La carriola: analisi della novella
21 Aprile 2022Esame di Terza Media: presentazione orale
22 Aprile 2022La Terra trema è un film del 1948 diretto da Luchino Visconti, ispirato al romanzo I Malavoglia di Giovanni Verga, pubblicato nel 1881.
Tuttavia, il film non è una semplice trasposizione del romanzo, ma piuttosto una rivisitazione dei temi verghiani, arricchita dalla visione politica e sociale di Visconti.
Nel romanzo I Malavoglia, Verga racconta le vicende della famiglia Toscano, pescatori di Aci Trezza, un piccolo villaggio siciliano. Attraverso il suo stile verista, Verga descrive la lotta disperata della famiglia contro un destino implacabile e contro le dure condizioni economiche e sociali che li imprigionano in un ciclo di miseria. La tragedia dei Malavoglia è una tragedia collettiva, in cui l’individuo è schiacciato dalle forze naturali e sociali.
La Terra trema riprende questi temi, ma Visconti, fortemente influenzato dall’ideologia marxista, li rielabora in chiave moderna e politica. Ambientato sempre ad Aci Trezza, il film racconta la lotta dei pescatori contro lo sfruttamento dei mercanti di pesce, ma mette in luce soprattutto la questione di classe e l’oppressione economica. Visconti ha utilizzato attori non professionisti del luogo, conferendo al film un carattere quasi documentaristico e una forte autenticità.
In entrambe le opere, la terra – o meglio, il mare – sembra essere un’entità indifferente alle sofferenze umane, come se gli esseri umani fossero destinati a lottare inutilmente contro forze più grandi di loro. È qui che risiede la profondità tragica di Verga e Visconti: la consapevolezza che la condizione umana è, in ultima analisi, determinata da fattori sociali ed economici che appaiono insormontabili. Non trovi che sia una visione cruda e potente della realtà?
- L’Eden incorniciato/L’Eden incorniciando. La funzione del ritratto di famiglia nel film La terra trema (1948), diretto da Luchino Visconti
«La realtà fotografata assume subito un carattere nostalgico, di gioia fuggita sull’ala del tempo, un carattere commemorativo, anche se è una foto dell’altro ieri. E la vita che vivete per fotografarla è già in partenza commemorazione di se stessa.» (italo Calvino)[1]
In un mondo spezzato dagli eventi sociali, politici e culturali, tutti collegati alla Seconda Guerra Mondiale, il nucleo della famiglia rappresentava l’unico Eden ancora non perso, un organismo in cui c’era ancora unione, collegamento, sensazione di appartenenza. Punto d’interesse maggiore, raffigurato nel film neorealista, La terra trema, diretto da Luchino Visconti, la famiglia subirà un processo di dissoluzione che potrebbe essere analizzato attraverso l’emergenza del ritratto di famiglia, fotografia che compare in momenti chiave durante la pellicola. La famiglia dei Valastri è un’umile famiglia di pescatori, convivono insieme in una casa[2], ambiente di convergenza di diverse temporalità (il nonno, la madre, i figli, i bambini), provando a sostenersi attraverso un lavoro arduo e continuo sul mare[3]. Sarà ‘Ntoni, uno dei figli, a ribellarsi contro i grossisti, buttando nel mare la loro bilancia – atto simbolico attraverso cui si perde l’equilibrio universale della loro esistenza, che porterà con se delle conseguenza tragiche sulla famiglia dei Valastri[4]. In base a questa situazione e alle sue prerogative, il ritratto di famiglia acquisisce un valore peculiare: attribuirà alla famiglia come idea, un’aureola, una certa sacralità, darà conforto ai personaggi sia per la sua capacità di conservare e preservare qualcosa di perso, sia per il suo valore di «polylogue»[5], superficie vivente che parla diversamente a seconda dell’interlocutore.
