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27 Gennaio 2019L’azione vicino a Piazza Tienanmen
E sui diritti umani Washington accusa la Cina
Martedì erano sessant’anni che la Repubblica popolare cinese aveva invaso militarmente il Tibet; che, ora, ne è una regione autonoma. Sono giorni «sensibili», per la Rpc, sia per la ricorrenza tibetana; sia per la questione dei diritti umani, acuitasi dopo che il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, in visita ufficiale, ha evitato accuratamente di parlarne con i dirigenti cinesi. Contribuisce, inoltre, ad alimentare l’ipotesi di tensioni, l«incidente» di ieri, non lontano da piazza Tienanmen, dove tre persone sono rimaste coinvolte nell’incendio della loro auto. I tre – secondo la polizia – erano venuti a Pechino per presentare una «petizione» all’Assemblea del popolo. Che il diritto dei tibetani alla propria indipendenza e quelli umani della stessa popolazione cinese siano, o no, in questi giorni, all’ordine del giorno delle autorità di sicurezza – indipendentemente dalla reale natura dell«incidente» della Tienanmen – è un fatto che essi sono «il» problema irrisolto nei rapporti fra la Repubblica popolare e le democrazie liberali occidentali. Come la Clinton, per chiunque vada a Pechino, pare non sia mai venuto il momento di parlare dei diritti sistematicamente violati dal regime comunista. Prevalgono le «ragioni degli Stati».
E vero che, nel suo rapporto annuale sulla situazione dei diritti umani nel mondo, Washington afferma che «la loro promozione è un passaggio essenziale della nostra politica estera». Ma quali sono le «ragioni degli Stati» che impediscono agli uomini (di Stato) di conciliarli con le «ragioni della coscienza»? Secondo Giovanni Botero – che nel 1589 licenziava il suo trattato Della Ragion di Stato – è semplicemente l’arte del governo, la conoscenza dei mezzi necessari alla conservazione, alla fondazione e all’estensione, del dominio statuale, ispirata alla prudenza come «virtù pratica». Botero ubbidiva agli imperativi della Controriforma, che aveva messo al bando le opere di Nicolò Machiavelli, il quale aveva piegato letica alla politica, sostenendo che lo Stato aveva sue proprie «ragioni» che non si conciliavano con la morale e la religione. Scriveva già allora Botero: «I Greci e i Romani, per cavar qualche utilità da nemici presi in guerra, li facevano schiavi e glimpiegavano a lavorar la terra o ad altro esercizio; ma i Chinesi non gli ammazzano, né mettono loro taglia, non glincatenano, non li destinano a far altro finalmente, che a servir nella guerra nelle frontiere più lontane dalla patria loro, e in abito cinese». E’ la stessa spiegazione strategica che dà oggi Pechino del suo dominio sul Tibet. Ragioni di sicurezza. E, ancora: «La prudenza è una virtù il cui ufficio è cercare di ritrovare i mezzi convenienti per conseguire il fine, e l’astuzia tende al medesimo fine, ma differisce dalla prudenza in questo, che nell’elezione de mezzi quella segue lonesto più che l’utile, questa non tiene conto se non dell’interesse». E’ la stessa ragione che suggerisce alle democrazie liberali di non trovare mai il momento di parlare dei diritti umani. Il mondo, da allora, è cambiato. Ma non sono certamente cambiati gli uomini.
Piero Ostellino
CORRIERE DELLA SERA
26 febbraio 2009