Alto Medioevo, origine del termine superstizione e del Male – Daniele Sammar…
11 Agosto 2013Lettera aperta sul Concorso DS Lombardia – di Renzo Caliari
17 Agosto 2013“Siddharta” è un’opera narrativa prodotta nel 1922 dallo scrittore tedesco Hermann Hesse, importante personaggio letterario del ventesimo secolo, sia nel campo della prosa che in quello della poesia, nonché aforista, come traspare da questo stesso romanzo.Nel pieno della propria gioventù volle avventurarsi in un viaggio verso l’India, che tuttavia non riuscì mai a raggiungere a causa delle gravi malattie contagiose presenti nella zona, per la ricerca della pace interiore e l’approfondimento della filosofia indù e buddhista, che ha come finalità il risveglio spirituale della persona.
Anche se non poté mai realizzare questo suo sogno, tale esperienza lo segnò profondamente, tanto da ispirarlo per la stesura di vari racconti, tra cui “Siddharta” , un romanzo che illustra il cammino di un giovane bramino, appartenente cioè alla casta indiana più nobile, verso la ricerca dell’Io.
Quest’ultimo partì perciò con l’inseparabile amico Govinda, dopo aver informato il padre della propria decisione irrevocabile, il quale, non senza esitazione, si vide costretto a rispettare anche una simile scelta.
Penso sia bellissima una tale considerazione dei figli da parte dei genitori, e viceversa.
Dapprima i due giovani entrarono a far parte dei “Samana” , pensatori che rinunciano ad ogni tipo di bene materiale per immedesimarsi in tutto ciò che incontrano.
Non ancora convinti di aver trovato la propria espressione di vita, vollero continuare la propria esperienza spostandosi nuovamente, fino ad arrivare in un boschetto dove viveva il l’illuminato: Gotama, il Buddha.
I due ragazzi ne rimasero folgorati, al punto che Govinda decise di diventare monaco e vivere in quella congrega, tanto silenziosa quanto unita, per il resto della vita, mentre Siddharta, dopo aver parlato personalmente con il Maestro, convinto dell’impossibilità di ricevere la dottrina da quest’ultimo, ma mostrandogli rispetto assoluto, preferì proseguire per la propria strada.
Giunse così alle porte di una città, sporco e malconcio , dove vide Kamala, un’incantevole ragazza, contraddistinta da una rara eleganza, prima che da ingenti ricchezze.
Andò pertanto a farle visita, instaurando una relazione destinata a farsi sempre più profonda e passionale.
Nel frattempo venne anche assunto come garzone da un mercante locale, Kamaswami.
Inizialmente Siddharta riassunse le proprie qualità solamente nel saper pensare, aspettare e digiunare. Con il passare del tempo tuttavia si dimostrò molto abile anche negli affari, guadagnandosi la stima di Kamaswami, che veniva considerato ormai suo pari.
Siddharta cominciò quindi a condurre una vita più materialista, formata da vani e illusori piaceri, alleggerita da agi superflui.
Una notte però, saziato fino a sentirsi nauseato dallo stile di vita in cui era caduto quasi inconsciamente, decise di lasciare la città e vagabondò sfinito per il bosco, fino a quando non arrivò al fiume, dove in passato aveva conosciuto un benevole barcaiolo.
Qui, in preda alla disperazione, si gettò in acqua, per mettere fine alla sua tormentata esistenza. Era a un passo dalla morte, quando si destò e risalì in superficie. Dopodiché cadde in un sonno profondo, e al risveglio trovò Govinda, che, pur non riconoscendolo, aveva vegliato su di lui per paura che potesse accadergli qualcosa.
Ancora molto confuso, ma convinto di voler cambiare totalmente vita, il protagonista ritornò dal barcaiolo Vasudeva,che lo accolse con gioia nella propria capanna, per vivere collaborando insieme in quel luogo ameno.
Siddharta apprese così l’arte dell’ascoltare il fiume.
Successivamente i due compagni accettarono nella propria catapecchia anche il figlio di Siddharta, nato dalla relazione con Kamala, morta per il morso di un serpente.
Il giovane, sebbene i due amici fossero sempre gentili nei suoi confronti, si mostrò sempre inquieto e carico di amarezza, disprezzando il padre e la relativa concezione di vita, fino a quando una mattina, ormai cresciuto, fuggì guadando il fiume.
