VALUTAZIONE DELL’ATTIVITÀ DI STAGE
27 Gennaio 2019Maria Battaglia
27 Gennaio 2019Reddito di bilancio e reddito fiscale
Il reddito di bilancio non costituisce i risultato economico sul quale viene calcolata l’imposizione fiscale dell’azienda. Esso rappresenta soltanto il punto di partenza per determinare il reddito fiscale di impresa.
La differenza tra queste figure di reddito è sostanziale, in quanto esse hanno regole di determinazione, significato e obiettivi differenti.
Il reddito di bilancio esprime il risultato economico conseguito dall’impresa, che deriva dalla contrapposizione di tutti i costi e i ricavi di competenza dell’esercizio, determinati secondo i criteri stabiliti dalla normativa civilistica.
Il reddito fiscale scaturisce dalla contrapposizione tra i costi deducibili e ricavi tassabili, determinati secondo i criteri stabiliti dalla normativa fiscale, che non sempre coincide con quella civilistica.
Il passaggio dal reddito di bilancio al reddito fiscale viene attuato nella dichiarazione annuale dei redditi, che contiene anche un apposito quadro per la determinazione della base imponibile IRAP.
La base imponibile IRAP, a differenza della base imponibile IRES, non è costituita dal reddito di bilancio con le opportune rettifiche fiscali, ma dal valore della produzione netta -> VPN, che rappresenta il risultato della somma algebrica di alcune voci di conto economico, fiscalmente valutate.
Le norme tributarie che disciplinano la concorrenza dei componenti economici positivi e negativi alla determinazione del reddito fiscale d’impresa sono contenute nell’art. 109 TUIR.
Tali principi fiscali sono:
– Principio della competenza -> i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi, salvo diversa disposizione, concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza temporale, cioè nel periodo d’imposta in cui si verificano i presupposti di diritto e di fatto connessi alle componenti reddituali. Esso coincide con il principio della competenza proprio della disciplina civilistica, secondo il quale i costi e i ricavi vanno imputati al conto economico quando sono riferiti a operazioni concluse nell’esercizio, indipendentemente dalla loro manifestazione finanziaria.
– Principio dell’imputazione al conto economico -> le spese e gli altri componenti negativi sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui sono imputati al conto economico relativo all’esercizio di competenza -> cioè non ha rilevanza fiscale un costo che non è stato iscritto nel conto economico. Al principio dell’imputazione al conto economico è stato introdotta una deroga, per cui gli ammortamenti di beni materiali e immateriali, le altre rettifiche di valore e gli accantonamenti sono comunque deducibili, a condizione che in un apposito prospetto della dichiarazione dei redditi siano indicati il loro importo complessivo, i valori civili e fiscali dei beni e quelli dei fondi.
– Principio dell’inerenza -> le spese e gli altri componenti negativi sono considerati deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito d’impresa. Se l’attività ha prodotto ricavi o proventi tassabili, i relativi costi sono considerati elementi negativi da portare in deduzione; se, al contrario, i ricavi prodotti sono esenti o non sono soggetti all’imposta, anche i relativi costi, sostenuti per produrli, non concorrono alla determinazione del reddito fiscale.
Se non è possibile attribuire con esattezza determinati costi a un’attività che produce ricavi tassabili o a un’altra attività che produce ricavi esenti, la deduzione avviene in misura proporzionale secondo il seguente calcolo:
costi deducibili =costi sostenuti x ricavi attività tassabile /(diviso) ricavi attività esente + ricavi attività tassabile
la caratteristica fondamentale della normativa tributaria, consiste nella previsione puntuale e particolareggiata dei componenti positivi e negativi di reddito.
Dal bilancio d’esercizio deve scaturire un risultato economico che sia espressione degli utili conseguiti i delle perdite sofferte, in modo da offrire a terzi una visione chiara, veritiera e corretta della situazione aziendale e dell’andamento della gestione.
