In principio era Dylan
27 Gennaio 2019Alda Merini
27 Gennaio 2019di Carlo Emilio Gadda
Massimiliano Pozzi 4^C
CARLO EMILIO GADDA 1893 -1973
– VITA
L’ingegnere elettrotecnico Carlo Emilio Gadda dedica alla letteratura la sua vita così dolorosamente solitaria e distaccata dal mondo cosiddetto «normale».
Nasce a Milano, in via Manzoni 5, il 14 novembre 1893,( il 14 è il numero fortunato di Gadda, un numero-destino: tra l’altro, il 14 di marzo è il giorno del furto Menegazzi da cui si dipana la vicenda del Pasticciaccio)da una famiglia della media borghesia lombarda, caduta in gravi difficoltà a causa dei disastrosi investimenti economici del padre («industriale idealista» che si rovina «in parte con gli esperimenti di coltivazione del baco da seta», e in parte facendo costruire una villa a Longone, in Brianza). Così Carlo Emilio Gadda trascorre «un’infanzia tormentata e un’adolescenza anche più dolorosa». Dopo la morte del padre (1909), la madre provvede al mantenimento della famiglia a prezzo di gravi sacrifici, pur senza disfarsi della villa di Longone. Per volontà materna è costretto a rinunciare agli studi letterari, e ad iscriversi alla più proficua Facoltà di ingegneria del Politecnico di Milano.
Con la vana speranza di dare ordine, senso e forza, alla sua vita «orribilmente tormentata» si arruola volontario nella grande guerra, durante la quale scrive una serie di diari, editi nel 1950, e in forma più completa nel 1965, con il titolo Giornale di guerra e di prigionia.
Io ho presentito la guerra come una dolorosa necessità, se pure lo confesso, non la ritenevo così ardua. E in guerra ho passato alcune ore delle migliori di mia vita, di quelle che mhanno dato oblìo e compiuta immedesimazione del mio essere con la mia idea: questo anche se trema la terra, si chiama felicità”; raro sentir parlare Gadda di felicità.
Al rientro a casa nel 1919, la notizia della morte del fratello aviatore, precipitato con il suo apparecchio durante un combattimento, lo getta in un stato di profonda depressione, da cui si riprende assai lentamente. Laureatosi in ingegneria elettrotecnica, lavora come ingegnere prima in Sardegna e in Lombardia, e poi tra il 1922 e il 1924 in Argentina.
Ingegner fantasia ,con folgorante ossimoro, si autodefinì il Gadda ibrido di questi anni, diviso tra passione letteraria e professione, a cui lo legavano non solo necessità economiche, ma anche il gusto del concreto, del contatto con la marmaglia””: vivendo fuori del campo letterario, in un campo di azioni noiose e diligenti,posso portare qualche cosa della mentalità zotica del mestiere nelle regioni degli specialisti e dei raffinati: ne verrà un pasticcio curioso.
Ritornato a Milano, si iscrive alla Facoltà di filosofia (ma non discuterà mai la tesi), e si mantiene insegnando matematica e fisica al liceo Parini.
Nel 1925 riprende l’attività di ingegnere; e nel 1926 inizia a collaborare alla rivista fiorentina «Sol’aria», pubblicandovi saggi e racconti.
Gadda visse a Roma negli anni 1926-27, l’epoca del Pasticciaccio,perfetto romanzo-mappa della città e dei dintorni albani, nei qual si colgono gli echi dei curiosi e vigili itinerari dello scrittore.
Tra il 1928 e il 1929, durante un lungo riposo dovuto a motivi di salute, elabora vari testi rimasti incompiuti. Nel 1931appare il suo primo libro La Madonna dei filosofi. Nel 1931 intraprende a scrivere Un fulmine sul 220, una novella, divenuta racconto lungo, poi romanzo in cinque capitoli, e infine abbandonato quando, dalle carte accumulate inizierà a profilarsi il contorno robusto dei Disegni milanesi dell’Adalgisa. Il romanzo incompiuto verrà successivamente ricostruito per l’editore Garzanti da Dante Isella (2000) sulle carte e i quaderni autografi di Gadda.
