Le posizioni di Platone e Ovidio sui cambiamenti nella morale del tempo sono diverse, quasi opposte
Platone osserva come la democrazia, con la sua inclinazione a esaltare la libertà individuale senza limiti, porti a una trasformazione dei valori morali e linguistici. Questa trasformazione, che potremmo definire una transvalutazione lessicale, si manifesta quando termini con significati etici elevati vengono ridefiniti in modo negativo.
Ad esempio, secondo Platone:
Il pudore viene deriso come stoltezza,
La moderazione viene considerata una debolezza,
L’ambizione sfrenata viene esaltata come forza e libertà.
Questi cambiamenti, secondo Platone, corrompono i costumi e portano a una società in cui le virtù tradizionali vengono svalutate, creando un ambiente culturale degradato.
La posizione di Ovidio
Diversamente da Platone, Ovidio non disapprova questi cambiamenti nei valori morali e lessicali. Egli osserva con maggiore distacco e, in alcuni casi, sembra accettare o celebrare la trasformazione del costume come parte dell’evoluzione sociale e culturale.
Mentre Platone critica duramente la democrazia per il suo potenziale di confondere virtù e vizi, Ovidio, con il suo spirito ironico e disincantato, appare più indulgente nei confronti dei cambiamenti della società e dei suoi valori. Questo contrasto riflette una differenza fondamentale tra l’approccio filosofico e quello letterario:
Platone persegue l’ideale di una società basata su valori morali immutabili,
Ovidio abbraccia la fluidità della vita e della cultura, adattandosi e osservando i cambiamenti senza condannarli esplicitamente.
In questa dicotomia, vediamo due modi opposti di interpretare l’evoluzione della morale e del linguaggio: come decadenza per Platone e come dinamismo inevitabile per Ovidio.
Platone, Ovidio e le transvalutazioni lessicali della democrazia, dalla Metodologia per l’insegnamento del greco e del latino di Giovanni Ghiselli
17. 1.Platone e le transvalutazioni lessicali della democrazia, chiamano il pudore stoltezza, etc.). Esse cambiano in peggio il costume.
Il cambiamento di valore delle parole viene messo in rilievo anche da Platone quando, nell’VIII libro della Repubblica, passa in rassegna le forme costituzionali: nello stato democratico gli appetiti prendono possesso dell’acropoli dell’anima del giovane, poi questa viene occupata da parole e opinioni false e arroganti le quali chiamando il pudore stoltezza, lo bandiscono con disonore; chiamando la temperanza viltà, la buttano fuori coprendola di fango, e mandano oltre confine la misura e le ordinate spese persuadendo che sono rustichezza e illiberalità. E non basta. I discorsi arroganti con l’aiuto di molti inutili appetiti transvalutano pure, ma in positivo, i vizi, immettendoli nell’anima e chiamano la prepotenza buona educazione, l’anarchia libertà, la dissolutezza magnificenza, e l’impudenza coraggio. L’uomo così corrotto vive a casaccio, e la sua vita non è regolata da ordine né da alcuna necessità. Si capovolgono pure i rapporti umani: il padre teme il figlio, il maestro lo scolaro, i vecchi imitano i giovani, per non sembrare inameni e autoritari (563).
17.2.Ovidio chiarisce e non disapprova (fuge rustice longe/hinc Pudor ) tale cambiamento di valori lessicali e morali.
Il pudor , rusticus, va eliminato e sostituito con la cupido, l’audacia e la facundia. La fides poi va estorta con l’adulazione. Per la conquista è decisivo il desiderio che ispira il parlare bene e l’ardire erotico: la parola audace e suadente metterà in fuga il rusticus pudor :” Conloqui iam tempus adest; fuge rustice longe/hinc Pudor: audentem Forsque Venusque iuvat ” (Ars I, 605-606), è già tempo di parlarle; fuggi lontano di qui, rozzo Pudore, la Sorte e Venere aiutano chi osa.
Giovanni Ghiselli
note:
[1] Nelle Nuvole di Aristofane il Discorso Giusto dà inizio alla sua parte ricordando che la una volta era tenuta in conto come la quintessenza dell’educazione antica (vv. 961 sgg.). . Al tempo infatti la castità era tenuta in gran conto: nessuno modulando mollemente la voce andava verso l’amante facendo con gli occhi il lenone a se stesso (980).
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