Siddharta cercò afflitto di parlare per un’ultima volta con il figlio, ma non ci riuscì, e trascorse perciò un periodo in preda alla disperazione e allo sconforto, fino a quando capì che anche lui stesso, quasi senza accorgersene, si era comportato nello stesso modo nei confronti di suo padre, e che non sarebbe stato corretto influenzare una scelta tanto rilevante del figlio.
A questo punto raggiungiamo il punto della storia che ho apprezzato maggiormente, che assocerò ogni volta al pensiero di questo breve ma straordinario romanzo.
Vasudeva accompagnò l’amico al fiume, perché ne ascoltasse un’ultima volta, senza alcun tipo di ambiguità o inganno, la voce.
Così facendo Siddharta comprese la perfezione del mondo.
Vasudeva osservandolo capì che era arrivato il momento di congedarsi.
Credo si possa interpretare in vari modi questo gesto.
Personalmente mi piace considerare Vasudeva un’entità superiore, un essere in cui credere, che ha raggiunto l’illuminazione e la sapienza, come Gotama.
Infine, nell’ultima parte del racconto, assistiamo a un solenne e toccante dialogo tra Siddharta e Govinda, ormai anziani e dotti, che si confrontano riguardo ai valori cui si sono sempre ispirati.
Ogni volta che i due amici si incontrano in età adulta, sempre dopo molto tempo, compresa quest’ultima volta, non si riconoscono immediatamente.
Mi sono spiegato questo particolare ipotizzando che sia dovuto al fatto che entrambi non hanno mai smesso di saziare la propria sete di verità e realizzazione, e di cercare, cercare ininterrottamente e senza tregua, trasformandosi quindi di continuo.
Quando meditai su alcune considerazioni di Siddharta presenti nel discorso finale mi venne in mente una frase che gli disse Vasudeva precedentemente, che a mio avviso riassume la concezione del tempo che aveva il protagonista: ” Tutto è. Tutto ha realtà e presenza.”
Il romanzo conclude con altre immagini, che trovo altrettanto intriganti e singolari.
Govinda ebbe la certezza di trovarsi di fronte, per l’ultima volta nella vita terrena, una creatura perfetta, e provò esattamente le stesse emozioni straordinarie, quasi surreali, che aveva provato nei confronti di Buddha, ormai apparentemente scomparso.
Si abbassò quindi, sotto sua richiesta, ma quasi istintivamente, verso la fronte di Siddharta, fino a baciarla delicatamente.
Poté così scorgere anch’esso l’unità del mondo, e con immenso onore si poté inchinare davanti a quel volto dal sereno sorriso, che aveva raggiunto la pace, le cui lacrime esprimevano amore supremo, sprigionando un bagliore incomparabile.
Terminai questo libro, consigliatomi da mio papà, assiduo lettore di romanzi a sfondo filosofico, a tarda notte, concentrato e immerso nel piacere della lettura.
Mi piaceva leggerlo un capitolo per volta, sperando che la magia che mi regalava potesse non svanire mai.
Come nel caso di tutte le grandi opere, di qualsiasi ramo artistico, credo che l’unica vera prerogativa per poterle apprezzare, o comunque giudicare, sia quella di non fermarsi alle apparenze, ma sforzarsi di guardare sempre oltre, superando la superficialità, che ritengo la causa del processo di scomparsa dei capolavori, e il più triste aggettivo attribuibile alle persone.
Ora che ho finito di leggerlo mi ritrovo spesso a ragionare, grazie ai pretesti più disparati, sui tanti spunti di riflessione che mi ha regalato questa lettura.
In primo luogo riguardo alla libertà, che considero una delle condizioni più importanti che l’uomo possa avere, e la sua relazione, che purtroppo siamo abituati a percepire molto stretta, con il pericolo.
Mi ha attratto la totale assenza di questo rapporto nel racconto di Hermann Hesse.
Inoltre mi sono potuto immedesimare nella volontà di alcuni personaggi di trascorrere dei periodi in solitudine, che erroneamente viene spesso ritenuta infelice e angosciante, ma che, al contrario, ritengo di tanto in tanto essenziale per la crescita e la conoscenza totale di sé stessi.