Fallito il tentativo di vivere solamente con il suo lavoro letterario, torna all’ingegneria, ma continuando ad intensificare il suo impegno in campo letterario. Nel 1934 esce il suo secondo volume Il Castello di Udine, che vince il premio Bagutta.
Nel 1936, in seguito alla morte della madre, vende la villa di Longone ed inizia a scrivere il romanzo La cognizione del dolore, l’altro suo capolavoro-sofferto travestimento del rapporto con la madre- iniziato dopo la morte di lei,che verrà pubblicato incompleto su «Letteratura» tra il 1938 e il 1941, mentre in volume uscirà nel 1963 (ottenendo il Prix International de Littérature), e poi nel 1970 con l’aggiunta di due capitoli inediti.
Abbandonata definitivamente la professione di ingegnere, dal 1940 al 1950 vive a Firenze, dove si lega a scrittori e critici, come Bonsanti, Montale, Bo, Landolfi e molti altri. Negli anni della guerra escono Le meraviglie d’Italia (1939), Gli anni (1943), e la raccolta L’Adalgisa (1944). Nel ’50 l’incarico di redattore dei programmi culturali della Rai viene a migliorare la sua disperata situazione economica. Nel 1953 ottiene il premio Viareggio con Le novelle del Ducato in fiamme; inoltre, sempre nello stesso anno, l’editore Livio Garzanti lo persuade a portare a termine Quer pasticciaccio brutto de via Merulana (pubblicato parzialmente su «Letteratura» dal 1946 al ’47), che uscirà nel 1957 ottenendo un vasto consenso di pubblico.
Il lavoro di completamento, riscrittura e rifinitura del romanzo fu estenuante: ma, gradevolmente fu anche occasione di escursioni (sovente motociclistiche, lui così timoroso ed ormai anziano) ai Castelli e per la campagna romana lungo la via Appia; Gadda intendeva cogliere particolari e toponimi, ritrovare e ricreare cieli e paesaggi: da questa scrupolosa rilevazione germineranno gli scenari delle scorribande albane del brigadiere Pestalozzi sulla Motoguzzi”(cap 59), o del suo sudato procedere sulla bicicletta miracolo” verso il casello di Casal Bruciato (cap 9), o, ancora quelli del viaggio di Ingravallo sulla nera 1200, una bara”. Da Roma a Marino e, infine, a Tor di Gheppio, dove termina il romanzo.
Negli anni successivi cresce notevolmente la sua fama. Diviene modello per gli scrittori della Neoavanguardia; e vengono pubblicate molte sue opere rare o inedite: la raccolta di saggi I viaggi e la morte (1958), Verso la certosa (1961), la raccolta di novelle Accoppiamenti giudiziosi (1963), Eros e Priapo (1967), La meccanica (1970), Novella seconda (1971). Ciò nonostante non muta il suo distaccato e traumatico rapporto con il mondo: Gadda continua a vivere nel suo doloroso e tormentato isolamento accudito da una fida governante-segretaria Giuseppina lassistente ,come lui la chiamava:”E bravissima,mi ha salvato la vita in più occasioni.Io sono vivo grazie a lei e lei vive per me. Vuol dire che creperemo insieme” E a lei , alla morte, che lo coglie a Roma il 21 maggio 1973, lascerà i suoi beni.
Nel corso dei funerali che si svolsero nelle vicinanze della chiesa di San Luigi dei Francesi, qualcuno fece accendere la lampada che nella Cappella Contarelli illumina gli stupendi dipinti di Caravaggio, una delle mete preferite delle solitarie passeggiate del commendator Angeloni, doppio dello scrittore per celibato e solitudine,quella solitudine che di per sé sola viene considerata un indizio,il marchio della colpa kafkiana:”la sua facciauna muta disperata protesta controla crudeltà d’ogni inquisizione organizzata;”Con tutti sono in colpasono sempre sotto processo:proprio come nel processo di Kafka”.