Le regole fiscali di determinazione del reddito d’impresa, partono da un presupposto differente, che è quello di giungere alla determinazione del reddito da assoggettare a tassazione, in maniera certa e oggettivamente accertabile, lasciando meno spazio possibile alle valutazioni discrezionali dell’imprenditore e a sue possibili manovre tendenti a diminuire il reddito imponibile
L’art. 83 TUIR stabilisce che il reddito d’impresa è determinato apportando all’utile o alla perdita risultante dal conto economico a chiusura dell’esercizio le variazioni in aumento o in diminuzione conseguenti all’applicazione dei criteri stabiliti nelle successive disposizioni.
Il punto di partenza per la determinazione del reddito fiscale, è il risultato d’esercizio esposto nel conto economico redatto secondo l’art. 2425 c.c., al quale vengono aggiunte o sottratte, le variazioni in aumento o in diminuzione derivanti dai criteri di valutazione previsti dalla normativa tributaria.
Le variazione fiscali aumentano o diminuiscono il risultato del conto economico, per tenere conto delle divergenze tra i criteri accolti nel bilancio d’esercizio e i criteri fissati dalle norme fiscali.
Se le variazioni in diminuzione superano l’utile civilistico, l’esercizio sarà in perdita fiscale, anche se civilisticamente preserva un utile, viceversa, se le variazioni in aumento superano la perdita, si può avere, pur in presenza di una perdita civilistica, un utile fiscale.
Le variazioni in aumento si determinano quando:
– I costi fiscalmente deducibili sono di ammontare inferiore rispetto all’ammontare civilistico
– I ricavi tassabili sono di ammontare superiore rispetto a quello civilistico.
Le variazioni in diminuzione hanno luogo quando:
– Il conto economico comprende componenti positivi di reddito che non sono tassabili, o per i quali è possibile rinviare la tassazione, ripartendola su di più esercizi futuri
– L’ammontare di un costo fiscalmente deducibile è maggiore di quello iscritto nel conto economico
La riforma fiscale prevede che la deduzione di componenti negativi eccedenti la quota civilisticamente congrua potrà aver luogo se e nella misura in cui detti componenti verranno evidenziati in un apposito prospetto riepilogativo.
Tale documento deve indicare esclusivamente gli ammortamenti dei beni materiali e immateriali, le altre rettifiche di valore e gli accantonamenti -> scopo: eliminare dal bilancio d’esercizio le interferenze fiscali, cioè gli inquinamenti di carattere fiscale, questi componenti negativi possono essere dedotti dal reddito imponibile utilizzando il prospetto senza obbligo di imputazione al conto economico.
Nel caso in cui l’azienda utilizzi il prospetto riepilogativo il legislatore, a tutela degli interessi erariali, dispone che l’utile conseguito non possa essere distribuito se l’azienda non dispone riserve sufficienti alla copertura dei costi dedotti in sede extra-contabile.
Le divergenze permanenti si riferiscono a differenze di tipo definitivo tra le 2 normative, dovute al fatto che queste ultime danno 2 diverse interpretazione sulla matura di costo o di ricavi di certi componenti. -> come per esempio le spese di rappresentanza
Le divergenze temporanee si riferiscono a differenze di tipo provvisorio, che sono destinate a riassorbirsi negli esercizi futuri. La differenza riguarda il periodo di imposta al quale riferire il componente.
Possono essere tassabili e deducibili.
– Quelle tassabili sono definite così perché attraverso il meccanismo delle variazioni spostano una parte del reddito imponibile agli esercizi futuri sui quali graverà una quota di imposte.
Esse si riferiscono a norme di tipo agevolativi che permettono di ridurre l’imponibile attraverso:
1. il rinvio della tassazione di ricavi imputati nel c.e. come la plusvalenza
2. la detrazione fiscale di maggiori costi rispetto a quelli indicati nel c.e come gli ammortamenti
– quelle deducibili sono definite così perché attraverso il meccanismo delle variazioni anticipano all’esercizio in corso una parte del reddito imponibile facendo risparmiare agli esercizi futuri una quota corrispondente di imposte.
Imposte di competenza -> calcolate sul risultato di bilancio prima delle imposte, rettificato dalle sole differenze permanenti.
