Lettera aperta sul Concorso DS Lombardia – di Renzo Caliari
17 Agosto 2013Un’escursione al chiaro di luna – tema svolto di Andrea Brazzoli
27 Agosto 2013
Conclusioni –
Francesco Chesi, TFA A059
Francesco Chesi, TFA A059
Partendo dagli incontri e dalle
esperienze di questi tre anni di supplenze nella scuola secondaria di 1°grado, vorrei riflettere sul
significato della professione docente, sull’essere educatori e sul futuro della scuola. Con la volontà di
prendere spunto dalla realtà per ragionare col buon senso.
esperienze di questi tre anni di supplenze nella scuola secondaria di 1°grado, vorrei riflettere sul
significato della professione docente, sull’essere educatori e sul futuro della scuola. Con la volontà di
prendere spunto dalla realtà per ragionare col buon senso.
Inizierò la riflessione partendo
da un commento letto sulla stampa, in merito al viaggio di Papa Francesco a Lampedusa: “rompendo
la tradizionale procedura di viaggi petrini programmati in largo anticipo e meticolosamente
pianificati. Più di tutte le parole colpisce un Papa che decide in cuor suo un viaggio. E prende e
va perché si è sentito percosso da qualcosa. Nel caso, ha detto Francesco, <<immigrati
morti in mare… Quando alcune settimane ho appreso questa notizia, che purtroppo tante volte si è
ripetuta, il pensiero vi è tornato continuamente come una spina nel cuore che porta sofferenza. E allora ho
sentito che dovevo venire qua oggi>>. Allora uno non si inchina alla bontà, alle buone parole,
alla buona causa. Uno guarda soltanto. Guarda uno che sente la fatica di tutti. E impara. Impara che
Francesco non cinguetta #loveislove, non dà l’amicizia con un clic, non è un’istruzione per l’uso.” (1) (il sottolineato
è mio).
da un commento letto sulla stampa, in merito al viaggio di Papa Francesco a Lampedusa: “rompendo
la tradizionale procedura di viaggi petrini programmati in largo anticipo e meticolosamente
pianificati. Più di tutte le parole colpisce un Papa che decide in cuor suo un viaggio. E prende e
va perché si è sentito percosso da qualcosa. Nel caso, ha detto Francesco, <<immigrati
morti in mare… Quando alcune settimane ho appreso questa notizia, che purtroppo tante volte si è
ripetuta, il pensiero vi è tornato continuamente come una spina nel cuore che porta sofferenza. E allora ho
sentito che dovevo venire qua oggi>>. Allora uno non si inchina alla bontà, alle buone parole,
alla buona causa. Uno guarda soltanto. Guarda uno che sente la fatica di tutti. E impara. Impara che
Francesco non cinguetta #loveislove, non dà l’amicizia con un clic, non è un’istruzione per l’uso.” (1) (il sottolineato
è mio).
Ci sono parole che conosciamo,
“procedura” “programmi” “meticolosamente” , che sembrano
“procedura” “programmi” “meticolosamente” , che sembrano
ufficialmente scomparse nella
scuola ma però permangono, magari implicite, nei modi di essere e di fare di molti professori di
scuola media. E poi ci sono parole che forse nella scuola si sono dimenticate, dietro a tanto fumo
scritto nei P.O.F. e nelle circolari. Parole come “cuore” e “viaggio” , che magari nella
nostra italiana ansia di legiferare tutto, vorremmo venissero scritti in qualche documento ufficiale. Ma
non vi ci possono stare. Dovrebbero invece essere patrimonio comune della professione docente,
una sorta di education common law. Con “cuore” , chiariamo subito, non si intende il
sentimentalismo, “fate i buoni” o il logo sui coni-gelato, si fa qui riferimento al significato che
già davano i latini, cioè il nucleo centrale dell’uomo, la sua parte più vera e preziosa. E il viaggio?