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RIASSUNTO
Lintreccio del giallo” ruota attorno a due delitti avvenuti a distanza di pochi giorni (14 e 17 marzo 1927)nello stesso stabile romano di via Merulana 219 (er palazo dell’oro”, o”de li pescicani”, nella fantasia popolare). L’aggressione allaristocratica veneta Menegazzi da parte di un robusto giovane che le ruba una quantità di gioielli, e l’omicidio della ancor più ricca Liliana Calducci.
Delle indagini è incaricato il commissario di origine molisana Francesco Ingravallo ( tutti ormai lo chiamavano Don Ciccio), che dei coniugi Balducci era conoscente: meno di un mese prima aveva pranzato a casa loro,trovando modo di ammirare calorosamente la bellezza malinconica di Liliana, donna tormentata dall’assenza di prole.
Ingravallo è un poliziotto sui generis : un po filosofo , un po psicologo; si ostina ad applicare alle sue indagini letture scarsamente apprezzate dai superiori( questioni un po da manicomio: una terminologia da medici dei matti)”. La contemplazione del cadavere di Liliana, prostrata a terra i n una posizione infame” , supina con la gonna rovesciata fino al petto, dà adito a considerazioni amare e cerebrali sui misteri del sesso e della morte. I primi sospettati sono il maturo e obeso Commendator Angeloni, funzionario der Ministero dellEconomia Nazionale”, il quale è noto alla polizia per i suoi sospetti rapporti con certi garzoni di macelleria (tra i quali potrebbe esservi l’autore del furto Menegazzi), e soprattutto il giovane e fatuo rappresentante di commercio, Giuliano Valdarena, cugino di Liliana e primo scopritore del suo cadavere , nel cui appartamento si rinvengono banconote e gioielli appartenuti alla defunta ( di ritorno da un viaggio di lavoro, il rozzo marito di Liliana, Remo Balducci, scopre che l’assassinio è stato accompagnato dal furto).
Valdarena sostiene che la cugina gli aveva fatto questi regali in vista delle sue nozze ( e in cambio della promessa di farle adottare il primo bambino che fosse nato dall’unione).
Il gigantesco sacerdote Lorenzo Corpi ( dieci chili de ossi de di tacci”) rivela l’esistenza di un testamento olografo di Liliana, con il quale il cospicuo patrimonio viene suddiviso in numerose donazioni, per lo più alle giovani figliocce” che di volta in volta si sono alternate in casa Calducci: splendide ragazze del popolo romano delle quali Liliana amava morbosamente circondarsi (e la cui torbida quasi ferina sensualità Don Corpi descrive con insistenza).
Ingravallo ricorda bene la conturbante domestica che aveva conosciuto durante il pranzo a casa Calducci,Assunta Crocchiapani,la quale era stata preceduta dalla ancor più eccitante fisicità di tale Virginia Troddu (un fascio,un imperio tutto latino e sbellico”). Dalle testimonianze di Don Corpi e del marito, abilmente ottenute dalla dolce suasività del dottor Fumi, emergono ambigui rapporti tra Liliana e le sue protette.
Nel frattempo l’autore della rapina Menegazzi viene identificato in tale Enea Metalli .Le indagini si spostano ormai,coordinate oltre che da Ingravallo , dallistrionico e che incalzante funzionario napoletano Fumi, nell’ambiente delle figliocce”, tutte provenienti dal circondario della città,nella fascia in cui le ultime borgate sfumano nel contado.Al momento del delitto lAssunte si era allontanata da casa Balducci per assistere il padre moribondo nella sua casa a Tor di Gheppio.