L’idea di cinema antropomorfico, espressa da Visconti, in quale «il più umile gesto dell’uomo, il suo passo, le sue esitazioni e i suoi impulsi da soli danno poesia e vibrazioni alle cose che li circondano e nelle quali si inquadrano»[6], sta per quello che succede con la fotografia: sono i personaggi che interagiscono con il ritratto a svelare le varie sfaccettature di esso. Quello che precede l’entrata in scena del ritratto (Fig.3) è il dialogo di Mara, una delle figlie, che si dimostra alla fine della pellicola a essere simbolo della ragione e saggezza, con la sorella più piccola, Lucia (Fig.2). Sin dall’inizio, il ritratto mostra una certa idealità, «quel pezzettino di carta contiene un istante irripetibile di tempo, di vita»[7], l’oggetto riuscendo a tener dentro di se quello che la vita aveva rovinato precedentemente, il padre, e rovinerà ulteriormente, la famiglia. «Nella maggior parte della società, il ritratto famigliare ha un valore culturale significativo, sia come contenitore di memoria, che occasione della performance di memoria»[8], da qui anche la metafora usata nel titolo. La carta memorizza e protegge l’Eden della famiglia dentro la cornice e dentro il suo contenuto. Come sorgente della memoria, essa rappresenterà, durante il film, un Eden perso – chronotop della vita ideale, qualcosa di desiderato e di desiderabile, però sempre irraggiungibile, non si può tornare mai indietro anche se ci si aspira nel presente. Partendo dall’affermazione che «ogni fotografia ti fa esplodere dentro non un ricordo soltanto, ma una costellazione di ricordi, intrisi di nostalgia, vergogna, divertimento, strazio»[9], Lucia comincia il processo della memoria centrato su un assenza, dicendo alla sorella che sta sempre pensando ai suoi fratelli quando sono sul mare, come aveva pensato anche al padre che, un mattina, non era più tornato. Ricorda il giorno quando era stata scattata la fotografia, dichiarando: «Sembra fosse ierì»[10], «consumando l’immagine […], fantasm[a] del mondo che [la] inganna con la [sua] falsa realtà»[11]. Già dalla sua prima apparizione, il ritratto compromette la dicotomia passato-presente in quanto la famiglia, gli «esseri viventi», sono trasformati in oggetti [il ritratto come forma passiva di vita, e] gli oggetti in esseri viventi [il ritratto come forma attiva di vita] »[12]: il ritratto è qualcosa di passato, intoccabile, però esso riesce a dominare il presente dei personaggi, le loro azioni, ed è, allo stesso tempo, un’utopia in relazione con il loro futuro. La fotografia diventa, dunque, un oggetto vivente, una forza agente.
L’Eden della famiglia viene costruito anche con l’aiuto di altri simboli. Da precisare è il fatto che, collegata all’emergenza del ritratto, è anche la presenza di un suono particolare: quello delle campane, che Barthes chiama «uno dei rumori del tempo», e che attribuiscono una certa sacralità al momento in cui si attua la memoria. Allo stesso tempo, secondo il narratore, le campane preannunciano la tempesta, la sorte della famiglia dei Vallastri è, sin dall’inizio, infusa di fatalità e tragicità. Accanto alle campane, la madre con il bambino fa sempre di sfondo nelle scene di emergenza del ritratto. A parte il fatto che l’immagine sta per un accoppiamento di temporalità – la madre come figura del passato è il bambino come figura del futuro[13] – l’immagine rimanda all’iconografia cristiana, cioè l’immagine della Vergine con Gesù, che amplifica la dimensione sacra della famiglia (ricordiamo anche il fatto che la madre benedice sempre i figli – quando partono e quando arrivano).