Imposte correnti -> calcolate sul reddito fiscale, sono anche dette imposte dovute o da versare in quanto corrispondono all’importo risultante dalla dichiarazione dei redditi relativa all’esercizio.
Quando le imposte di competenza sono maggiori delle imposte correnti la differenza costituisce le imposte differite.
Le imposte differite sono costi presunti, già maturati dal punto di vista economico, ma con manifestazione finanziaria nei futuri esercizi.
Tale manifestazione finanziaria è soltanto probabile in quanto non si verificherà in presenza di risultati negativi. E’ questo il motivo che induce a rilevarla in un conto acceso non ai debiti ma ai fondi per rischi e oneri.
Quando le imposte correnti sono maggiori delle imposte di competenza, la differenza rappresenta le imposte anticipate dette anche pre-pagate.
Le imposte anticipate sono costi con manifestazione finanziaria anticipata, non ancora maturati dal punti vista economico, la cui indicazione nell’attivo dello stato patrimoniale e il contemporaneo storno dal conto economico può considerarsi accettabile solo nel caso in cui l’impresa abbia l’effettiva probabilità di recuperarle.
I CRITERI FISCALI DI VALUTAZIONE
Le plusvalenze patrimoniali
L’art. 86 TUIR stabilisce quali sono i beni la cui cessione origina il realizzo di plusvalenze tassabili si tratta di:
– beni strumentali materiali e immateriali
– strumenti finanziari non partecipativi iscritti nelle immobilizzazioni finanziarie
– azioni e quote di partecipazione in società commerciali iscritte nelle immobilizzazioni finanziarie che non posseggono i requisiti posti dall’art. 87 per usufruire del regime di esenzione.
Le plusvalenze concorrono a formare il reddito imponibile:
1. realizzate mediante cessione a titolo oneroso dei beni
2. realizzate mediante il risarcimento -> perdita o danneggiamento dei beni
3. beni assegnati a soci, oppure destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa.
Le plusvalenze concorrono a formare il reddito, a scelta del contribuente, per l’intero ammontare nell’esercizio in cui sono state realizzate oppure, se i beni sono stati posseduti per un periodo non inferiore a 3 anni, in quote costanti nell’esercizio stesso e nei successivi ma non oltre il 4.
La normativa fiscale consente all’azienda di scegliere nel caso in cui il bene sia in azienda da almeno 3 anni 2 alternative:
– tassazione delle plusvalenze per l’intero ammontare nell’esercizio in cui sono realizzate
– tassazione delle plusvalenze in misura frazionata in quote costanti nell’esercizio in cui sono realizzate e nei successivi, comunque in un arco di tempo non superiore a 5 anni.
La rateizzazione della plusvalenza realizzata comporta la rateizzazione delle imposte che gravano su di essa.
L’impresa usufruisce di un temporaneo risparmio d’imposta, nei primi periodi, a tutto svantaggio degli esercizi successivi, nei quali l’addossamento al reddito fiscale delle quote di plusvalenza ora rinviate comporterà un parallelo aumento dell’imponibile e della tassazione.
E’ chiaro che, se l’impresa, nell’esercizio di realizzo della plusvalenza, ha conseguito una perdita fiscale, non avrà alcun interesse alla rateizzazione. Nel caso in cui preveda una perdita per l’esercizio futuro, fiscalmente avrà interesse a riportare in avanti la plusvalenza attraverso la relativa rateizzazione.
Dal punto di vista civilistico la plusvalenza deve essere imputata interamente al conto economico dell’esercizio in cui è stata realizzata.
La riduzione del reddito di bilancio si esegue attraverso 2 variazioni fiscali:
- variazione in diminuzione per la plusvalenza intera
- variazione in aumento per la quota associata all’esercizio in questione
I contributi pubblici
I contributi pubblici possono essere distinti in: conto capitale e in conto esercizio.