Il 22 marzo viene fermata per prostituzione l’ultima delle figliocce”, Ines Cionini, che viene interrogata a lungo e alla fine svela agli investigatori l’attività ambigua del laboratorio-antro-bettola delli Du Santis”, gestito dalla fattucchiera Zamira Pàcori, nel quale le allieve”rimagliatrici” adescano i passanti, fra i quali , ricorda con rabbia Ines, il suo ex fidanzato Diomede Lanciani, che in passato ha lavorato come elettricista presso la Menegazzi.
Pure nell’orbita della Zamira, una ragazza dagli occhi neri come due stelle dell’inferno: lAssunta Crocchiapani. Infine si capisce che il fratello di Diomede, Ascanio, che lavora in un banchetto di porchetta in piazza Vittorio, ha fatto da palo durante il furto Menegazzi.
La mattina dopo lambizioso e zelante brigadiere piemontese Pestalozzi si dirige verso il laboratorio di Zamira su un side-car; gli ritorna in mente”linterminabile sogno della notte” precedente, dominato da un topazio” che si trasforma in un topo”, e della contessa Menegazzi che diviene una Circia ebriaca”.”Alli du Santi”( località della periferia dominata da un tabernacolo con l’affresco di Pietro e Paolo, opera del pittore Manieroni) Pestalozzi interroga Zamira, e scopre alla mano di una delle sue lavoranti, Lavinia Mattonari, un anello con il topazio della Menegazzi. Lavinia chiama in causa sua cugina Camilla:in un comodino della camera da letto di quest’ultima viene rinvenuto un pitale in cui è nascosta la refurtiva della rapina Menegazzi (affidata a Camilla da Enea Metalli).
Lo stesso 23 marzo Ingravallo si reca a tor di Gheppio per interrogare lAssunta assisa al capezzale del padre morente in compagnia di una vecchia, la Veronica, che pare impietrata nella rimemorazione degli evi”. Ingravallo stringe d’assedio lAssunta, vuole il nome dell’assassino di Liliana, e alla ragazza sfugge un lapsus forse rivelatore: No, sor dottò,no,no,nun so stata io!”, grida disperata; il grido incredibile bloccò il furore dellossesso, reso furente dall’ingratitudine di Assunta che non ha neanche partecipato ai funerali di Liliana che tanto l’aveva beneficata (Nun far del bene, si nun è che vuoi av’è mmale”).
Egli non intese, là pe llaà, ciò che la sua anima era in procinto dintendere. Quella piega nera verticale tra i due sopraccigli dell’ira, nel volto bianchissimo della ragazza lo paralizzò, lo indusse a riflettere: a ripentirsi quasi”.
Ingravallo avverte dentro il male commesso da altri, l’universale dolore di tutti i cuori.
La narrazione si ferma con unapocope:la ricerca pare non giungere a conclusione.
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PERSONAGGI
Nel Pasticciaccio i personaggi sono proliferanti. In Gadda vale sovente l’antica formula latina omen nomen, cioè il nome è un presagio,che vuole indicare una quasi magica corrispondenza fra nome ed essere; i nomi scelti dallo scrittore svolgono una funzione di spia nei confronti del personaggio,sono così, insieme denotativi e connotativi.
Qualche esempio:
Francesco Ingravallo o, come tutti lo chiamavano, don Ciccio: uno dei più giovani e invidiati funzionari della sezione investigativa. Di statura media, piuttosto rotondo della persona, o forse un po tozzo, di capelli neri e folti e crespati che gli venivan fuori dalla metà della fronte quasi a riparargli i due bernoccoli metafisici dal bel sol d’Italia, aveva unaria un po assonnata, unandatura greve e dinoccolatavestito come il magro onorario gli permetteva di vestirsi, e con una o due macchioline dolio sul bavero.”
Fumi, il commissario capo, dalla suadente loquela partenopea, ma dalla memoria alquanto fumosa.
Don Corpi, il gagliardo consigliere spirituale di Liliana, dalle decise sembianze virili.
Pettacchioni, la pettoruta sora Manuela,ma anche , spregiativamente , petecchia.
Zamira, lex mondana dal nome arabeggiante, una sorta di anagramma di Ain Zara, l’oasi libica dove la”povera e cara” ha toccato l’apice della sua carriera.