La storia prosegue. Dopo essersi ribellato, ‘Ntoni pensa a una soluzione per guadagnare i propri soldi, per non essere più sfruttato dai grossisti. Così arriva a una conclusione: fare il lavoro indipendente e vendere i pesci in Catania. Comincia così il crollare dell’unità, con l’idea di ipotecare la casa per comprare una barca. Inizialmente la sorte gli sorride, però la tempesta, sia con senso denotativo – quello che succede sul mare, che connotativo – la tempesta al livello famigliare – porterà alla perdita: di lavoro, di denaro, di casa, di onore e, ultimamente, della famiglia come nucleo. Seguendo la voce del narratore, «a uno, a uno si seccano i rami dell’albero e cadono»[14]. Al livello simbolico, l’albero sta per la famiglia (ricordiamo l’albero genealogico, mischio di tempi e identità), puntando anche sul valore simbolico delle radici – stabilità in rapporto con una terra che trema, che conduce ad essere sradicato. Così «i Valastri», sostantivo proprio al plurale, comincia a perde il suo valore – si rimane senza proprietà e senza pluralità.
La famiglia dei Valastri si disperde. Una volta morto il padre, rimane il nonno come pilone della famiglia. Possiamo dire che c’è una sorta di análepsis del destino tragico quando succede la seconda perdita di quello che faceva da pater familias: il nonno che si ammala e deve essere portato all’ospedale (Fig.7). Dopo questo, il secondo membro che abbandonerà la famiglia, che sceglierà un’altra via, sarà Cola, uno dei fratelli. La scena si rivela a essere in stretto rapporto con quella di Mara e Lucia. Simmetricamente, si comincia con un dialogo tra i fratelli su cose del passato. Anche i rapporti tra di loro sono simmetrici – per Mara sta ‘Ntoni, il fratello più grande, che aveva viaggiato dappertutto e che enuncia la massima dopo di cui si dovrebbe guidare Cola, che equivale Lucia [15], discepolo ingenuo, senza esperienza, che si è sviluppato all’interno dei confini della povera Aci Trezza: «Siamo nati in Trezza e qua moriremo» [16].
Al livello compositivo, l’immagine nello specchio di Cola gioca sul concetto di doppelgänger (Fig.4). A differenza di Cola che aveva conservato la sacralità della famiglia attraverso il lavoro continuo sul mare per il bene comune viene messo un Cola interessato alla contrabbanda, il suo doppio poggiando su una dimensione profana dell’esistenza. La sua partenza e preceduta da un momento di intimità con il ritratto. Al livello visuale si delinea la dimensione religiosa dell’oggetto, Cola sembra essersi posto di fronte ad un icona, il suo dialogo intimo assomiglia a una preghiera. Prima di dedicarsi ad una vita d’ingannatore, Cola parla con il ritratto, valorizzando il fatto che «la fotografia è, essenzialmente, un’emanazione del referente. Da un corpo reale, che è stato lì, procedono delle radiazioni che, ultimamente, toccano noi, che siamo qua »[17]. Così, il ritratto si rileva di nuovo come oggetto vivente, «il ritratto di famiglia […] essendo capace di generare nuovi significati»[18], per Cola è, soprattutto, uno a cui dire la giustificazione della scelta che farà, un vero e proprio ricevente che gli consente attraverso il suo silenzio di seguire la strada del contrabbandista – per il bene della famiglia, quella famiglia ideale, nella sua integrità, contenuta dalle cornice del ritratto. Le temporalità, ancora una volta, sono mischiate: agire nel futuro per qualcosa già passato.
Quello che segue a questa scena è la dissoluzione di tutto quello che stava per famiglia – i Valastri rimangono senza una casa, simbolo dell’unità famigliare, il nonno muore, Lucia si allontana dai valori e viene disonorata da Don Salvatore (Fig.8), mentre ‘Ntoni trova rifugio nell’alcool (Fig. 9). Tutti questi episodi validano l’affermazione di Visconti stesso: «il tono nostalgico e fatale dell’antica tragedia a questa umile vicenda della vita d’ogni giorno, a questa storia fatta apparentemente di scarti, di rifiuti, di cose senza importanza»[19].