I contributi in conto capitale in senso stretto sono considerati dall’art.88 TUIR come sopravvenienze attive, che concorrono a formare il reddito fiscale, a scelta del contribuente in uno dei seguenti modi:
– per intero -> criterio di cassa
– in quote costanti -> rateizzando la tassazione in un massimo di 5 anni
Le rimanenze di magazzino e dei lavori in corso su ordinazione
La normativa fiscale suddivide le giacenze di magazzino in 4 grandi categorie, a ciascuna delle quali deve essere attribuito un valore minimo:
– beni alla cui produzione e al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa -> prodotti finiti e merci;
– opere, forniture, servizi di durata ultrannuale -> commesse pluriennali in carico all’azienda;
– prodotti in corso di lavorazione e servizi in corso nella produzione -> beni o servizi realizzati per il mercato mediante un processo di lavorazione che, non è ancora ultimato al momento della valutazione;
la cui valutazione deve essere effettuata a costi specifici -> per determinare i costi specifici si deve disporre di un adeguato sistema di rilevazioni analitiche e utilizzare delle apposite schede di lavorazione.
Concorrono a determinare il valore delle rimanenze finali di queste categoria
1. costo delle materie utilizzate
2. lavorazioni esterne
3. mano d’opera diretta
esclusi:
1. costi amministrativi e commerciali
2. costi non operativi
3. interessi passivi
– beni acquistati o prodotti per essere impiegati nella produzione -> materie prime, semilavorati;
La normativa fiscale prevede che le rimanenze fiscali dei beni acquistati o prodotti per essere impiegati nella produzione la cui valutazione non sia effettuata a costi specifici debbano essere raggruppate in categorie omogenee per natura e per valore, a ciascuna categoria deve essere attribuito un valore non inferiore a quello determinato applicando il LIFO a scatti annuale.
Nel caso in cui le rimanenze siano valutate in bilancio con il metodo LIFO continuo, costo medio ponderato o FIFO, i valori che ne derivano sono assunti anche ai fini fiscali.
Art. 2426 c.c. dispone che, per il calcolo del costo dei beni fungibili, l’impresa può adottare il metodo della media ponderata, il FIFO oppure il LIFO.
L’Impresa è libera di adottare il metodo di valutazione che ritiene più idoneo alla natura e alle caratteristiche dei beni in rimanenza.
Nel caso in cui venga utilizzato un metodo diverso da quelli previsti dalla normativa civilistica, il valore attribuito alle rimanenze viene comunque accettato ai fini fiscali, a condizione che non scenda al di sotto di quello calcolato con l’applicazione del metodo LIFO su scatti annuale.
Se la valutazione è inferiore :
1. è riconosciuta valida anche ai fini fiscali se calcolata in base a uno dei metodi previsti dalla normativa c. -> FIFO, LIFO, costo medio ponderato;
2. non è riconosciuta valida ai fini fiscali se calcolata in base a un metodo diverso da quelli previsti dalla normativa civilistica.
Il 2° e 3° comma dell’art. 92 TUIR descrivono dettagliatamente il metodo LIFO a scatti annuale, stabilendo che:
– nel primo esercizio -> le rimanenze sono valutate on il metodo del costo medio ponderato annuale:
Costo medio ponderato = Costo complessivo dei beni acquistati e prodotti nell’es. / (diviso) la Quantità tot prodotta o acquistata nell’es.
Il costo complessivo comprende anche i costi accessori di diretta imputazione ma restano esclusi gli interessi passivi e le spese generali.
Negli esercizi successivi:
1. se la quantità delle rimanenze è aumentata -> alle esistenze iniziali è attribuito un valore pari a quello delle rimanenze finali dell’anno precedente, mentre gli incrementi sono valutati al costo medio ponderato degli acquisti dell’anno di formazione;
2. se la quantità è diminuita -> la diminuzione viene imputata agli incrementi formati negli esercizi precedenti, a partire dal più recente.
L’ammortamento dei beni materiali
Le quote di ammortamento sono deducibili a partire dall’esercizio di effettiva entrata in funzione del bene strumentale materiale.
La norma consente di rinviare la deduzione degli ammortamenti agli esercizi nei quali essi concorrono a produrre i ricavi. Ai fini civilistici, l’ammortamento può decorrere dal periodo in cui il bene è concretamente utilizzabile e anche prima che l’utilizzo sia effettivamente iniziato.
Il costo ammortizzabile è al lordo delle quote di ammortamento già dedotte e comprende anche gli oneri accessori di diretta imputazione.