Grande capacità dello scrittore sta nellabbinare personaggi ad animali: il bestiario gaddiano risponde ad una vena giocosa ma vuole anche sottolineare la parte irrazionale, fisica,biologica della personalità umana. Così Ingravallo viene via via paragonato a un cinghiale ferito”, a un bull-dog”, a un boxer”, a un mastino”; la Menegazzi a una cocorita”; il tedesco di Anzio a una foca”; Ines a una coturnice”, Virginia a una pantera”; do Corpi a una giraffa”; le cugine Mattonari sono le due quaglie” .
I personaggi nel Pasticciaccio non sempre posseggono un’identità definita; spesso si riducono a puri nomi o si rivelano impalpabili come ombre. Virginia ed Assunta sembrano essere un’unica figura sdoppiata. Anche Diomede Lanciani ed Enea Metalli sembrano inconsistenti, non compaiono mai in scena direttamente.
Ingravallo è il solo personaggio in qualche misura consapevole del romanzo, una sorte di alter ego
dello scrittore che gli attribuisce la sua filosofia; filosofia che lo ha portato ad elaborare una visione dell’esistenza tutta particolare:
«Sosteneva, fra l’altro, che le inopinate catastrofi non sono mai la conseguenza o l’effetto che dir si voglia dun unico motivo, duna causa al singolare: ma sono come un vortice, un punto di depressione ciclonica nella coscienza del mondo, verso cui hanno cospirato tutta una molteplicità di causali convergenti. Diceva anche nodo o groviglio, o garbuglio, o gnommero, che alla romana vuol dire gomitolo. Ma il termine giuridico «le causali, la causale» gli sfuggiva preferentemente di bocca: quasi contro sua voglia».
Il tratto fisico più rilevato del personaggio è il parruccone nero, dotato come di una misteriosa sensibilità che diviene più tenebroso” di fronte a O turpe mistero ‘e sto munno”.
A fine itinerario un Ingravallo sempre più nero”, con l’occhio fermo e crudele, perviene alla medesima conclusione a cui era già arrivata Zamira:”non far del bene se non vuoi aver male”. L’eroe, alla meta, viene accomunato all’attore più degradato della vicenda.
Anche Liliana, come Angeloni, si caratterizza per la malinconia e la sterilità : anche lei una vittima designata. Liliana compare così come Assunta, all’inizio e alla fine del Pasticciaccio:all’inizio, angelo, alla fine, ombra.
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LUOGHI E TEMPI DELLA NARRAZIONE
Nel testo si ha una partizione tra un dentro Roma e un fuori Roma, tra lUrbe e il mondo albano, due spezzoni che hanno il loro punto dincontro e dincrocio nell’ampio e diffuso interrogatorio di Ines Cionini, situato al centro del romanzo. I due mondi minuziosamente descritti sono collegati dalla via Appia, sulla quale si trova il pittoresco aggruppamento di case dei Due Santi segnalato dal tabernacolo del Manierosi.
In questi due mondi, gli scenari rappresentano una perfetta fusione di tratti spaziali e temporali in cui le storie possono aver luogo”.
Il tempo della storia nel Pasticciaccio è assai breve : a parte l’antefatto, il pranzo in casa Balducci del 20 febbraio 1927, tutto avviene nell’arco di dieci giorni, tra il 14 marzo (furto Menegazzi ) e il 23 marzo (con la triplice conclusione:ritrovamento dei gioielli,arresto di Ascanio, lenigma di Assunta.).
In particolare , l’interrogatorio di Ines in Questura occuperebbe non più di un’ora e mezza, un’ora tra le 8 e le9 e, poi, una mezzora tra le 10,30 e le 11, dopo la pausa della cena.
