“The strange case of Dr. Jekyll and Mr. Hyde”by Robert Louls Stevenson
27 Gennaio 2019Gabriele D’Annunzio
27 Gennaio 2019Il moto di un oggetto è caratterizzato dalla sua velocità: lo spazio percorso diviso per il tempo impiegato. Implicito in questa definizione, è il sistema di riferimento. Supponiamo di viaggiare su un treno che si muove a 100 km/h. Passeggeri, sedili e valigie si muovono a questa velocità solidale con il treno e costituiscono il nostro sistema di riferimento. Per chi viaggia sul treno la velocità degli altri passeggeri è nulla, mentre per chi lo insegue a 90km/h è di 10 km/h: concludendo cambiando riferimento dobbiamo operare la somma algebrica delle velocità. Questa concezione, che chiameremo relatività classica, si basa su due postulati fondamentali:
– la reciprocità del moto: secondo tale postulato se l’osservatore O1 si muove rispetto a O fermo, con velocità (w) è indifferente considerare O1 fermo e O in moto con velocità (-w).
– il tempo come assoluto fisico: ovvero tutti gli osservatori percepiscono e misurano il tempo allo stesso modo, quindi t= t1: il tempo è completamente separato dallo spazio e da esso indipendente. (è importante far notare che il secondo postulato, implica in subordine che la velocità della luce sia infinita.). Inoltre nella relatività classica tutte le leggi della meccanica sono invarianti per sistemi inerziali e le trasformazioni che fanno passare da un sistema di riferimento ad un altro sono le trasformazioni di Galileo, che non sono altro che le banali trasformazioni nel piano cartesiano.
La scoperta fatta da Maxwell diede inizio a una profonda crisi nelle fisica del tempo. Le equazioni di Maxwell predicevano che nel campo elettromagnetico combinato potevano verificarsi perturbazioni simili a onde e che queste perturbazioni si sarebbero propagate a una velocità fissa. Quindi la teoria di Maxwell prediceva che le onde radio o le onde luminose si propagano ad una certa velocità standard, che chiameremo c, non più infinita. (Per inciso, il fatto che la luce viaggia ad una velocità finita, anche se grandissima, fu scoperto per la prima volta nel 1675 dall’astronomo danese Romer. Ma l’avvento di Newton di lì a undici anni, pose in secondo piano la sua eccezionale scoperta.)
Secondo la relatività classica, abbiamo visto che non esiste un sistema di riferimento privilegiato per la quiete: si può dire altrettanto bene che il corpo A è in quiete e il corpo B in movimento con velocità costante rispetto al corpo A, o che in movimento è il corpo A e in quiete B. Quindi, stando alla relatività classica, se la luce doveva viaggiare a una velocità fissa, si sarebbe dovuto dire relativamente a che cosa si doveva misurare tale velocità fissa. Fu formulata perciò l’ipotesi che esistesse una sostanza, chiamata “etere”, la quale sarebbe stata presente dappertutto anche nello spazio vuoto. Vorrei fare una sottile digressione: proviamo a determinare le contraddizioni insiste in questa ipotesi. La luce si propaga nell’etere, che è ovunque anche nello spazio vuoto, a velocità grandissima, quindi l’etere deve essere una sostanza estremamente rigida (nel suono che è un mezzo rigido le onde sonore si propagano più velocemente che nell’aria), ma nel contempo deve avere una massa trascurabile, dal momento che è presente anche nello spazio vuoto. Questa ipotesi è insostenibile, ma la convinzione che la luce si propagasse per necessità in un mezzo, aveva portato tutti gli esperti dell’epoca ad aderire a questa “accomodante” ipotesi. Le onde luminose dovevano propagarsi attraverso l’etere nello stesso modo in cui le onde sonore si propagavano attraverso l’aria, e la loro velocità doveva perciò essere relativa alletere.