Il legislatore fiscale per la determinazione delle quote di ammortamento prevede una regola generale, secondo la quale la deduzione è ammessa in misura non superiore a quella risultante dall’applicazione, al costo dei beni, dei coefficienti stabiliti con decreto del ministero delle finanze pubblicato sulla gazzetta ufficiale.
I coefficienti fiscali sono stati stabiliti per categorie omogenee, in base al normale periodo di deperimento e consumo nei vari settori produttivi.
Esistono delle tabelle che stabiliscono le aliquote ordinarie di ammortamento applicabili al costo dei beni, che variano in funzione dei settori produttivi.
Nel primo esercizio di entrata in funzione del bene l’aliquota ordinaria applicabile è ridotta alla metà. L’art. 102 TUIR prevede ulteriori indicazioni e opportunità che possono essere utilizzate dalle imprese per questo ci sono:
– ammortamento intensivo o accelerato -> i beni vengono sottoposti a una più intensa utilizzazione a quella normale del settore, l’aliquota ordinaria applicabile può essere maggiorata in proporzione al maggiore utilizzo dei beni. Questo ammortamento è ammesso a condizione che l’impresa riesca a documentare oggettivamente le condizioni di maggior utilizzo rispetto a quello normale del settore.
– Ammortamento immediato -> per i beni di costo unitario non superiore a 516,46 ?.
Questo ammortamento consiste nella deduzione integrale del costo di acquisizione nell’esercizio in cui il costo stesso è stato sostenuto.
– Ammortamento anticipato -> la misura dell’ammortamento può essere elevata fino a 2 volte l’aliquota ordinaria, nell’esercizio in cui il bene entra in azienda e nei 2 esercizi successivi. Nel caso in cui il bene sia già stato utilizzato da altri soggetti l’ammortamento è consentito solo nel primo esercizio di utilizzazione.
In questo modo le imprese possono completare gli ammortamenti in modo più rapido, per favorire il potenziamento e il rinnovamento delle imprese, anche se non permette un’esenzione definitiva ma permette un rinvio della tassazione al futuro.
Le spese di manutenzione e riparazione
Art. 102 TUIR prevede la possibilità di imputare i costi incrementativi in aumento del costo del bene al quale si riferiscono, a condizione che ciò risulti dal Bilancio d’esercizio.
I costi incrementativi dopo essere stati capitalizzatati sul valore del cespite, assumono rilevanza fiscale a tutti gli effetti.
Le spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento e trasformazione, quando non sono imputate a incremento del costo dei beni ai quali si riferiscono, sono deducibili fiscalmente nell’esercizio in cui sono state sostenute nel limite del 5% del costo complessivo di tutti i beni materiali ammortizzabili.
Per determinare la quota deducibile, si deve applicare la percentuale del 5% al costo complessivo di tutti i beni ammortizzabili esistenti nel periodo d’imposta, compresi quelli sui quali non è stato effettuato alcun intervento di manutenzione.
Per i beni ceduti o acquistati nel corso dell’esercizio la percentuale di deducibilità del 5% deve essere calcolata sulla parte del costo proporzionale alla durata del possesso.
E’ riconosciuta dalla normativa fiscale la deducibilità integrale nell’esercizio in cui i canoni stessi sono sostenuti. Il costo dei beni oggetto di tale manutenzione non concorre però a formare la base su cui calcolare la percentuale di deducibilità.
L’art. 110 TUIR, 5°comma, stabilisce che qualora la durata dell’esercizio sia inferiore o superiore a un anno solare il plafond, cioè il 5% dell’ammontare dei beni strumentali, deve essere rapportato all’effettiva durata.
Le spese di manutenzione e riparazione effettivamente sostenute dall’azienda ed eccedenti il limite massimo di deducibilità, non sono immediatamente deducibili, quindi si dovrà operare una variazione in aumento per un importo pari all’eccedenza. Le manutenzioni eccedenti devono essere iscritte nel registro dei beni ammortizzabili, esse sono deducibili a quote costanti nei 5 esercizi successivi, mediante corrispondenti variazioni in diminuzione in sede di dichiarazione dei redditi.
