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28 Dicembre 2019Sintesi dei capitoli dall’ 89 al 103 del Libro Terzo del De bello civili di Cesare
Il capitolo 89 del Libro Terzo del “De bello civili” di Cesare descrive come i soldati di Cesare, dopo aver preso il campo di Pompeo, lo assediarono all’interno, costringendo gli uomini di Pompeo a combattere senza concedere loro spazio per riprendersi. Anche se i soldati di Cesare erano esausti per il caldo, erano pronti a eseguire gli ordini del loro comandante, che non voleva dare tegua ai nemici.
Nei capitoli successivi, Cesare occupa l’accampamento di Pompeo, costringendolo a ritirarsi. Mentre si ritira, Pompeo incendia le sue navi per impedire a Cesare di usarle. Tuttavia, Cesare riesce a raggiungere la Sicilia e ad assicurarsi il controllo delle risorse navali nella regione.
Cesare prosegue quindi con la sua campagna, inseguendo Pompeo ovunque si rifugi.
Pompeo cerca di radunare truppe e risorse, ma Cesare continua ad avanzare.
Intanto, le città iniziano a riconoscere Cesare come il vincitore e a negare l’accesso a coloro che lo combattono.
La situazione diventa sempre più tesa mentre le forze di Cesare si avvicinano a Pompeo e alla sua cerchia.
Testo originale in latino
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Traduzione in italiano
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90 Exercitum cum militari more ad pugnam cohortaretur suaque in eum perpetui temporis officia praedicaret, imprimis commemoravit: testibus se militibus uti posse, quanto studio pacem petisset; quae per Vatinium in colloquiis, quae per Aulum Clodium eum Scipione egisset, quibus modis ad Oricum cum Libone de mittendis legatis contendisset. Neque se umquam abuti militum sanguine neque rem publicam alterutro exercitu privare voluisse. Hac habita oratione ecentibus militibus et studio pugnae ardentibus tuba signum dedit. |
90 Incentivando l’esercito alla battaglia con gli ordini militari e ricordando le sue continue attenzioni verso di esso, soprattutto fece notare: avrebbe potuto testimoniare quanto avesse cercato la pace con grande impegno; le trattative attraverso Vatinio, quelle attraverso Aulo Clodio e Scipione, i mezzi con cui aveva cercato di inviare ambasciatori a Orico con Libone. Non aveva mai voluto abusare del sangue dei suoi soldati né privare la repubblica dell’uno o dell’altro esercito. Dopo questo discorso, mentre i soldati erano eccitati e desiderosi di combattere, suonò la tromba come segno di battaglia. |
91 Erat C. Crastinus evocatus in exercitu Caesaris, qui superiore anno apud eum primum pilum in legione X duxerat, vir singulari virtute. Hic signo dato, “sequimini me,” inquit, “manipulares mei qui fuistis, et vestro imperatori quam constituistis operam date. Unum hoc proelium superest; quo confecto et ille suam dignitatem et nos nostram libertatem recuperabimus.” Simul respiciens Caesarem, “faciam,” inquit, “hodie, imperator, ut aut vivo mihi aut mortuo gratias agas.” Haec cum dixisset, primus ex dextro cornu procucurrit, atque eum electi milites circiter CXX voluntarii eiusdem cohortis sunt prosecuti. |
91 C’era Gaio Crastino, veterano nell’esercito di Cesare, che l’anno precedente aveva guidato la prima coorte della decima legione, un uomo di straordinaria virtù. Dopo aver dato il segnale, disse: “Seguitemi, uomini del mio manipolo, e rendete al vostro comandante il servizio che gli avete promesso. Un solo combattimento rimane; dopo averlo vinto, lui riacquisterà il suo prestigio e noi la nostra libertà.” Guardando Cesare, aggiunse: “Oggi, comandante, farò in modo che tu mi ringrazi, sia io vivo o morto.” Detto questo, corse per primo dall’ala destra, e circa centoventi soldati scelti della sua coorte lo seguirono volontariamente. |