Pareyson scrive: “La persona porta con sé il proprio segreto: per conoscerlo bisogna interrogarla,
entrare con lei in una vera e propria conversazione e non limitarsi a parlarle e ad ascoltarla, ma
anche cercare di farla parlare nel modo in cui la si può meglio ascoltare” (2). Quindi, una
conversazione che sia un cammino comune tra il docente e l’alunno, interrogati dalla realtà, questo
intendo per educazione.
scuola ma però permangono, magari implicite, nei modi di essere e di fare di molti professori di
scuola media. E poi ci sono parole che forse nella scuola si sono dimenticate, dietro a tanto fumo
scritto nei P.O.F. e nelle circolari. Parole come “cuore” e “viaggio” , che magari nella
nostra italiana ansia di legiferare tutto, vorremmo venissero scritti in qualche documento ufficiale. Ma
non vi ci possono stare. Dovrebbero invece essere patrimonio comune della professione docente,
una sorta di education common law. Con “cuore” , chiariamo subito, non si intende il
sentimentalismo, “fate i buoni” o il logo sui coni-gelato, si fa qui riferimento al significato che
già davano i latini, cioè il nucleo centrale dell’uomo, la sua parte più vera e preziosa. E il viaggio?
Pareyson scrive: “La persona porta con sé il proprio segreto: per conoscerlo bisogna interrogarla,
entrare con lei in una vera e propria conversazione e non limitarsi a parlarle e ad ascoltarla, ma
anche cercare di farla parlare nel modo in cui la si può meglio ascoltare” (2). Quindi, una
conversazione che sia un cammino comune tra il docente e l’alunno, interrogati dalla realtà, questo
intendo per educazione.
Un docente “che prende e va
perché si è sentito percosso da qualcosa” , “uno che sente la fatica di tutti” , ma che non si fa
abbattere o disperare da ciò, perché è conscio nel profondo di quale sia la sua funzione. Ho conosciuto
colleghi che sembravano aver dimenticato la fatica dell’apprendere, ne interpretavano i sintomi negli
alunni come svogliatezza o irrequietezza, o la rifiutavano del tutto senza porsi domande. E’ capitato a
volte anche a me, è una sorta di pigrizia professionale, che spesso nei momenti di maggior stanchezza
del docente tende a rivestirlo di rudezza o insofferenza. Qui viene fuori allora una questione
centrale: l’insegnante riflessivo, che interroga continuamente la realtà e sé stesso per operare
meglio. Dall’incontro con i laboratori del Movimento di Cooperazione Educativa ho conosciuto nuovi
stili di insegnamento e strategie di apprendimento. Con la registrazione sonora delle
lezioni, ho iniziato a riflettere con distacco su ciò che succede in classe. A questo proposito, ci viene in
aiuto Guardini, che esprime bene le domande da farsi: “Ogni comprensione presuppone che si
reputi l’altro un essere che ha un suo centro originario, un suo ordine di vita, propri desideri e
diritti. Solo allora si può chiedersi con buone prospettive e con successo: Perché quegli fa ciò
che compie? Quali esperienze ha fatto? Quale storia sta dietro il suo comportamento? […] E così via,
con domande, che poi trovano una risposta effettiva, la risposta data dal comprendere” 2. E le stesse
domande dovremmo rivolgerle a noi. Il predellino della cattedra sarà pure scomparso nelle scuole
italiane, ma permane talvolta nei nostri comportamenti e atteggiamenti.