Di seguito, una volta persa la casa, a entrare in contatto con il quadro sarà la madre. Simbolo della vecchiaia, della linearità e continuità del tempo, l’unica che tiene ancora legata la famiglia, sempre con il bambino nelle sue braccia, il suo gesto di e togliere e a trasportare il quadro sarà di nuovo accompagnato dal suono delle campane. La madre guarda a lungo il quadro, dopo di che lo toglie dal muro – in una mano ci tiene il ritratto – «fotografia [che] porta sempre con se il suo referente [qua la famiglia unita], entrambi afflitti da un’immobilità funerale [ne l’oggetto, ne il contenuto di esso non subiscono trasformazioni in base al tempo, sono immutevoli] alla base di un mondo in movimento [la vita dei Valastri sul mare, nel villaggio, nella loro individualità]»[20]. Il ritratto è «arrivato a riaffermare simbolicamente […:] quelle tracce spettrali, le fotografie, forniscono la presenza simbolica dei parenti dispersi», ed è per questa ragione che l’oggetto viene portato dappertutto.
Epitome del passato irripetibile e della sacralità persa, di qualcosa di non restituibile, il quadro sopravvive nel presente dei personaggi, «super in durata quello che è rappresentato». Il gioco sull’idea del tempo persiste ancora: la madre tiene il quadro in una mano e il bambino nell’altra, puntando su temporalità opposte, in una doppia lotta: contra di esse e contra il fugit irreparabile tempus (Fig.12). Per quanto riguarda la sacralità dell’idea di famiglia, si procede per un climax ascensionale. Dal punto di vista compositivo, l’intera scena (Fig.11) punta sul sacro e fornisce ancora una prova per la dimensione sacra attribuita alla famiglia attraverso l’immagine della madre con il bimbo e il ritratto, seduta accanto ad un’icona di Gesù.
L’apice della sacralità del quadro viene raggiunto, comunque, dopo che i Valastri abbiano cambiato casa, e sarà Mara, l’unica che non cambia durante il percorso famigliare, ad assegnare il massimo valore al ritratto. Ci si rileva, in questo istante, anche il stretto collegamento del film con la letteratura[21]. Simbolicamente, il ritratto diventa l’equivalente visuale di un’idea espressa da Giovanni Verga nel romanzo verista I Malavoglia, libro che ha ispirato il film di Visconti, spiegato però prima in una della sue novelle, Fantasticheria:
«- Insomma l’ideale dell’ostrica! – direte voi. – Proprio l’ideale dell’ostrica! e noi non abbiamo altro motivo di trovarlo ridicolo, che quello di non esser nati ostriche anche noi -. Per altro il tenace attaccamento di quella povera gente allo scoglio sul quale la fortuna li ha lasciati cadere, […] questa rassegnazione coraggiosa ad una vita di stenti, questa religione della famiglia, […] mi sembrano – forse pel quarto d’ora – cose serissime e rispettabilissime anch’esse.»[22]
Mara avvicina la fotografia all’icona, fa dal concetto di famiglia un’ideale di vita, una vera e propria religione, un Eden a cui ci si aspira e in dipendenza di cui si agisce. Il ritratto diventa così per i Valastri quello che Pierre Nora chiama «lieu de memoir, [un] posto dove la memoria si cristallizza e da cui viene, allo stesso tempo, emanata» [23]. L’emanazione dell’oggetto riafferma l’idea che «quello che la fotografia riproduce all’infinito è capitato solo una volta: la fotografia riproduce quello che, in realtà, non potrà mai capitare di nuovo»[24], nel caso dei Valastri il paradiso perduto e irripetibile essendo infuso dentro la carta fotografica, sostituente e riempitivo del vuoto che succede dentro di ogni personaggio che sente l’urgenza si entrare il contatto con il ritratto. Il gesto fisico di accarezzare l’oggetto trasmette quasi l’energia vitale di un essere vivente, Mara, nel ritratto – fa da questo una presenza genuina, quasi una persona del passato con cui ci si stabilisce una tensione dialogica.