92 Inter duas acies tantum erat relictum spatii, ut satis esset ad concursum utriusque exercitus. Sed Pompeius suis praedixerat, ut Caesaris impetum exciperent neve se loco moverent aciemque eius distrahi paterentur; idque admonitu C. Triarii fecisse dicebatur, ut primus incursus visque militum infringeretur aciesque distenderetur, atque in suis ordinibus dispositi dispersos adorirentur; leviusque casura pila sperabat in loco retentis militibus, quam si ipsi immissis telis occurrissent, simul fore, ut duplicato cursu Caesaris milites exanimarentur et lassitudine conficerentur. Quod nobis quidem nulla ratione factum a Pompeio videtur, propterea quod est quaedam animi incitatio atque alacritas naturaliter innata omnibus, quae studio pugnae incenditur; hanc non reprimere, sed augere imperatores debent; neque frustra antiquitus institutum est, ut signa undique concinerent clamoremque universi tollerent; quibus rebus et hostes terreri et suos incitari existimaverunt. |
92 Tra le due armate c’era solo lo spazio sufficiente per consentire l’incontro di entrambi gli eserciti. Ma Pompeo aveva ordinato ai suoi di resistere all’attacco di Cesare e di non muoversi dalla loro posizione, permettendo all’esercito di Cesare di distendersi; si diceva che Cneo Triario avesse dato questo consiglio affinché il primo attacco e la violenza dei soldati spezzassero la linea e che gli uomini disposti nelle loro file attaccassero quelli dispersi; sperava che le lance sarebbero cadute più leggere se i soldati fossero rimasti fermi, piuttosto che se avessero affrontato le frecce scagliate contro di loro, e allo stesso tempo, che i soldati di Cesare si sarebbero esauriti con una corsa raddoppiata e stremati dalla fatica. A nostro parere, Pompeo non avrebbe agito così per nessun motivo, perché c’è una certa vivacità e ardore naturale nell’animo di tutti, che viene accesa dall’entusiasmo per la battaglia; i comandanti non dovrebbero reprimere questo, ma alimentarlo; e non a caso nell’antichità era consuetudine far suonare le trombe da ogni parte e alzar alto il grido di guerra; con queste azioni speravano di terrorizzare i nemici e incoraggiare i loro soldati. |
93 Sed nostri milites dato signo cum infestis pilis procucurrissent atque animum advertissent non concurri a Pompeianis, usu periti ac superioribus pugnis exercitati sua sponte cursum represserunt et ad medium fere spatium constiterunt, ne consumptis viribus appropinquarent, parvoque intermisso temporis spatio ac rursus renovato cursu pila miserunt celeriterque, ut erat praeceptum a Caesare, gladios strinxerunt. Neque vero Pompeiani huic rei defuerunt. Nam et tela missa exceperunt et impetum legionum tulerunt et ordines suos servarunt pilisque missis ad gladios redierunt. Eodem tempore equites ab sinistro Pompei cornu, ut erat imperatum, universi procucurrerunt, omnisque multitudo sagittariorum se profudit. Quorum impetum noster equitatus non tulit, sed paulatim loco motus cessit, equitesque Pompei hoc acrius instare et se turmatim explicare aciemque nostram a latere aperto circumire coeperunt. Quod ubi Caesar animadvertit, quartae aciei, quam instituerat sex cohortium, dedit signum. Illi celeriter procucurrerunt infestisque signis tanta vi in Pompei equites impetum fecerunt, ut eorum nemo consisteret, omnesque conversi non solum loco excederent, sed protinus incitati fuga montes altissimos peterent. Quibus submotis omnes sagittarii funditoresque destituti inermes sine praesidio interfecti sunt. Eodem impetu cohortes sinistrum cornu pugnantibus etiam tum ac resistentibus in acie Pompeianis circumierunt eosque a tergo sunt adorti. |
93 Ma i nostri soldati, dato il segnale, corsero avanti con le lance puntate e notarono che i pompeiani non si avvicinavano; essendo esperti e allenati dalle precedenti battaglie, rallentarono spontaneamente il passo e si fermarono a circa metà del percorso, per evitare di esaurire le forze, e, dopo una breve pausa e ripreso il corso, lanciarono nuovamente le lance con velocità e, come ordinato da Cesare, estrassero le spade. E i pompeiani non rimasero indifferenti a questo. Infatti, evitarono i dardi lanciati, sopportarono l’urto delle legioni e mantennero le loro formazioni, quindi, dopo aver lanciato le lance, tornarono a impugnare le spade. Allo stesso tempo, i cavalieri dall’ala sinistra di Pompeo, come ordinato, si precipitarono avanti, e tutta la