perché si è sentito percosso da qualcosa” , “uno che sente la fatica di tutti” , ma che non si fa
abbattere o disperare da ciò, perché è conscio nel profondo di quale sia la sua funzione. Ho conosciuto
colleghi che sembravano aver dimenticato la fatica dell’apprendere, ne interpretavano i sintomi negli
alunni come svogliatezza o irrequietezza, o la rifiutavano del tutto senza porsi domande. E’ capitato a
volte anche a me, è una sorta di pigrizia professionale, che spesso nei momenti di maggior stanchezza
del docente tende a rivestirlo di rudezza o insofferenza. Qui viene fuori allora una questione
centrale: l’insegnante riflessivo, che interroga continuamente la realtà e sé stesso per operare
meglio. Dall’incontro con i laboratori del Movimento di Cooperazione Educativa ho conosciuto nuovi
stili di insegnamento e strategie di apprendimento. Con la registrazione sonora delle
lezioni, ho iniziato a riflettere con distacco su ciò che succede in classe. A questo proposito, ci viene in
aiuto Guardini, che esprime bene le domande da farsi: “Ogni comprensione presuppone che si
reputi l’altro un essere che ha un suo centro originario, un suo ordine di vita, propri desideri e
diritti. Solo allora si può chiedersi con buone prospettive e con successo: Perché quegli fa ciò
che compie? Quali esperienze ha fatto? Quale storia sta dietro il suo comportamento? […] E così via,
con domande, che poi trovano una risposta effettiva, la risposta data dal comprendere” 2. E le stesse
domande dovremmo rivolgerle a noi. Il predellino della cattedra sarà pure scomparso nelle scuole
italiane, ma permane talvolta nei nostri comportamenti e atteggiamenti.
Altri talvolta, ricordo un
collega di Lettere lo scorso anno, facendosi sopraffare dalla fatica personale e degli studenti,
riducono i contenuti ad un nucleo talmente esiguo che chiunque è in grado di farcela, senza sforzo,
ma anche senza il gusto della scoperta e della conquista autonoma.
collega di Lettere lo scorso anno, facendosi sopraffare dalla fatica personale e degli studenti,
riducono i contenuti ad un nucleo talmente esiguo che chiunque è in grado di farcela, senza sforzo,
ma anche senza il gusto della scoperta e della conquista autonoma.
Dopo aver condotto un’attività
laboratoriale sui numeri primi, partendo da alcune domande prese dal libro per la scuola di Emma
Castelnuovo (3), ho chiesto con
un questionario ai ragazzi quale aspetto del lavoro era risultato
loro più difficile e quale più stimolante. Nella maggior parte dei casi i ragazzi hanno reputato la parte
più difficile del lavoro la ricerca di regolarità all’interno dei naturali, che però risultava
anche quella parte che aveva colpito maggiormente la loro attenzione.
laboratoriale sui numeri primi, partendo da alcune domande prese dal libro per la scuola di Emma
Castelnuovo (3), ho chiesto con
un questionario ai ragazzi quale aspetto del lavoro era risultato
loro più difficile e quale più stimolante. Nella maggior parte dei casi i ragazzi hanno reputato la parte
più difficile del lavoro la ricerca di regolarità all’interno dei naturali, che però risultava
anche quella parte che aveva colpito maggiormente la loro attenzione.
Questo dato invita a riflettere
sul problema di un’eccessiva semplificazione dei contenuti proposti.
sul problema di un’eccessiva semplificazione dei contenuti proposti.
Un compito che comporta una certa
difficoltà, magari non insormontabile, può influire più positivamente sulla motivazione e
sull’attenzione dei ragazzi rispetto ad un compito troppo banale.
difficoltà, magari non insormontabile, può influire più positivamente sulla motivazione e
sull’attenzione dei ragazzi rispetto ad un compito troppo banale.
Ciò è stato poi riscontrato nel
racconto dell’esperienza in classe delle tre insegnanti della scuola “F. C. Marmocchi” di Poggibonsi,
durante le lezioni di Didattica della Matematica. Due sono i punti interessanti della loro proposta:
la preparazione di materiali, la discussione collettiva, la realizzazione di cartelloni, fa
sì che gli alunni si sentano maggiormente coinvolti e in maniera più attiva; tutto ciò permette di
dosare l’attenzione mentale. Inoltre, le attività di educazione matematica che mettono in gioco le capacità
manipolative e manuali degli alunni lasciano la mente libera da vincoli, permettono che il gancio
“mano-cervello” , fulcro dell’evoluzione umana, consenta loro di fare esperienza diretta e di
costruirsi gli apprendimenti. Come insegna Castelnuovo, in quel rimando continuo tra il concreto e
l’astratto, l’astratto e il concreto. E chiaramente facendo attenzione a non confondere l’oggetto materiale
con l’ente astratto, per non ricadere in uno dei due stereotipi circa l’insegnamento della matematica:
lo stile meccanico-mnemonico e quello materiale concreto (4).