Un’altra cosa che ho trovato ammirevole è la dedizione alla religione dei personaggi, e il significato conferitogli, che ho potuto intendere, anzi probabilmente solo intuire, in prima persona, anche durante un viaggio in India.
Ricordo che io e mio padre rimanevamo meravigliati ogni volta di più visitando i templi e percependone l’atmosfera, creata da una calca di gente, tanto umile ma così assorta nella preghiera.
Per concludere, considero Siddharta una delle letture più interessanti che abbia mai scoperto, e un affascinante esempio di vita.
Quest’ultimo partì perciò con l’inseparabile amico Govinda, dopo aver informato il padre della propria decisione irrevocabile, il quale, non senza esitazione, si vide costretto a rispettare anche una simile scelta.
Penso sia bellissima una tale considerazione dei figli da parte dei genitori, e viceversa.
Dapprima i due giovani entrarono a far parte dei “Samana” , pensatori che rinunciano ad ogni tipo di bene materiale per immedesimarsi in tutto ciò che incontrano.
Non ancora convinti di aver trovato la propria espressione di vita, vollero continuare la propria esperienza spostandosi nuovamente, fino ad arrivare in un boschetto dove viveva il l’illuminato: Gotama, il Buddha.
I due ragazzi ne rimasero folgorati, al punto che Govinda decise di diventare monaco e vivere in quella congrega, tanto silenziosa quanto unita, per il resto della vita, mentre Siddharta, dopo aver parlato personalmente con il Maestro, convinto dell’impossibilità di ricevere la dottrina da quest’ultimo, ma mostrandogli rispetto assoluto, preferì proseguire per la propria strada.
Giunse così alle porte di una città, sporco e malconcio , dove vide Kamala, un’incantevole ragazza, contraddistinta da una rara eleganza, prima che da ingenti ricchezze.
Andò pertanto a farle visita, instaurando una relazione destinata a farsi sempre più profonda e passionale.
Nel frattempo venne anche assunto come garzone da un mercante locale, Kamaswami.
Inizialmente Siddharta riassunse le proprie qualità solamente nel saper pensare, aspettare e digiunare. Con il passare del tempo tuttavia si dimostrò molto abile anche negli affari, guadagnandosi la stima di Kamaswami, che veniva considerato ormai suo pari.
Siddharta cominciò quindi a condurre una vita più materialista, formata da vani e illusori piaceri, alleggerita da agi superflui.
Una notte però, saziato fino a sentirsi nauseato dallo stile di vita in cui era caduto quasi inconsciamente, decise di lasciare la città e vagabondò sfinito per il bosco, fino a quando non arrivò al fiume, dove in passato aveva conosciuto un benevole barcaiolo.
Qui, in preda alla disperazione, si gettò in acqua, per mettere fine alla sua tormentata esistenza. Era a un passo dalla morte, quando si destò e risalì in superficie. Dopodiché cadde in un sonno profondo, e al risveglio trovò Govinda, che, pur non riconoscendolo, aveva vegliato su di lui per paura che potesse accadergli qualcosa.
Ancora molto confuso, ma convinto di voler cambiare totalmente vita, il protagonista ritornò dal barcaiolo Vasudeva,che lo accolse con gioia nella propria capanna, per vivere collaborando insieme in quel luogo ameno.
Siddharta apprese così l’arte dell’ascoltare il fiume.
Successivamente i due compagni accettarono nella propria catapecchia anche il figlio di Siddharta, nato dalla relazione con Kamala, morta per il morso di un serpente.
Il giovane, sebbene i due amici fossero sempre gentili nei suoi confronti, si mostrò sempre inquieto e carico di amarezza, disprezzando il padre e la relativa concezione di vita, fino a quando una mattina, ormai cresciuto, fuggì guadando il fiume.
Siddharta cercò afflitto di parlare per un’ultima volta con il figlio, ma non ci riuscì, e trascorse perciò un periodo in preda alla disperazione e allo sconforto, fino a quando capì che anche lui stesso, quasi senza accorgersene, si era comportato nello stesso modo nei confronti di suo padre, e che non sarebbe stato corretto influenzare una scelta tanto rilevante del figlio.
A questo punto raggiungiamo il punto della storia che ho apprezzato maggiormente, che assocerò ogni volta al pensiero di questo breve ma straordinario romanzo.