massa degli arcieri si sparse. Il nostro cavalleria non sopportò l’urto, ma gradualmente, spostandosi, cedette terreno, e i cavalieri di Pompeo iniziarono a premere con più forza e si estesero in gruppi e iniziarono a circondare il nostro fianco aperto nella battaglia. Quando Cesare si accorse di questo, diede il segnale alla quarta linea, composta da sei coorti. Questi corsero rapidamente e con le loro lance puntate fecero un attacco così vigoroso contro i cavalieri di Pompeo che nessuno di loro poté resistere, e tutti, voltandosi, non solo lasciarono il campo, ma, subito spinti dalla fuga, si misero a cercare le montagne più alte. Con la loro ritirata, tutti gli arcieri e gli ausiliari senza protezione furono uccisi. Nello stesso momento, le coorti che combattevano e resistevano nell’ala sinistra dei pompeiani furono circondate dalle coorti del quarto schieramento e attaccate alle spalle. |
94 Eodem tempore tertiam aciem Caesar, quae quieta fuerat et se ad id tempus loco tenuerat, procurrere iussit. Ita cum recentes atque integri defessis successissent, alii autem a tergo adorirentur, sustinere Pompeiani non potuerunt, atque universi terga verterunt. Neque vero Caesarem fefellit, quin ab eis cohortibus, quae contra equitatum in quarta acie collocatae essent, initium victoriae oriretur, ut ipse in cohortandis militibus pronuntiaverat. Ab his enim primum equitatus est pulsus, ab isdem factae caedes sagittariorum ac funditorum, ab isdem acies Pornpeiana a sinistra parte circumita atque initium fugae factum. Sed Pompeius, ut equitatum suum pulsum vidit atque eam partem, cui maxime confidebat, perterritam animadvertit, aliis quoque diffisus acie excessit protinusque se in castra equo contulit et eis centurionibus, quos in statione ad praetoriam portam posuerat, clare, ut milites exaudirent, “tuemini,” inquit, “castra et defendite diligenter, si quid durius acciderit. Ego reliquas portas circumeo et castrorum praesidia confirmo.” Haec cum dixisset, se in praetorium contulit summae rei diffidens et tamen eventum exspectans. |
94 Nel frattempo, Cesare ordinò alla terza linea, che finora era rimasta inattiva e aveva mantenuto la sua posizione, di avanzare. Così, quando le truppe fresche e fresche si erano unite a quelle stanche, e altre erano attaccate alle spalle, i pompeiani non riuscirono a resistere e si ritirarono tutti. E Cesare non fu ingannato sul fatto che da quelle coorti collocate contro la cavalleria nel quarto schieramento sarebbe nato l’inizio della vittoria, come aveva dichiarato quando incoraggiava i soldati. Infatti, da loro fu prima respinto il cavallo, da loro fu fatta la strage degli arcieri e dei frastagliatori, da loro l’ala di Pompeo fu circondata dalla parte sinistra e la fuga iniziò. Ma quando Pompeo vide che la sua cavalleria era stata respinta e che quella parte di cui si fidava di più era stata scossa dal terrore, temendo anche per gli altri, si ritirò dalla battaglia e si recò subito nel campo e, rivolgendosi ai centurioni che aveva posto in guardia alla porta pretoria, disse ad alta voce, affinché i soldati potessero sentire: “Difendete e proteggete diligentemente il campo, se accadrà qualcosa di più difficile. Io sto andando a girare le altre porte e a rinforzare la difesa del campo.” Dopo aver detto questo, si recò nel pretorio, diffidente della situazione generale eppure aspettando gli sviluppi. |
95 Caesar Pompeianis ex fuga intra vallum compulsis nullum spatium perterritis dari oportere existimans milites cohortatus est, ut beneficio fortunae uterentur castraque oppugnarent. Qui, etsi magno aestu fatigati (nam ad meridiem res erat perducta), tamen ad omnem laborem animo parati imperio paruerunt. Castra a cohortibus, quae ibi praesidio erant relictae, industrie defendebantur, multo etiam acrius a Thracibus barbarisque auxiliis. Nam qui acie refugerant milites, et animo perterriti et lassitudine confecti, missis plerique armis signisque militaribus, magis de reliqua fuga quam de castrorum defensione cogitabant. Neque vero diutius, qui in vallo constiterant, multitudinem telorum sustinere potuerunt, sed confecti vulneribus locum reliquerunt, protinusque omnes ducibus usi centurionibus tribunisque militum in altissimos montes, qui ad castra pertinebant, confugerunt. |