racconto dell’esperienza in classe delle tre insegnanti della scuola “F. C. Marmocchi” di Poggibonsi,
durante le lezioni di Didattica della Matematica. Due sono i punti interessanti della loro proposta:
la preparazione di materiali, la discussione collettiva, la realizzazione di cartelloni, fa
sì che gli alunni si sentano maggiormente coinvolti e in maniera più attiva; tutto ciò permette di
dosare l’attenzione mentale. Inoltre, le attività di educazione matematica che mettono in gioco le capacità
manipolative e manuali degli alunni lasciano la mente libera da vincoli, permettono che il gancio
“mano-cervello” , fulcro dell’evoluzione umana, consenta loro di fare esperienza diretta e di
costruirsi gli apprendimenti. Come insegna Castelnuovo, in quel rimando continuo tra il concreto e
l’astratto, l’astratto e il concreto. E chiaramente facendo attenzione a non confondere l’oggetto materiale
con l’ente astratto, per non ricadere in uno dei due stereotipi circa l’insegnamento della matematica:
lo stile meccanico-mnemonico e quello materiale concreto (4).
La scuola secondaria di 1°grado,
in cui i bambini giungono già con un bagaglio trasmesso di conoscenze, dovrà quindi operare
per una costruzione personale e sociale di un apprendimento, sia in matematica che in scienze.
Troppo spesso, invece, vediamo arrivare in prima bambini a cui è stato trasmesso l’algoritmo per
il calcolo della moltiplicazione o della divisione ma ne hanno perso (o forse mai acquisito) il
concetto: basti consegnare 10 penne e chiedere di dividerle in 5 gruppi, e molti resteranno silenti.
in cui i bambini giungono già con un bagaglio trasmesso di conoscenze, dovrà quindi operare
per una costruzione personale e sociale di un apprendimento, sia in matematica che in scienze.
Troppo spesso, invece, vediamo arrivare in prima bambini a cui è stato trasmesso l’algoritmo per
il calcolo della moltiplicazione o della divisione ma ne hanno perso (o forse mai acquisito) il
concetto: basti consegnare 10 penne e chiedere di dividerle in 5 gruppi, e molti resteranno silenti.
Niente è più collegato, unito,
intersecato, della professione docente: tutte le sue dimensioni, la classe l’alunno i colleghi la
scuola le famiglie sé stesso, si rimandano continuamente tra loro, richiamandolo quindi a una
continua coerenza e testimonianza. La funzione educatrice si rappresenta anche come “funzione
di coerenza” , solo una coerenza logica, o meglio, di coerenza ideale dell’educatore stesso può
sperare di creare una forma educativa stabile e feconda.
intersecato, della professione docente: tutte le sue dimensioni, la classe l’alunno i colleghi la
scuola le famiglie sé stesso, si rimandano continuamente tra loro, richiamandolo quindi a una
continua coerenza e testimonianza. La funzione educatrice si rappresenta anche come “funzione
di coerenza” , solo una coerenza logica, o meglio, di coerenza ideale dell’educatore stesso può
sperare di creare una forma educativa stabile e feconda.
Invece, spesso si tende a
separare il piano educativo dal piano disciplinare, come se l’educazione integrale della persona non
passasse anche per la singola disciplina, come se quella disciplina (per esempio, le scienze) non fosse un
veicolo per interpretare la realtà, per conoscere sé stessi, ma solo un mezzo servile per diventare
buoni cittadini o un dovere scolastico da dimenticare appena possibile.