I canoni di leasing
Art 102 TUIR comma 7 stabilisce che se il contratto ha per oggetto beni mobili i canoni di leasing sono deducibili dal reddito fiscale a condizione che la durata del contratto non sia inferiore alla metà del periodo di ammortamento determinabile con riferimento ai coefficienti d’ammortamento ordinario,se i beni sono immobili la deduzione dei canoni è ammessa se la durata del contratto non è inferiore a 8 anni.
In caso di cessione del contratto di leasing, il 5° comma del art. 88 del TUIR considera sopravvenienza attiva tassabile il valore nominale del bene oggetto del contratto, indipendentemente dal corrispettivo pattuito con l’acquirente.
L’ammortamento delle immobilizzazioni immateriali
Sono considerati beni immateriali:
– I diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno, i brevetti industriali, i marchi di fabbrica
– I diritti di concessione e altri diritti iscritti nell’attivo dello s.p.
– L’avviamento
L’art. 103 TUIR disciplina l’ammortamento fiscale di queste immobilizzazioni immateriali:
– Le quote di ammortamento del costo dei diritti di utilizzazione delle opere di ingegno e dei brevetti industriali -> possono essere costanti o variabili ma, il ogni caso, sono deducibili in misura non superiore a 1/3 del costo
– Le quote di ammortamento dei marchi d’impresa sono deducibili in misura non superiore a 1/10 del costo
– Possono essere dedotte le quote d’ammortamento dei diritti di concessione determinate nella misura corrispondente alla durata della concessione prevista dal contratto o dalla legge
– Le quote di ammortamento del valore di avviamento iscritto tra le attività dello s.p. sono deducibili in misura non superiore a 1/10 del valore stesso.
Per quanto riguarda l’aspetto civilistico, l’art. 2426 c.c. stabilisce per le immobilizzazioni immateriali che il costo sia sistematicamente ammortizzato in ogni esercizio in relazione con la residua possibilità di utilizzazione, per un massimo di 5 anni.
Sono considerate spese relative a più esercizi:
– Spese relative a studi e ricerche
– Spese di pubblicità e propaganda
L’art. 108 TUIR, stabilisce che le spese relative a studi e ricerche sono deducibili integralmente nell’esercizio in cui sono state sostenute o in quote costanti nell’esercizio stesso e nei successivi ma non oltre il 4.
Le spese di pubblicità e propaganda sono finalizzate a far conoscere alla generalità dei consumatori l’offerta del prodotto -> scaturisce dietro un corrispettivo pattuito l’obbligo di pubblicizzare il prodotto, il marchio o i servizi offerti da un’azienda. Queste spese sono deducibili per l’intero importo nell’esercizio in cui sono state sostenute oppure in quote costanti nell’esercizio stesso e nei 4 successi.
Le spese di rappresentanza hanno lo scopo di offrire al pubblico un’immagine positiva dell’impresa e della sua attività.
La caratteristica principale è la gratuità. Queste spese sono deducibili nella misura di 1/3 del loro ammontare in quote costanti nell’esercizio in cui sono state sostenute e 4 successi.
Altre spese come ad esempio quelle d’impianto, ampliamento -> permessa la deducibilità in ciascun esercizio in base al principio della competenza; ristrutturazione -> deducibilità ammessa per un periodo non superiore alla durata del contratto di locazione.
Per quanto riguarda l’aspetto civilistico, art. 2426 punto 5, i costi devono essere ammortizzati entro un periodo non superiore ai 5 anni. Fino a quando l’ammortamento non è stato completato non è possibile procedere alla distribuzione di dividendi a meno che non sussistono riserve disponibili sufficienti alla distribuzione di dividendi a meno che non sussistono riserve disponibili sufficienti per coprire l’ammortare dei costi non ancora ammortizzati.
Svalutazione dei crediti
Il legislatore fiscale ha definito le condizioni di deducibilità delle svalutazioni e degli accostamenti per rischi su crediti, allo scopo di eliminare i margini di soggettività insiti nel criterio civilistico della valutazione secondo il presumibile valore di realizzazione.
