: Il testo, come la poesia da cui è tratto, esplora l’idea che la vita sia una continua ricerca, un cammino verso l’ignoto che non conosce una vera meta. Ogni traguardo raggiunto porta alla scoperta di un nuovo obiettivo, e l’anima umana è destinata a muoversi sempre oltre, senza mai fermarsi.
- L’inquietudine esistenziale: La canzone esprime il senso di inquietudine che accompagna questa ricerca: perché non possiamo fermarci? Perché l’amore, o la conquista di una cima, non basta mai? È un interrogativo che riflette il pessimismo montaliano: la felicità e la soddisfazione sono sempre temporanee, perché c’è sempre qualcosa che ci spinge oltre.
- La fragilità dell’esperienza umana: Tanto l’amore quanto il successo personale non garantiscono una felicità stabile. Il testo suggerisce che tutto ciò che l’essere umano desidera, non può mai veramente bastare. Questo ricalca il tema montaliano della disillusione, in cui la realtà, anche quando sembra soddisfacente, ci costringe a continuare la nostra ricerca.
Conclusione
La canzone “Più in là” di Luigi Gaudio si ispira profondamente alla poetica di Montale, riprendendone i temi della ricerca senza fine e della fragilità delle esperienze umane. La ripetizione del “più in là” crea un senso di moto perpetuo e di irrequietezza, che sintetizza il messaggio montaliano: nella vita, ogni esperienza, ogni traguardo, porta sempre verso qualcosa di ulteriore, mai definitivo, e questa continua ricerca è ciò che definisce la nostra condizione esistenziale.