95 Cesare, ritenendo che non dovesse essere concesso alcun respiro ai Pompeiani costretti alla fuga dentro le fortificazioni, esortò i soldati a sfruttare il favore della fortuna e ad attaccare il campo. Anche se erano esausti per il grande caldo (poiché la situazione si era prolungata fino al mezzogiorno), tuttavia erano pronti a obbedire a ogni comando con animo risoluto. I campi venivano difesi con vigore dalle coorti lasciate lì come presidio, e ancora più aspramente dagli ausiliari traci e barbari. Infatti, i soldati che erano fuggiti dal campo di battaglia, spaventati e stremati dalla fatica, per lo più gettavano le armi e le insegne militari, pensando più alla fuga rimanente che alla difesa del campo. Inoltre, coloro che si erano trincerati nelle fortificazioni non poterono sostenere per molto tempo il gran numero di proiettili, ma, feriti e prosciugati, lasciarono il posto e immediatamente tutti, seguendo i comandanti, i centurioni e i tribuni militari, si rifugiarono sui monti più alti che conducevano agli accampamenti. |
96 In castris Pompei videre licuit trichilas structas, magnum argenti pondus expositum, recentibus caespitibus tabernacula constrata, Lucii etiam Lentuli et nonnullorum tabernacula protecta edera, multaque praeterea, quae nimiam luxuriam et victoriae fiduciam designarent, ut facile existimari posset nihil eos de eventu eius diei timuisse, qui non necessarias conquirerent voluptates. At hi miserrimo ac patientissimo exercitui Caesaris luxuriam obiciebant, cui semper omnia ad necessarium usum defuissent. Pompeius, iam cum intra vallum nostri versarentur, equum nactus, detractis insignibus imperatoris, decumana porta se ex castris eiecit protinusque equo citato Larisam contendit. Neque ibi constitit, sed eadem celeritate, paucos suos ex fuga nactus, nocturno itinere non intermisso, comitatu equitum XXX ad mare pervenit navemque frumentariam conscendit, saepe, ut dicebatur, querens tantum se opinionem fefellisse, ut, a quo genere hominum victoriam sperasset, ab eo initio fugae facto paene proditus videretur. |
96 Nel campo di Pompeo si potevano vedere tende lussuose erette, un grande quantitativo di argento esposto, tende appena costruite con erba fresca, persino le tende di Lucio Lentulo e di alcuni altri protette dall’edera rampicante, e molte altre cose che mostravano un eccessivo lusso e fiducia nella vittoria, tanto che si poteva facilmente dedurre che coloro che non cercavano lussi superflui non temevano affatto l’esito di quella giornata. Ma questi stessi rimproveravano al misero e paziente esercito di Cesare l’essere troppo lussuoso, nonostante avesse sempre avuto a disposizione solo il necessario. Pompeio, mentre i nostri erano già dentro il campo fortificato, montò a cavallo, si tolse gli insegne di comandante e uscì dal campo dalla porta posteriore, dirigendosi subito verso Larissa a cavallo. Non si fermò lì, ma con la stessa rapidità, dopo aver radunato pochi dei suoi fuggiaschi, durante un viaggio notturno senza interruzioni, con una scorta di trenta cavalieri, raggiunse il mare e salì su una nave per il trasporto di grano. Spesso, si diceva, lamentava di essersi completamente ingannato riguardo all’opinione che aveva di chi sperava avrebbe portato la vittoria, quasi sentisse di essere stato tradito fin dall’inizio della fuga. |
97 Caesar castris potitus a militibus contendit, ne in praeda occupati reliqui negotii gerendi facultatem dimitterent. Qua re impetrata montem opere circummunire instituit. Pompeiani, quod is mons erat sine aqua, diffisi ei loco relicto monte universi iugis eius Larisam versus se recipere coeperunt. Qua re animadversa Caesar copias suas divisit partemque legionum in castris Pompei remanere iussit, partem in sua castra remisit, IIII secum legiones duxit commodioreque itinere Pompeianis occurrere coepit et progressus milia passuum VI aciem instruxit. Qua re animadversa Pompeiani in quodam monte constiterunt. Hunc montem flumen subluebat. Caesar milites cohortatus, etsi totius diei continenti labore erant confecti noxque iam suberat, tamen munitione flumen a monte seclusit, ne noctu aquari Pompeiani possent. Quo perfecto opere illi de deditione missis legatis agere coeperunt. Pauci ordinis senatorii, qui se cum eis coniunxerant, nocte fuga salutem petiverunt. |