La norma fiscale pone un duplice limite alla deducibilità dei relativi costi:
– qualitativo -> non tutti i crediti sono svalutabili lo sono:
1. risultanti in bilancio
2. non coperti da garanzie assicurative
3. che danno origine a ricavi
– quantitativo -> quote deducibili:
1. la svalutazione non può superare lo 0,50% del valore nominale o di acquisizione dei crediti
2. la svalutazione non è ammessa quando il fondo che accoglie le svalutazioni e gli accantonamenti fiscali ha raggiunto il 5% dei crediti commerciali risultanti in bilancio alla fine dell’esercizio
L’IRAP
Imposta regionale sulle attività produttive è stata introdotta nel nostro sistema tributario con il D.lgs. 446 del 1997 con l’obiettivo principale di dotare le regioni di un tributo proprio, l’imposta ha un’applicazione territoriale, dato che:
– la base imponibile è determinata dal valore prodotto per effetto dell’attività svolta sul territorio regionale
– il gettito è attribuito alla finanzia delle singole regioni, le quali hanno il potere di determinare la misura dell’aliquota dell’imposta e sono titolari dei poteri di accertamento e controllo.
Si tratta di un’imposta reale, non deducibile ai fini delle imposte personali sul reddito.
I soggetti passivi dell’imposta sono:
– esercenti arti e professioni
– esercenti attività commerciale
– produttori agricoli
– enti non commerciali
– pubbliche amministrazioni
– società e enti non residenti
Sono esclusi dal tributi:
– fondo pensione
– fondi comuni di investimento mobiliari e immobiliari
– gruppi europei di interesse economico
L’IRAP spetta alla regione nel cui territorio il valore della produzione netta è realizzato, se l’attività è esercitata in più regioni, la riparazione della base imponibile avviene in proporzione all’ammontare delle retribuzioni corrisposte al personale.
L’aliquota prevista è del 4,25% da applicare al valore della produzione netta. Alle regioni viene attribuita la facoltà:
-
applicare a detta aliquota una variazione in aumento o in diminuzione che può giungere a un massimo di un punto %
-
di differenziare la maggiorazione per categorie di contribuenti e per settori di attività.
La normativa prevede alcune deduzioni dalla base imponibile IRAP per i contribuenti che nel periodo d’imposta non superano un determinato “tetto” di VPN
La base imponibile è costituita dal valore della produzione netta (VPN) derivante dall’attività caratteristica dell’impresa.
Il VPN è determinato dalla differenza tra la somma delle voci classificabili nel valore della produzione di cui al primo comma della lettera A) dell’art. 2425 c.c. e di quelle classificabili nei costi della produzione di cui alla lettera B) del medesimo comma ad esclusione delle perdite su crediti e di buona parte delle spese per il personale dipendente.
I componenti positivi e negativi di reddito concorrono alla formazione della base imponibile in ragione della loro corretta classificazione in bilancio, ma devono essere opportunamente rettificati con le variazioni in aumento o in diminuzione derivanti dall’applicazione dei criteri fiscali di valutazione, ai fini delle imposte sui redditi.
Non rientrano nel calcolo del VPN:
- i seguenti costi tipici:
– i costi personale (tranne apprendisti, disabili, premi INAIL) -> è evidente che le imprese studiano altre forme di organizzazione tendenti a esternalizzare fasi del processo produttivo e risparmiare così i costi del lavoro, che vengono scaricati sulle aziende fornitrici del servizi
– svalutazione dei crediti imputate al conto economico in via estimativa e le perdite su crediti rilevate a seguito di realizzi definitivi
- proventi e oneri finanziari e le rettifiche di valore di attività finanziarie -> oneri finanziari indeducibili = disincentivo al ricorso di capitale di terzi, stimolando indirettamente la capitalizzazione dell’impresa
- proventi e oneri straordinari ad eccezione delle plusvalenze e delle minusvalenze straordinarie relative a beni strumentali e derivanti da operazioni di trasferimento di azienda.
L’IRAP deve essere versata secondo e modalità e nei termini stabiliti per le imposte sui redditi, con le stesse modalità sono dovuti gli acconti relativi all’imposta.