Si tratta di un
errore, e grave. A questo proposito, Giussani è illuminante:”La vera educazione deve essere un’educazione
alla critica. Fino a dieci anni (adesso forse anche prima), il bambino può ripetere ancora:
<<L’ha detto la signora maestra, l’ha detto la mamma>>. Perché?
separare il piano educativo dal piano disciplinare, come se l’educazione integrale della persona non
passasse anche per la singola disciplina, come se quella disciplina (per esempio, le scienze) non fosse un
veicolo per interpretare la realtà, per conoscere sé stessi, ma solo un mezzo servile per diventare
buoni cittadini o un dovere scolastico da dimenticare appena possibile.
Si tratta di un
errore, e grave. A questo proposito, Giussani è illuminante:”La vera educazione deve essere un’educazione
alla critica. Fino a dieci anni (adesso forse anche prima), il bambino può ripetere ancora:
<<L’ha detto la signora maestra, l’ha detto la mamma>>. Perché?
Perché, per natura, chi ama il
bambino mette nel suo sacco, sulle spalle, quello che di meglio ha vissuto nella vita, quello che di
meglio ha scelto nella vita. Ma, a un certo punto, la natura dà al bambino, a chi era bambino,
l’istinto di prendere il sacco e di metterselo davanti agli occhi (in greco si dice pro-bállo, da cui
deriva l’italiano problema). Deve dunque diventare problema quello che ci hanno detto! Se non diventa
problema, non diventerà mai maturo e lo si abbandonerà irrazionalmente o lo si terrà
irrazionalmente. Portando il sacco davanti agli occhi, ci si rovista dentro. Sempre in greco, questo
?rovistarci dentro’ si dice krinein, krísis, da cui deriva
critica. La critica, perciò, consiste nel
rendersi ragione delle cose, non ha un senso necessariamente negativo […]. Il problema è l’invito a capire
ciò che ho davanti, a scoprire un bene nuovo, una verità nuova, cioè ad averne una soddisfazione
più carica e più matura” (5).
bambino mette nel suo sacco, sulle spalle, quello che di meglio ha vissuto nella vita, quello che di
meglio ha scelto nella vita. Ma, a un certo punto, la natura dà al bambino, a chi era bambino,
l’istinto di prendere il sacco e di metterselo davanti agli occhi (in greco si dice pro-bállo, da cui
deriva l’italiano problema). Deve dunque diventare problema quello che ci hanno detto! Se non diventa
problema, non diventerà mai maturo e lo si abbandonerà irrazionalmente o lo si terrà
irrazionalmente. Portando il sacco davanti agli occhi, ci si rovista dentro. Sempre in greco, questo
?rovistarci dentro’ si dice krinein, krísis, da cui deriva
critica. La critica, perciò, consiste nel
rendersi ragione delle cose, non ha un senso necessariamente negativo […]. Il problema è l’invito a capire
ciò che ho davanti, a scoprire un bene nuovo, una verità nuova, cioè ad averne una soddisfazione
più carica e più matura” (5).
Si profila quindi il legame
profondo tra un’educazione alla critica e il porsi e porre problemi, discutere le proposte e con esse
confrontarsi. Allora una didattica delle scienze e della matematica, non può che configurarsi come una
didattica della scoperta e del problem solving, una didattica aperta, dell’esperienza, che
metta in conto anche il rischio. Si tratta chiaramente di una prospettiva didattica che richiede tempo,
energie, impegno, e non sempre vi si riesce. Ma deve però rimanere un obiettivo del docente, anche del
docente in formazione, pena l’arrivare in classe, pian piano dimenticarsi di tutto ciò e poi
leggere in un tema: “Ci fanno studiare un’infinità di cose e non ci aiutano affatto a comprendere il
senso di queste cose; a noi sembra allora che manchi il perché ce le fanno studiare” . Ho conosciuto
alcuni colleghi, abilitati SSIS, che dopo due, tre anni di insegnamento già si sono adeguati
al mainstream, al “tanto che gli vuoi fare” , “gli esercizi devono fare” , “io in laboratorio non li
porto” , e così via. La coesione e la collaborazione che sperimento tra i colleghi del TFA è un buon
presupposto per costruire una comunità viva e creativa.