97 Conquistato il campo, Cesare si affrettò a impedire che i soldati rimasti, occupati nel bottino, perdessero l’opportunità di compiere ulteriori azioni. Ottenuto ciò, ordinò di fortificare la montagna con un terrapieno. Poiché la montagna era priva di acqua, i pompeiani, fidandosi del posto abbandonato dalla montagna, si ritirarono tutti lungo la sua cresta verso Larissa. Notato ciò, Cesare divise le sue forze e ordinò a una parte delle legioni di rimanere nel campo di Pompeo e a un’altra parte di tornare al suo campo, portando con sé quattro legioni, e iniziò a procedere lungo un percorso più breve per incontrare i pompeiani e, avanzando, formò le sue schiere a sei miglia di distanza. Quando i pompeiani notarono ciò, si fermarono su una certa montagna. Questa montagna era lambita da un fiume. Cesare, dopo aver incitato i soldati, anche se erano esausti dal lavoro continuo di tutto il giorno (poiché la situazione era giunta fino al mezzogiorno), fece chiudere il fiume con un terrapieno dalla montagna, così che i pompeiani non potessero attingere acqua di notte. Dopo aver completato questo lavoro, iniziarono a trattare la resa. Alcuni senatori, che si erano uniti a loro, cercarono la salvezza fuggendo di notte. |
98 Caesar prima luce omnes eos, qui in monte consederant, ex superioribus locis in planiciem descendere atque arma proicere iussit. Quod ubi sine recusatione fecerunt passisque palmis proiecti ad terram flentes ab eo salutem petiverunt, consolatus consurgere iussit et pauca apud eos de lenitate sua locutus, quo minore essent timore, omnes conservavit militibusque suis commendavit, ne qui eorum violaretur, neu quid sui desiderarent. Hac adhibita diligentia ex castris sibi legiones alias occurrere et eas, quas secum duxerat, in vicem requiescere atque in castra reverti iussit eodemque die Larisam pervenit. |
98 All’alba, Cesare ordinò loro di scendere dalla montagna e gettare le armi dalle posizioni più elevate sulla pianura. Quando lo fecero senza esitazione e, prostrati a terra, lo supplicarono piangendo per la salvezza, li consolò e ordinò loro di alzarsi, e parlando poche parole di gentilezza per ridurre la loro paura, li risparmiò tutti e raccomandò ai suoi soldati di non far del male a nessuno di loro né di desiderare nulla per sé. Con questa cura, ordinò alle legioni di venire dal campo e di prendere il posto di quelle che aveva portato con sé, e lo stesso giorno raggiunse Larissa. |
99 In eo proelio non amplius CC milites desideravit, sed centuriones, fortes viros, circiter XXX amisit. Interfectus est etiam fortissime pugnans Crastinus, cuius mentionem supra fecimus, gladio in os adversum coniecto. Neque id fuit falsum, quod ille in pugnam proficiscens dixerat. Sic enim Caesar existimabat, eo proelio excellentissimam virtutem Crastini fuisse, optimeque eum de se meritum iudicabat. Ex Pompeiano exercitu circiter milia XV cecidisse videbantur, sed in deditionem venerunt amplius milia XXIIII (namque etiam cohortes, quae praesidio in castellis fuerant, sese Sullae dediderunt), multi praeterea in finitimas civitates refugerunt; signaque militaria ex proelio ad Caesarem sunt relata CLXXX et aquilae VIIII. L. Domitius ex castris in montem refugiens, cum vires eum lassitudine defecissent, ab equitibus est interfectus. |