Tempo del discorso e tempo della storia non sono omologhi; a mano a mano che l’azione accelera verso il finale, la narrazione diventa più analitica. Ben tre capitoli sono dedicati all’ultimo giorno, il 23 marzo. Altro esempio di palese discrepanza tra i due tempi è quello dell’interrogatorio di Ines; in questo caso però il dilatarsi del tempo del discorso non corrisponde soltanto ad una maggior analiticità, ma anche alla devianza sempre incalzante verso altri spazi e altri tempi.
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CONTESTO STORICO DEL ROMANZO
Siamo nel marzo 1927; ormai Mussolini è dittatore a pieno titolo, dopo aver definitivamente superato la crisi susseguente al delitto Matteotti ed aver concentrato in sé tutti i poteri .
La trama del Pasticciaccio può essere certo raccontata senza particolari riferimenti al contesto storico, ma così facendo vanno perdute essenziali stratificazioni di senso. Intento di Gadda è di far emergere una più radicale omologia tra regime e delitto: l’assassinio Balducci, in cui si fiuta la furia della belva infinita”, non è che il doppio di quel più grande misfatto che è stato il fascismo.
Sarcasmo, omologia, terreno di coltura sono, in sintesi, le dimensioni in cui si intersecano fascismo e trama narrativa, producendo un sostanziale arricchimento di senso che si apre sui temi del male e del rapporto tra questo e società umana.
Il clima storico è molto importante per cogliere il tono dell’opera: attraverso uno schema narrativo fluido e ricchissimo, dove anche gli elementi minimi, apparentemente casuali e trascurabili diventano il nodo di un sistema infinito di relazioni, un pretesto per divagare tra le innumerevoli possibilità offerte dal mondo della conoscenza. Il bersaglio contro cui Gadda si scaglia con la sua felicissima verve linguistica è la società rigida, ipocrita e crudelmente ottusa della borghesia fascista, con tutti i suoi miti fasulli: lefficientismo degli apparati burocratici, la fertilità come unica prerogativa femminile, la virilità ostentata e arrogante, una famiglia che dietro all’apparente solidità nasconde violenza e sopraffazione. Anche la scelta del personaggio femminile principale è in linea con quanto appena detto: Liliana Balducci è una donna che non può avere figli e che a causa di questo handicap (in quanto lo stato fascista favoriva ed esaltava la fecondità) appare psicologicamente instabile tanto da dover sempre accogliere in casa giovani ragazze o giovani parenti per ovviare alla mancanza di una prole propria. Un ulteriore motivo antitetico con l’opera moralizzatrice del nuovo governo è la scelta di sviluppare gli effetti di un delitto: appare chiaro come i giornali nazionali (pilotati dal regime) non potessero dare grande attenzione e importanza ai fatti di cronaca nera che avrebbero intaccato l’Italia nella sua immagine idillica ed eticamente perfetta quale il fascismo stava cercando di costruire.
L’intento di Gadda è quello di ricostruire la società del periodo fascista dal punto di vista del popolo semplice che sembra ancora “incontaminato” dalla falsa immagine che il nuovo stato vuole dare all’Italia. I personaggi che appaiono non occupano gradi elevati della società altrimenti, se così fosse, si contribuirebbe ancor più alla causa fascista. Infatti in quelle rare volte che compaiono accenni ad alti funzionari di polizia si può osservare come questi uomini vivano in un mondo “alter” rispetto a quello in cui si svolge la storia, un mondo distaccato dagli eventi concreti, un mondo posticcio in cui tutto sembra andare per il meglio e dove ogni fattaccio appare come insignificante e facilmente riconducibile alla normalità (i giornali infatti avevano dato poca importanza al delitto di Via Merulana).
Il Pasticciaccio comporta a volte difficoltà di lettura e di interpretazione legate alla complessità stilistica e lessicale della scrittura gaddiana.
Accanto a tale complessità il testo presenta difficoltà connesse alla strutturazione della trama e allo sviluppo della narrazione e incrementate da taluni effetti di spaesamento ricercati dallo scrittore.
Una serie di effetti in tal senso è ottenuto con le omonimie e le distorsioni dei nomi propri, la moltiplicazione degli appellativi.