profondo tra un’educazione alla critica e il porsi e porre problemi, discutere le proposte e con esse
confrontarsi. Allora una didattica delle scienze e della matematica, non può che configurarsi come una
didattica della scoperta e del problem solving, una didattica aperta, dell’esperienza, che
metta in conto anche il rischio. Si tratta chiaramente di una prospettiva didattica che richiede tempo,
energie, impegno, e non sempre vi si riesce. Ma deve però rimanere un obiettivo del docente, anche del
docente in formazione, pena l’arrivare in classe, pian piano dimenticarsi di tutto ciò e poi
leggere in un tema: “Ci fanno studiare un’infinità di cose e non ci aiutano affatto a comprendere il
senso di queste cose; a noi sembra allora che manchi il perché ce le fanno studiare” . Ho conosciuto
alcuni colleghi, abilitati SSIS, che dopo due, tre anni di insegnamento già si sono adeguati
al mainstream, al “tanto che gli vuoi fare” , “gli esercizi devono fare” , “io in laboratorio non li
porto” , e così via. La coesione e la collaborazione che sperimento tra i colleghi del TFA è un buon
presupposto per costruire una comunità viva e creativa.
Due sono stati gli aspetti
principali con cui ho cercato di sviluppare questi proponimenti. Come ho già registrato, in matematica ho
posto molta attenzione all’argomentazione. Numerosi sono i riscontri positivi, soprattutto
se si lavora con alunni della secondaria di 1°grado, che la percorrono nel momento del loro sviluppo
psicofisico, spesso senza esserne coscienti ma venendone a volte travolti. In questo quadro, si
inserisce la proposta della professoressa Moscucci, con la ricostruzione della relazione con la matematica
dell’alunno. Ricordo ancora con stupore e riconoscenza l’emozione e la partecipazione
con cui il collega Caruso raccontava dieci anni di riscontri positivi nell’utilizzo del percorso. La
visita all’Esposizione Matematica, nella scuola “F.C. Marmocchi” di Poggibonsi, ha rappresentato una
felice sorpresa e un sostegno importante: osservare e ascoltare gli alunni che spiegano il problema
dei ponti di Königsberg, con cui si confrontò Eulero, o parlano con padronanza dell’equivalenza tra
volumi di poliedri vari, è un ricordo vivo e stimolante. Gli alunni erano diventati padroni di
un’idea, un concetto matematico e la sapevano esprimere, comunicare.
principali con cui ho cercato di sviluppare questi proponimenti. Come ho già registrato, in matematica ho
posto molta attenzione all’argomentazione. Numerosi sono i riscontri positivi, soprattutto
se si lavora con alunni della secondaria di 1°grado, che la percorrono nel momento del loro sviluppo
psicofisico, spesso senza esserne coscienti ma venendone a volte travolti. In questo quadro, si
inserisce la proposta della professoressa Moscucci, con la ricostruzione della relazione con la matematica
dell’alunno. Ricordo ancora con stupore e riconoscenza l’emozione e la partecipazione
con cui il collega Caruso raccontava dieci anni di riscontri positivi nell’utilizzo del percorso. La
visita all’Esposizione Matematica, nella scuola “F.C. Marmocchi” di Poggibonsi, ha rappresentato una
felice sorpresa e un sostegno importante: osservare e ascoltare gli alunni che spiegano il problema
dei ponti di Königsberg, con cui si confrontò Eulero, o parlano con padronanza dell’equivalenza tra
volumi di poliedri vari, è un ricordo vivo e stimolante. Gli alunni erano diventati padroni di
un’idea, un concetto matematico e la sapevano esprimere, comunicare.