99 In questa battaglia non perse più di duecento soldati, ma circa trenta centurioni, uomini valorosi. Fu ucciso combattendo valorosamente anche Crastino, di cui abbiamo parlato in precedenza, con una spada infilata nella bocca. E non era falso dire che, partendo per la battaglia, aveva fatto questa affermazione. Infatti, Cesare credeva che la battaglia avesse dimostrato l’eccellente virtù di Crastino e lo riteneva molto meritevole di lode. Circa quindicimila sembravano essere caduti dal campo pompeiano, ma più di ventiquattro mila si arresero (poiché anche le coorti che erano state lasciate come presidio nei castelli si arresero a Silla); molti fuggirono anche verso le città confinanti; furono consegnati a Cesare centottanta insegne militari e nove aquile dalla battaglia. Lucio Domizio, rifugiandosi dal campo in una montagna, quando le sue forze cedettero per stanchezza, fu ucciso dalla cavalleria. |
100 Eodem tempore D. Laelius cum classe ad Brundisium venit eademque ratione, qua factum a Libone antea demonstravimus, insulam obiectam portui Brundisino tenuit. Similiter Vatinius, qui Brundisio praeerat, tectis instructisque scaphis elicuit naves Laelianas atque ex his longius productam unam quinqueremem et minores duas in angustiis portus cepit itemque per equites dispositos aqua prohibere classiarios instituit. Sed Laelius tempore anni commodiore usus ad navigandum onerariis navibus Corcyra Dyrrachioque aquam suis supportabat, neque a proposito deterrebatur neque ante proelium in Thessalia factum cognitum aut ignominia amissarum navium aut necessariarum rerum inopia ex portu insulaque expelli potuit. |
100: Nello stesso momento, Decimo Laelio arrivò a Brindisi con la sua flotta, prendendo possesso dell’isola che ostruiva l’ingresso al porto di Brindisi, utilizzando lo stesso metodo che abbiamo precedentemente illustrato essere stato utilizzato da Libone. Allo stesso modo, Vatinio, che era al comando a Brindisi, fece uscire le navi di Laelio dagli alloggi e dalle strutture predisposte, catturando una quinquereme e due navi più piccole, allontanandole più a fondo nelle strettoie del porto, e attraverso i cavalieri disposti, iniziò a bloccare l’accesso dei marinai alla via d’acqua. Tuttavia, Laelio, sfruttando il clima favorevole dell’anno, si fece supportare dalle navi mercantili per navigare verso Corfù e Dirraquio, e non si fece scoraggiare dall’idea iniziale, né fu costretto a lasciare il porto e l’isola a causa della perdita di prestigio dovuta alla perdita delle navi o alla mancanza di beni necessari, prima di conoscere l’esito della battaglia in Tessaglia. |
101 Isdem fere temporibus C. Cassius cum classe Syrorum et Phoenicum et Cilicum in Siciliam venit, et cum esset Caesaris classis divisa in duas partes, dimidiae parti praeesset P. Sulpicius praetor ad Vibonem, dimidiae M. Pomponius ad Messanam, prius Cassius ad Messanam navibus advolavit, quam Pomponius de eius adventu cognosceret, perturbatumque eum nactus nullis custodiis neque ordinibus certis, magno vento et secundo completas onerarias naves taeda et pice et stupa reliquisque rebus, quae sunt ad incendia, in Pomponianam classem immisit atque omnes naves incendit XXXV, e quibus erant XX constratae. Tantusque eo facto timor incessit, ut, cum esset legio praesidio Messanae, vix oppidum defenderetur, et nisi eo ipso tempore quidam nuntii de Caesaris victoria per dispositos equites essent allati, existimabant plerique futurum fuisse, uti amitteretur. Sed opportunissime nuntiis allatis oppidum est defensum; Cassiusque ad Sulpicianam inde classem profectus est Vibonem, applicatisque nostris ad terram navibus pari atque antea ratione Cassius secundum nactus ventum onerarias naves praeparatas ad incendium immisit, et flamma ab utroque cornu comprensa naves sunt combustae quinque. Cumque ignis magnitudine venti latius serperet, milites, qui ex veteribus legionibus erant relicti praesidio navibus ex numero aegrorum, ignominiam non tulerunt, sed sua sponte naves conscenderunt et a terra solverunt impetuque facto in Cassianam classem quinqueremes duas, in quarum altera erat Cassius, ceperunt; sed Cassius exceptus scapha refugit; praeterea duae sunt depressae triremes. Neque multo post de proelio facto in Thessalia cognitum est, ut ipsis Pompeianis fides fieret; nam ante id tempus fingi a legatis amicisque Caesaris arbitrabantur. Quibus rebus cognitis ex his locis Cassius cum classe discessit. |