«La macchina fotografia non mente nemmeno quando cita una menzogna [la famiglia come organismo ancora funzionale], anzì, fa cosicché la menzogna sembra più reale»[25], ed e per questa ragione che sempre i personaggi stabiliscono un vero contatto con un l’oggetto. Esso rappresenta la sola presenza che conserva ancora tutto quello che è di assente nella loro vita, cioè l’unita. Inoltre, il ritratto è un mischio di temporalità risultato dalle età delle persone, un cumulo di facce e corpi appoggiati uno sull’altro, dipendenti uno dall’altro. Il corpo narrativo visuale racconta la storia della famiglia e possiede, come la memoria stessa, «un’arte di setacciare tutto il dolore e di mantenere dentro solo l’aspetto gioioso»[26]. La scena alimenta l’idea che «una fotografia è sia una pseudo-presenza che un segno di assenza. […] Il senso dell’irraggiungibile che può essere evocato dalle fotografie alimenta direttamente i sentimenti erotici di coloro per i quali la desiderabilità si aggiunge ad una distanza».
Lo dice Visconti stesso che nei suoi film di ispirazione meridionale si ha «addentrato in drammi psicologici, sulla linea costante della rappresentazione del tema verghiano del fallimento, dei «vinti» insomma»[27]. Sin dall’inizio ci si ha un’atmosfera tragica, sin dall’inizio la morte, il passato, fa parte del discorso in cui i personaggi si situano e, ulteriormente, si sviluppano. Un contrappunto a tutto questo è la fotografia. Nel mio lavoro ho provato di dimostrare come il ritratto di famiglia funziona come Eden incorniciato – posto ideale, desiderato, in cui non si può tornare dopo aver peccato – ma anche come Eden incorniciando – la sintagma al gerundio sta per l’agire in continuum del ritratto nelle vite del presente dei personaggi. La dialettica tra le due qualità della fotografia fa in modo che essa dimostri la sua capacità di mantenere intatta sia la persistenza che la potenza della memoria.
Filmografia:
Visconti, Luchino, La Terra Trema, Victor Film, 1948
Bibliografia letteraria:
Calvino, Italo, L’avventura di un fotografo in Gli amori difficili, Mondadori, 2016
Verga, Giovanni, Fantasticheria in Vita dei campi, 1880, e-book
Bibliografia critica:
Barthes, Roland, Camera Lucida: Reflections on Photography, New York: Hill and Wang, 1981
Berger, John, The Ambiguity of the Photograph, https://izzypercy.wordpress.com/john-berger-ambiguity-of-the-photograph-18-10-17/, consultato il 8.07.2020
Emerson, Ralph W, and Edward W. Emerson. The Complete Works of Ralph Waldo Emerson. Boston: Houghton, Mifflin and Co, 1903
Kuhn, Annette, Photography and cultural memory: a methodological exploration, Visual Studies, Vol. 22, No. 3, December 2007, Routledge Taylor&Francis Group
Nora, Pierre, Between Memory and History: Les Lieux de Mémoire, Representations, No. 26, Special Issue: Memory and Counter-Memory, University of California Press, 1989
Scianna, Ferdinando, Lo specchio vuoto. Fotografia, Identità, Memoria, Editori Laterza, 2014
Sontag, Susan, On Photography, RosettaBooks LLC, New York, 2005
Visconti, Luchino, Cinema antropomorfico in “Cinema”, numero 173-174, settembre, ottobre 1943
Visconti, Luchino, Oltre il fato dei Malavoglia, «Vie Nuove», 22 ottobre 1960
Visconti, Luchino, Stile italiano nel cinema, Milano, 1941
Note:
[1] Calvino, Italo, L’avventura di un fotografo in Gli amori difficili, Mondadori, 2016, i miei corsivi, i miei grossetti
[2] Per quanto riguarda le temporalità e il concetto di famiglia come organismo, da menzionare sono le scene corali delle stanze, in cui membri di tutti età interagiscono e vivono come un insieme
[3] Il mare – entità delle incertezze, infinita forza distruttrice – e l’estetica delle scene in cui compare, contribuiscono nel creare di un’allegoria della vita – tirreno incerto, di infinite possibilità, con una stessa forza intrinseca: la terra che trema e la vita stessa
[4] Visconti, Luchino, La Terra Trema, Victor Film, 1948
[5] Sontag, Susan, On Photography, RosettaBooks LLC, New York, 2005, la mia traduzione
[6] Visconti, Luchino, Cinema antropomorfico in “Cinema”, numero 173-174, settembre, ottobre 1943, i miei corsivi
[7] Scianna, Ferdinando, Lo specchio vuoto. Fotografia, Identità, Memoria, Editori Laterza, 2014
[8] Kuhn, Annette, Photography and cultural memory: a methodological exploration, Visual Studies, Vol. 22, No. 3, December 2007, Routledge Taylor&Francis Group, la mia traduzione
[9] Scianna, Ferdinando, Lo specchio vuoto. Fotografia, Identità, Memoria, Editori Laterza, 2014
[10] Visconti, Luchino, La Terra Trema, Victor Film, 1948
[11] Sontag, Susan, On Photography, RosettaBooks LLC, New York, 2005, la mia traduzione
[12] Ibid
[13] L’accoppiamento di temporalità sarà una costante durante il film – nelle stanze ci saranno persone di età diverse, da bambini ai vecchi, come nella barca e nel porto, il nonno dirà ai nipoti “La forza dei giovani e consiglio dei vecchi”, i bambini sono sempre nelle braccia di un adulto, la scena finale tra la ragazzina e ‘Ntoni mette ancora un volta le diverse temporalità in dialogo.
[14] Visconti, Luchino, La Terra Trema, Victor Film, 1948
[15] Entrambi si allonteneranno dalla famiglia – Cola, al livello fisico, Lucia – per le sue
[16] Visconti, Luchino, La Terra Trema, Victor Film, 1948
[17] Barthes, Roland, Camera Lucida: Reflections on Photography, New York: Hill and Wang, 1981, la mia traduzione
[18] Kuhn, Annette, Photography and cultural memory: a methodological exploration, Visual Studies, Vol. 22, No. 3, December 2007, Routledge Taylor&Francis Group, la mia traduzione
[19] Visconti, Luchino, in Stile italiano nel cinema, Milano 1941
[20] Barthes, Roland, Camera Lucida: Reflections on Photography, New York: Hill and Wang, 1981, la mia traduzione
[21] Anche il nome di Mara è tratto da Verga, essendo la protagonista della novella Jeli il pastore
[22] Verga, Giovanni, da Fantasticheria in Vita dei campi, 1880, i miei corsivi
[23] Nora, Pierre, Between Memory and History: Les Lieux de Mémoire, Representations, No. 26, Special Issue: Memory and Counter-Memory, University of California Press, 1989, la mia traduzione
[24] Barthes, Roland, Camera Lucida: Reflections on Photography, New York: Hill and Wang, 1981, la mia traduzione
[25] Berger, John, The Ambiguity of the Photograph, la mia traduzione https://izzypercy.wordpress.com/john-berger-ambiguity-of-the-photograph-18-10-17/, la mia traduzione, consultato il 8.07.2020
[26] Emerson, Ralph W, and Edward W. Emerson. The Complete Works of Ralph Waldo Emerson. Boston: Houghton, Mifflin and Co, 1903, la mia traduzione
[27] Visconti, Luchino, Oltre il fato dei Malavoglia, «Vie Nuove», 22 ottobre 1960