L’altro aspetto ha riguardato
l’esperienza nell’attività didattica. Concretamente esperienza è vivere ciò che mi fa crescere.
L’esperienza realizza quindi l’incremento della persona attraverso la valorizzazione di un rapporto
obiettivo. Quello che caratterizza l’esperienza quindi non è tanto il fare, lo stabilire un rapporto
con la realtà come fatto meccanico: è il capire una cosa, lo scoprirne
il senso. In scienze,
quindi, ho iniziato a impostare un’attività didattica sull’esperienza. Dopo
aver letto alcune ricerche sulla
metodologia IBSE, ho prodotto insieme alla tutor un’unità didattica sulla densità (All.3), poi sperimentata
in laboratorio. Numerosi sono stati gli spunti tratti dall’osservazione dei
comportamenti degli alunni, che sono già fonte di elaborazione di unità didattiche per il prossimo anno. Inquiry Based Science Education (IBSE) o Inquiry Based Learning (IBL) è l’approccio pedagogico
promosso dalla Commissione Europea (Rapporto Rocard 2007) (7) basato sull’investigazione, che
stimola la formulazione di domande e azioni per risolvere problemi e capire fenomeni. Con la
metodologia IBSE, l’esperienza diretta è al centro dell’apprendimento della scienza, perciò imparare la
scienza non significa soltanto intervenire su o utilizzare oggetti ma è anche ragionare, comunicare e
scrivere sia per sé che per gli altri. Il problema dell’acquisizione di una metodologia di ricerca appare
oggi particolarmente importante: per i ragazzi infatti spesso “fare ricerca” equivale in genere a
rinchiudersi in un laboratorio a combinare chissà cosa, o altrimenti cercare su internet o su una
enciclopedia materiali in modo acritico e senza alcun vaglio e copiarli senza nessuna elaborazione.
Nell’apprendimento/ insegnamento delle scienze esiste uno stretto rapporto tra i “contenuti” , che
costituiscono il corpus delle diverse discipline, ossia gli aspetti strutturali fondamentali
(concetti, metodo, linguaggio), e le “abilità” necessarie per acquisirli in modo sicuro. Un rapporto che si
stabilisce quando lo studente è accompagnato e guidato con sapienza, e con molta pazienza, a
diventare protagonista dell’apprendimento, ossia a porsi in modo personale alla scoperta di nuovi
aspetti della disciplina che sta studiando, e a sviluppare nuove abilità, sia di tipo cognitivo
sia di tipo pratico.
l’esperienza nell’attività didattica. Concretamente esperienza è vivere ciò che mi fa crescere.
L’esperienza realizza quindi l’incremento della persona attraverso la valorizzazione di un rapporto
obiettivo. Quello che caratterizza l’esperienza quindi non è tanto il fare, lo stabilire un rapporto
con la realtà come fatto meccanico: è il capire una cosa, lo scoprirne
il senso. In scienze,
quindi, ho iniziato a impostare un’attività didattica sull’esperienza. Dopo
aver letto alcune ricerche sulla
metodologia IBSE, ho prodotto insieme alla tutor un’unità didattica sulla densità (All.3), poi sperimentata
in laboratorio. Numerosi sono stati gli spunti tratti dall’osservazione dei
comportamenti degli alunni, che sono già fonte di elaborazione di unità didattiche per il prossimo anno. Inquiry Based Science Education (IBSE) o Inquiry Based Learning (IBL) è l’approccio pedagogico
promosso dalla Commissione Europea (Rapporto Rocard 2007) (7) basato sull’investigazione, che
stimola la formulazione di domande e azioni per risolvere problemi e capire fenomeni. Con la
metodologia IBSE, l’esperienza diretta è al centro dell’apprendimento della scienza, perciò imparare la
scienza non significa soltanto intervenire su o utilizzare oggetti ma è anche ragionare, comunicare e
scrivere sia per sé che per gli altri. Il problema dell’acquisizione di una metodologia di ricerca appare
oggi particolarmente importante: per i ragazzi infatti spesso “fare ricerca” equivale in genere a
rinchiudersi in un laboratorio a combinare chissà cosa, o altrimenti cercare su internet o su una
enciclopedia materiali in modo acritico e senza alcun vaglio e copiarli senza nessuna elaborazione.