101 Quasi nello stesso periodo, Gaio Cassio giunse in Sicilia con una flotta composta da Siriaci, Fenici e Cilici. Poiché la flotta di Cesare era divisa in due parti, una parte era sotto il comando di Publio Sulpicio pretore a Vibo, mentre l’altra parte era sotto il comando di Marco Pomponio a Messina. Prima che Pomponio venisse a conoscenza del suo arrivo, Cassio volò a Messina con le sue navi, approfittando dell’assenza di qualsiasi sorveglianza o disposizione organizzata. Sfruttando un forte vento favorevole, incendiò tutte le navi da trasporto cariche di pece, resina e altri materiali infiammabili, che erano tra le trentacinque navi, venti delle quali erano state costruite. Questo atto suscitò un così grande terrore che, nonostante la presenza di una legione a difesa di Messina, la città fu a malapena difesa, e molti ritenevano che sarebbe stata persa, se non fossero stati inviati messaggeri proprio in quel momento, grazie agli equites appositamente dispiegati, per portare la notizia della vittoria di Cesare. Ma, con la notizia arrivata tempestivamente, la città fu difesa con successo; Cassio poi partì per Vibo, e, avvicinate le nostre navi alla terra come già fatto in precedenza, approfittando del vento favorevole, inviò navi da trasporto precedentemente preparate per l’incendio, e dopo che il fuoco fu contenuto da entrambi i lati, cinque navi furono bruciate. Quando l’incendio si diffuse più ampiamente a causa del vento, i soldati, appartenenti a vecchie legioni e lasciati a guardia delle navi tra i malati, non sopportarono l’ignominia, e salirono a bordo delle navi di propria spontanea volontà, si allontanarono dalla terra e, con un impeto improvviso, catturarono due quinqueremi della flotta di Cassio, una delle quali era con Cassio stesso; ma Cassio riuscì a scappare in una scialuppa, e altre due triremi furono affondate. Poco dopo che la notizia della battaglia in Tessaglia fu diffusa, i pompeiani ebbero fiducia nella sua veridicità; infatti, fino a quel momento, avevano creduto che fosse stata inventata dai legati e dagli amici di Cesare. A seguito di queste informazioni, Cassio si ritirò con la sua flotta da quei luoghi. |
102 Caesar omnibus rebus relictis persequendum sibi Pompeium existimavit, quascumque in partes se ex fuga recepisset, ne rursus copias comparare alias et bellum renovare posset, et quantumcumque itineris equitatu efficere poterat, cotidie progrediebatur legionemque unam minoribus itineribus subsequi iussit. Erat edictum Pompei nomine Amphipoli propositum, uti omnes eius provinciae iuniores, Graeci civesque Romani, iurandi causa convenirent. Sed utrum avertendae suspicionis causa Pompeius proposuisset, ut quam diutissime longioris fugae consilium occultaret, an ut novis dilectibus, si nemo premeret, Macedoniam tenere conaretur, existimari non poterat. Ipse ad ancoram unam noctem constitit et vocatis ad se Amphipoli hospitibus et pecunia ad necessarios sumptus corrogata, cognito Caesaris adventu, ex eo loco discessit et Mytilenas paucis diebus venit. Biduum tempestate retentus navibusque aliis additis actuariis in Ciliciam atque inde Cyprum pervenit. Ibi cognoscit consensu omnium Antiochensium civiumque Romanorum, qui illic negotiarentur, arma capta esse excludendi sui causa nuntiosque dimissos ad eos, qui se ex fuga in finitimas civitates recepisse dicerentur, ne Antiochiam adirent: id si fecissent, magno eorum capitis periculo futurum. Idem hoc L. Lentulo, qui superiore anno consul fuerat, et P. Lentulo consulari ac nonnullis aliis acciderat Rhodi; qui cum ex fuga Pompeium sequerentur atque in insulam venissent, oppido ac portu recepti non erant missisque ad eos nuntiis, ut ex his locis discederent contra voluntatem suam naves solverant. Iamque de Caesaris adventu fama ad civitates perferebatur. |