La dichiarazione IRAP deve essere redatta su in apposito modello e presentata congiuntamente alla dichiarazione dei redditi.
Adempimenti e versamento delle imposte sui reddito
Le imprese devono presentare una dichiarazione unificata annuale -> modello unico, che comprende:
1. la dichiarazione dei redditi
2. la dichiarazione IVA
3. la dichiarazione dei sostituti d’imposta
4. dichiarazione IRAP
redatta su un apposito modello predisposto dall’amministrazione finanziaria, in cui gli importi sono arrotondati.
L’obbligo di presentazione della dichiarazione unificata annuale in via telematica sussiste quando si verificano le seguenti circostanze:
– periodo d’imposta dell’impresa coincide con l’anno solare
– il contribuente è obbligato ala presentazione di almeno 2 delle seguenti dichiarazioni: redditi, IRAP, IVA, e MOD.770 ORDINARIO.
Gli imprenditori individuali e società di persone
- presentare la dichiarazione su modulo cartaceo
- tramite banca o ufficio postale
- entro il 31 luglio
- possono presentarla in via telematica, tramite internet o intermediario abilitato, entro 31 ottobre.
I soggetti IRES devono presentare la dichiarazione:
– su modello cartaceo -> tramite banca o ufficio postale -> entro l’ultimo giorno del 7 mese successivo a quello della chiusura del periodo d’imposta
– per via telematica -> entro ultimo giorno del 10 mese successivo a quello di chiusura del periodo d’imposta.
Le società di capitali e gli enti commerciali equiparati sono obbligati alla trasmissione telematica tramite il servizio ENTRATEL -> entro l’ultimo giorno del decimo mese successivo a quello di chiusura del periodo d’imposta (31 ottobre).
L’IRPEF, l’IRES e IRAP devono essere versate in 3 rate:
– la prima rata di acconto
– entro 20/06 -> imprenditori individuali e soc. di persone
– entro il 20 del sesto mese successivo a quello di chiusura del periodo d’imposta
– per le società di capitali che approvano il bilancio oltre i 120 gg dalla chiusura dell’esercizio
– il termine per il versamento è il giorno 20 del mese successivo alla data prevista dalla legge per l’approvazione del bilancio d’esercizio
– l’ammontare di questa rata è pari al 40% dell’acconto complessivo -> deve inoltre essere versato il saldo delle imposte relative all’anno precedente.
– la seconda rata di acconto
– deve essere versata entro l’undicesimo mese dell’esercizio -> 60% dell’acconto complessivo
è possibile unificare il versamento di imposte con le somme dovute a enti previdenziali e assistenziali eseguendolo mediante apposito modulo di pagamento unificato -> F24 presso in qualsiasi ufficio postale o con delega a una banca convenzionata.
Il contribuente può effettuare compensazioni incrociate tra crediti e debiti relativi allo stesso periodo.
Se il credito è superiore al debito, non trovando compensazione integrale, l’eccedenza può essere fatta valere in occasione del primo versamento successivo o essere chiesta a rimborso.
Se dal mod.f24 risulta un saldo a debito il contribuente può effettuarne il versamento via internet con addebito di un conto corrente bancario intrattenuto con una delle aziende di credito convenzionate con il ministero dell’economia e delle finanze.
A tutti i soggetti è consentito versare le imposte dovute entro il 30°giorno del mese successivo a quello di scadenza del termine, con una maggiorazione dello 0,40% a titolo di interessi.
Il contribuente può chiedere la rateazione delle somme dovute a titolo di saldo e di acconto delle imposte, esercitando la relativa opzione in sede di dichiarazione annuale, o semplicemente assumendo un comportamento che induca a concludere che egli abbia optato. Non è rateizzabile il secondo acconto, ma soltanto il primo congiuntamente al saldo.
Il contribuente può scegliere il numero delle rate, il cui ammontare deve essere aumentato degli interessi.
Le imposte possono essere pagate con denaro, addebito conto bancario/postale, mezzo bancomat, carte di debito e di credito, assegno bancari e circolari.