Nell’apprendimento/ insegnamento delle scienze esiste uno stretto rapporto tra i “contenuti” , che
costituiscono il corpus delle diverse discipline, ossia gli aspetti strutturali fondamentali
(concetti, metodo, linguaggio), e le “abilità” necessarie per acquisirli in modo sicuro. Un rapporto che si
stabilisce quando lo studente è accompagnato e guidato con sapienza, e con molta pazienza, a
diventare protagonista dell’apprendimento, ossia a porsi in modo personale alla scoperta di nuovi
aspetti della disciplina che sta studiando, e a sviluppare nuove abilità, sia di tipo cognitivo
sia di tipo pratico.
E torniamo così alla riflessione
di partenza. Al viaggio e al cuore, al cammino comune di docente e alunno alla scoperta della
realtà. Così Giussani commentava una famosa frase di Jungmann: “Eine Einführung in
die Wirklichkeit,
introduzione alla realtà, ecco cosa è l’educazione. La parola realtà sta alla parola educazione come
la meta sta al cammino. La meta è tutto il significato dell’andare umano: essa è non solo nel momento
in cui l’impresa si compie e termina, ma anche in ogni passo della strada. Così la realtà determina
integralmente il movimento educativo passo passo e ne è il compimento.” (5)
di partenza. Al viaggio e al cuore, al cammino comune di docente e alunno alla scoperta della
realtà. Così Giussani commentava una famosa frase di Jungmann: “Eine Einführung in
die Wirklichkeit,
introduzione alla realtà, ecco cosa è l’educazione. La parola realtà sta alla parola educazione come
la meta sta al cammino. La meta è tutto il significato dell’andare umano: essa è non solo nel momento
in cui l’impresa si compie e termina, ma anche in ogni passo della strada. Così la realtà determina
integralmente il movimento educativo passo passo e ne è il compimento.” (5)
Qualcosa ho fatto, ma mi rendo
sempre più conto del lavoro importante da fare, io e i ragazzi insieme: “Ci sono più cose in
cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia” (Amleto, Shakespeare).
sempre più conto del lavoro importante da fare, io e i ragazzi insieme: “Ci sono più cose in
cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia” (Amleto, Shakespeare).
Bibliografia:
1. Tempi, 17 luglio 2013.
2. Rossi, 2005. “Intelligenze per
educare. Sull’identità professionale dell’insegnante” . Guerini
educare. Sull’identità professionale dell’insegnante” . Guerini
Associati.
3. Castelnuovo, 1998. “La
Matematica. Numeri. A” . La Nuova Italia.
Matematica. Numeri. A” . La Nuova Italia.
4. Costanzi & Cuneo, 2013.
“Dall’idea di matematica del docente alla didattica…” . L’insegnamento
“Dall’idea di matematica del docente alla didattica…” . L’insegnamento
della matematica
e delle scienze integrate, 36A: 38-51.
e delle scienze integrate, 36A: 38-51.
5. Giussani, 2005. “Il rischio
educativo” . Rizzoli.
educativo” . Rizzoli.
6. Moscucci, 2008. “Un percorso
per la ricostruzione della relazione con la matematica” .
per la ricostruzione della relazione con la matematica” .
L’insegnamento
della matematica e delle scienze integrate, 31.
della matematica e delle scienze integrate, 31.
7. Rocard et al., 2005. “Science Now: a renewed pedagogy for the future
of Europe” . Commissione
of Europe” . Commissione
Europea.