103 Cesare, lasciate tutte le altre questioni, decise di perseguire Pompeo dovunque si fosse rifugiato dopo la fuga, per impedirgli di raccogliere nuove truppe e rinnovare la guerra, e avanzava quotidianamente per tutto il percorso che poteva essere coperto dalla cavalleria, ordinando alla legione di seguirlo con tappe ridotte. Pompeo aveva emesso un editto ad Amphipoli, a nome suo, per radunare tutti i giovani della sua provincia, sia cittadini greci che romani, per giurare fedeltà. Ma non si poteva dire se Pompeo avesse fatto questo per evitare sospetti, per nascondere il più a lungo possibile il suo piano di una fuga più prolungata, o se stesse cercando di tenere la Macedonia con nuove reclute, nel caso in cui nessuno lo ostacolasse. Cesare, giunto in una sola notte ad ancorarsi, chiamò a sé gli ospiti di Amphipoli e raccolse denaro per le spese necessarie, poi, saputo dell’arrivo di Cesare, si allontanò da quel luogo e in pochi giorni arrivò a Mitilene. Restò bloccato per due giorni a causa del maltempo e, aggiunte altre navi e barche aggiuntive, raggiunse la Cilicia e da lì Cipro. Lì apprese, con il consenso di tutti i cittadini di Antiochia e dei cittadini romani che commerciavano lì, che erano state prese le armi per escludere la sua presenza e che erano stati mandati messaggeri a coloro che si dicevano rifugiati nelle città limitrofe per non avvicinarsi ad Antiochia, poiché, se lo avessero fatto, sarebbero stati a grave rischio per la loro vita. La stessa cosa era successa a Lucio Lentulo, che era stato console l’anno precedente, e a Publio Lentulo, ex console, e ad altri a Rodi: quando seguivano Pompeo in fuga e giungevano sull’isola, non erano stati accolti in città né nel porto, e dopo l’invio di messaggeri affinché lasciassero quei luoghi, avevano levato le ancore contro la loro volontà. Intanto, la notizia dell’arrivo di Cesare si stava diffondendo tra le città. |
103 Quibus cognitis rebus Pompeius deposito adeundae Syriae consilio pecunia societatis sublata et a quibusdam privatis sumpta et aeris magno pondere ad militarem usum in naves imposito duobusque milibus hominum armatis, partim quos ex familiis societatum delegerat, partim a negotiatoribus coegerat, quosque ex suis quisque ad hanc rem idoneos existimabat, Pelusium pervenit. Ibi casu rex erat Ptolomaeus, puer aetate, magnis copiis cum sorore Cleopatra bellum gerens, quam paucis ante mensibus per suos propinquos atque amicos regno expulerat; castraque Cleopatrae non longo spatio ab eius castris distabant. Ad eum Pompeius misit, ut pro hospitio atque amicitia patris Alexandria reciperetur atque illius opibus in calamitate tegeretur. Sed qui ab eo missi erant, confecto legationis officio liberius cum militibus regis colloqui coeperunt eosque hortari, ut suum officium Pompeio praestarent, neve eius fortunam despicerent. In hoc erant numero complures Pompei milites, quos ex eius exercitu acceptos in Syria Gabinius Alexandriam traduxerat belloque confecto apud Ptolomaeum, patrem pueri, reliquerat. |
103 A conoscenza di queste cose, Pompeo abbandonò il progetto di dirigersi verso la Siria, sottrasse il denaro della società, che era stato proposto, e prese in prestito da alcuni privati e mise sulle navi un grande peso di rame per uso militare, e armò duemila uomini, parte dei quali aveva selezionato dalle famiglie della società e parte aveva arruolato di nascosto, e, seguendo l’istinto del suo cuore e lasciando il resto delle truppe e tutto il denaro alle navi, si rifugiò a Pelusio, porto dell’Egitto. E qui diede loro il più sicuro riparo, presentando la situazione dei fatti come di solito si è costretti a fare. Ma al suo arrivo, Tolomeo, re d’Egitto, essendo in età infantile e fidando sul tutorato di Teodoto, il governatore del regno, sospettò che Pompeo fosse destinato a raccogliere forze per sottomettere il regno d’Egitto e si preoccupò che, una volta raggiunto, avrebbe restituito il regno a quello che aveva la precedenza, ossia a Cleopatra. Pertanto, tra il desiderio di cercare il favore di Cesare, che era già arrivato in Egitto, e il timore di Pompeo, che era il comandante di un esercito, concluse che avrebbe ucciso Pompeo. Pertanto, inviò Achilla, che, sebbene fosse il suo principale istruttore di armi, era stato gravemente torturato da Pompeo, in segreto a Pelusio per uccidere Pompeo. |
Audio Lezioni di Letteratura Latina su Cesare del prof. Gaudio