Vasudeva accompagnò l’amico al fiume, perché ne ascoltasse un’ultima volta, senza alcun tipo di ambiguità o inganno, la voce.
Così facendo Siddharta comprese la perfezione del mondo.
Vasudeva osservandolo capì che era arrivato il momento di congedarsi.
Credo si possa interpretare in vari modi questo gesto.
Personalmente mi piace considerare Vasudeva un’entità superiore, un essere in cui credere, che ha raggiunto l’illuminazione e la sapienza, come Gotama.
Infine, nell’ultima parte del racconto, assistiamo a un solenne e toccante dialogo tra Siddharta e Govinda, ormai anziani e dotti, che si confrontano riguardo ai valori cui si sono sempre ispirati.
Ogni volta che i due amici si incontrano in età adulta, sempre dopo molto tempo, compresa quest’ultima volta, non si riconoscono immediatamente.
Mi sono spiegato questo particolare ipotizzando che sia dovuto al fatto che entrambi non hanno mai smesso di saziare la propria sete di verità e realizzazione, e di cercare, cercare ininterrottamente e senza tregua, trasformandosi quindi di continuo.
Quando meditai su alcune considerazioni di Siddharta presenti nel discorso finale mi venne in mente una frase che gli disse Vasudeva precedentemente, che a mio avviso riassume la concezione del tempo che aveva il protagonista: ” Tutto è. Tutto ha realtà e presenza.”
Il romanzo conclude con altre immagini, che trovo altrettanto intriganti e singolari.
Govinda ebbe la certezza di trovarsi di fronte, per l’ultima volta nella vita terrena, una creatura perfetta, e provò esattamente le stesse emozioni straordinarie, quasi surreali, che aveva provato nei confronti di Buddha, ormai apparentemente scomparso.
Si abbassò quindi, sotto sua richiesta, ma quasi istintivamente, verso la fronte di Siddharta, fino a baciarla delicatamente.
Poté così scorgere anch’esso l’unità del mondo, e con immenso onore si poté inchinare davanti a quel volto dal sereno sorriso, che aveva raggiunto la pace, le cui lacrime esprimevano amore supremo, sprigionando un bagliore incomparabile.
Terminai questo libro, consigliatomi da mio papà, assiduo lettore di romanzi a sfondo filosofico, a tarda notte, concentrato e immerso nel piacere della lettura.
Mi piaceva leggerlo un capitolo per volta, sperando che la magia che mi regalava potesse non svanire mai.
Come nel caso di tutte le grandi opere, di qualsiasi ramo artistico, credo che l’unica vera prerogativa per poterle apprezzare, o comunque giudicare, sia quella di non fermarsi alle apparenze, ma sforzarsi di guardare sempre oltre, superando la superficialità, che ritengo la causa del processo di scomparsa dei capolavori, e il più triste aggettivo attribuibile alle persone.
Ora che ho finito di leggerlo mi ritrovo spesso a ragionare, grazie ai pretesti più disparati, sui tanti spunti di riflessione che mi ha regalato questa lettura.
In primo luogo riguardo alla libertà, che considero una delle condizioni più importanti che l’uomo possa avere, e la sua relazione, che purtroppo siamo abituati a percepire molto stretta, con il pericolo.
Mi ha attratto la totale assenza di questo rapporto nel racconto di Hermann Hesse.
Inoltre mi sono potuto immedesimare nella volontà di alcuni personaggi di trascorrere dei periodi in solitudine, che erroneamente viene spesso ritenuta infelice e angosciante, ma che, al contrario, ritengo di tanto in tanto essenziale per la crescita e la conoscenza totale di sé stessi.
Un’altra cosa che ho trovato ammirevole è la dedizione alla religione dei personaggi, e il significato conferitogli, che ho potuto intendere, anzi probabilmente solo intuire, in prima persona, anche durante un viaggio in India.
Ricordo che io e mio padre rimanevamo meravigliati ogni volta di più visitando i templi e percependone l’atmosfera, creata da una calca di gente, tanto umile ma così assorta nella preghiera.
Per concludere, considero Siddharta una delle letture più interessanti che abbia mai scoperto, e un affascinante esempio di vita.
Andrea Brazzoli (15/08/2013)