In Gadda il mondo è barocco , il barocco alberga nelle cose.
Omonimie:
– quella tra Ines Cionini, la povera e bella prostituta albana che svolge un ruolo essenziale nel dipanamento della trama, ed Ines,la terza pupilla della signora Calducci, di cui parla don Corpi.
-quella tra due Enea: Enea Cucco, vedova Bolenfi, ed Enea Retalli ( una donna e un uomo).
Distorsioni:
-Quasi tutti i nomi propri subiscono distorsioni:
# Ingravallo-Ingarballo-Incravalli
# Menegazzi-Menecacci- Menicacci-Martinazzi-Mantegazzi-Menegatti
# Pestalozzi-Pestalossi
Pochissimi personaggi sfuggono a questo destino; solo su Liliana Balducci gioco e ironia sarebbero fuori luogo.
Il doppio:
Altra funzione ad effetto di spaesamento è quella del doppio: sono due le scale di via Merulana 219, due i fattacci e gli appartamenti interessati, due le indagini, due le storie, due gli elenchi dei gioielli, due i Lanciani, due le Mattonari, due i santi dell’affresco del Manieroni
Oscurità, errori, effetti di spaesamento, contribuiscono a creare il garbuglio, a dilatare il pasticciaccio.
LESSICO o LESSICI
La pluralità dei lessici a cui lo scrittore attinge è catalogabile secondo una serie di vettori: verticale [il registro], orizzontale [dialetti e lingue], storico [accezioni obsolete, latinismi,grecismi], settoriale [ i linguaggi tecnici e specifici].
La gradazione verticale va da un livello aulico , di parole rare (rorida, redimita,colmino), ad un livello triviale/plebeo.
La gamma orizzontale si estende dalle espressioni straniere alle voci gergali. Il romanesco è il veicolo espressivo di tanti personaggi ed intride di sé l’intera tesatura del romanzo.
Accanto al romanesco compaiono il veneziano, della contessa Menegazzi,il napoletano del dottor Fumi, il miscuglio molisano-romanesco di Ingravallo, frequenti toscanismi, taluni lombardismi ed anche un piemontesismo.
Gadda presta poi particolare attenzione alla freccia storica del linguaggio; di qui il ricorso a voci ormai cadute.
Al versante storico-filosofico troviamo i calchi sul latino e sul greco.[ elicitare, laniare, scipione, clepsidra..]
Infine, lo scrittore considera fondamentale l’apporto espressivo dei linguaggi tecnici. Tecnico assume per Gadda una valenza amplissima: è tale qualsiasi campo dell’attività umana che produca un proprio lessico specifico.
Parlare della lingua di Gadda sarebbe, insomma, come parlare di un giallo rivelando subito l’assassino ai lettori. Tutto passa dalla lingua, ed è giusto che ogni lettore la conquisti e la ami personalmente. Nessuna interpretazione può sovrapporsi alla bella fatica della lettura.
La lingua perde ogni linearità classicistica per diventare uno straordinario strumento di analisi, di mimesi dall’interno”: lo scrittore si tuffa nella realtà senza frapporre alcuno schermo protettivo, ne assorbe ogni voce, ogni inflessione, ogni dissonanza, e ciò che ne nasce è un formidabile impasto linguistico che si riversa su fatti, cose e personaggi con camaleontica duttilità.
Il testo abbonda di minuziose e particolareggiate descrizioni di ambienti, strade, luoghi, fisionomie di personaggi.
Spesso gli intermezzi filosofici che collegano gli sviluppi delle indagini della polizia sono difficilmente comprensibili anche a causa di un elaborato gioco di preposizioni, punteggiatura e miscugli di termini dialettali. Infatti in molti passi si tende all’eliminazione dei punti fermi per preferire una narrazione fluente grazie anche all’abbondanza di frasi subordinate spesso collegate non da regolari congiunzioni, ma dall’uso di una punteggiatura ricercatissima che pullula di virgole e due punti. La difficoltà interpretativa iniziale è data anche dalle numerose metafore per indicare lo stato fascista ed in particolar modo il Duce, definito come: Quello de Palazzo Chiggi nun j’era parso vero de dì la sua puro lui più forte de tutti”, Pupazzo a Palazzo Chiggi..” intento a strillà dar balcone come uno stracciarolo”oppure Testa di Morto in pernacchi” e ancora Ladro di pentole e di casseruole a tutte le genti . Spesso Gadda introduce, anche di punto in bianco, citazioni dai più svariati autori (da Tolstoj a Pascoli) difficili da comprendere all’interno del contesto.
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PUNTO DI VISTA
Nel Pasticciaccio non è possibile rintracciare un vettore narrativo dominante. Sono pochi i passi in cui viene a galla un narrante di cornice; questa voce narrante sembra poi subito rientrare, aggredita dalla vociferazione babelica della rappresentazione.
Non vi è una sola voce che parla: ogni personaggio è una logica, una lingua, una visione in conflitto con le altre.
Nei primi capitoli predomina il discorso libero indiretto; negli ultimi quattro capitoli troviamo un addenso di metafore e digressioni, nel tentativo di comprendere l’esistenza che, più elementi si considerano, più diventa intricata e complessa.
– Il problema del genere e del finale
Giallo, tragedia, commedia, commedia – nera; sono molte le determinazioni che si possono attribuire al Pasticciaccio. Letichetta di giallo è accreditata dallo stesso Gadda; certo non un giallo tradizionale, con piste accennate e non portate a termine, possibili complici o colpevoli lasciati sfuggire, un’arma del delitto fantasma e con uninadempienza fondamentale, quella relativa al colpevole.
Gadda ha operato apposta questa troncatura” perché lui considera il romanzo finito, letteralmente concluso”. Il poliziotto capisce chi è l’assassino e questo basta”. Un non finito voluto; Gadda si sarebbe contraddetto fornendo un’indicazione univoca: il romanzo non conclude perché la vita non conclude.
L”apocope drammatica” che chiude il giallo può sembrare un istinto di legittima difesa, dinanzi a qualcosa che non si vuol conoscere fino in fondo, qualcosa che si vuole rimuovere.
Gadda vuole fare col Pasticciaccio un’attenta analisi della realtà umana e non.. Egli pone su due strade parallele l’affabul’azione e la ricerca della verità: da una parte l’indagine per scovare il colpevole dei misfatti accaduti nella via Merulana, dall’altra, l’uomo che cerca di capire cosa sia davvero il mondo in cui vive, con tutte le incertezze e le complicazioni che nascono man mano che va avanti con questa duplice ricerca, la quale muove sia all’infuori dell’individuo che al suo interno senza però avere fine. Da ciò deriva l’esigenza di non porre termine al libro (rendendolo così ancora meno “giallo”), ma lasciarlo in sospeso su un’illuminazione improvvisa del protagonista: Ingravallo avrà per caso scoperto l’artefice dei reati? L’uomo scoprirà la chiara e unica verità circa se stesso e la realtà che lo circonda? Non lo sappiamo e, di certo, l’autore non illude nessuno (compreso se stesso) di saperlo, quindi non si assume la responsabilità di trarre delle conclusioni al riguardo. Certo, vista nell’ottica di un romanzo questa decisione è discutibile, però da un punto di vista più profondo ciò è completamente accettabile, anzi rende l’opera ancora più completa.
Nel Pasticciaccio gli uomini appaiono così, come sono, costruzioni complicate, perverse, fallaci, la cui ragione è debilitata per un motivo semplicissimo: gli uomini sono imperfetti.
Perché il mondo è imperfetto? Perché non vi è una sola causa che genera il vivere (e l’omicidio) ma uno “gnommero” di cause concatenate. Ma, del resto, se le cose della vita non fossero imperfette, allora non sarebbe vita e noi non saremmo uomini.
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