Albert Michelson ed Edward Morley costruirono un apparato, un “interferometro”, che doveva rilevare il vento d’etere, sfruttando il movimento della Terra rispetto al Sole: se oggi la Terra fosse ferma rispetto all’etere, non lo sarebbe più tra sei mesi, quando la sua velocità sull’orbita sarebbe opposta. Con grande stupore di tutti, l’esperimento, condotto nel 1887, non rilevò alcun cambiamento del valore di c nell’arco di un anno. Hendrik Lorentz cercò di spiegare il fallimento di quest’esperienza, affermando che il vento d’etere modificava le forze interatomiche in modo da accorciare l’apparato di misura nella direzione in cui tirava il vento d’etere, e la misura di c veniva quindi distorta in modo da mascherare l’effetto del vento d’etere. Lorentz era un eminente fisico olandese, il quale, prima dell’avvento di Einstein, aveva ricavato delle equazioni che permettevano di passare da un sistema di riferimento ad un altro. Questo fu uno dei primi segnali di crisi: infatti si era notato che le equazioni di Maxwell per l’elettromagnetismo non erano invarianti per le trasformazioni di Galileo e violavano quindi in modo plateale il principio di relatività classica: allora Lorentz ricavò algebricamente le trasformazioni che portano il suo nome, in base alle quali le leggi di Maxwell erano invarianti. (t interessante osservare che le trasformazioni di Lorentz diventano quelle di Galileo per velocità (w) relativamente piccole rispetto a quella della luce, cioè quando w<<c, per cui possiamo affermare che la relatività galileiana è un caso particolare di quella einsteniana). Tuttavia Lorentz non interpretò i risultati del suo lavoro: il suo obbiettivo era quello di “far tornare i conti”, di trovare un artificio matematico che risolvesse il problema dei sistemi di riferimento e non interpretò il risultato dei suoi studi, rimanendo ancorato all’idea dell’etere. Einstein si rese conto che la soluzione del fallimento dell’esperimento di Michelson-Morley non risiedeva in una distorsione indotta dal vento d’etere sulla materia, bensì nella struttura stessa dello spazio-tempo e nel modo in cui si misuravano distanze e tempi. Secondo Einstein bisognava abbandonare l’idea del tempo come assoluto fisico e di sostituirla con quella dell’assolutezza della velocità della luce c, adottare al posto delle trasformazioni di Galileo, quelle di Lorentz e estendere il principio della relatività a tutta la fisica. Si noti che Einstein estese l’idea della relatività a tutta la fisica, non solo alla meccanica, includendo anche l’ottica e le recenti scoperte di Maxwell. Solo che per fare ciò fu costretto ad abbandonare alcune idee che appartenevano al senso comune, come quelle di spazio e tempo come assoluti fisici. (All’inizio le teorie di Einstein vennero fortemente osteggiate, tanto è vero che il Nobel nel 1921 non lo ricevette per i suoi studi sulla relatività, ma per la spiegazione dell’effetto fotoelettrico, secondo la teoria fotonica di Planck.)
In sostanza il principio della “Relatività Einsteniana” può essere così sintetizzato:
1) i postulati su cui poggia sono:
-le leggi della fisica sono le stesse per tutti i sistemi di riferimento inerziali.
-costanza della velocità della luce c per qualsiasi suo osservatore.
2) le trasformazioni per passare da un sistema di riferimento ad un altro non sono quelle galileiane, ma quelle di Lorentz.
3) l’accettazione delle trasformazioni porta alle seguenti conseguenze: -caduta dell’idea di spazio e tempo come assoluti fisici.
-revisione del concetto di simultaneità.
-la massa non è più una costante assoluta.
Nella teoria della relatività un oggetto in movimento appare accorciato nella direzione del moto, esattatnente come previsto da Lorentz, ma questo effetto non è dovuto al vento d’etere, ma è conseguenza diretta della struttura dello spazio-tempo. Si potrebbe dire che l’accorciamento è un effetto prospettico: un po’ come guardare un libro di profilo, ma non ruotato nello spazio, bensì nel tempo. Un altro effetto riguarda il tempo: quello segnato da un orologio in moto scorre più lentamente di quello di un orologio identico, ma fermo rispetto all’osservatore. Tutti questi effetti dipendono dal rapporto fra la velocità dell’osservatore e degli oggetti osservati e la velocità c della luce. Se riuscissimo ad accelerare un oggetto a velocità c l’oggetto sarebbe appiattito fino ad avere spessore nullo. E oltre? Einstein con la sua celebre formula (E=MC2) ha dimostrato che nulla può andare a velocità superiore a quella della luce.
Einstein era e rimase, anche dopo le sue scoperte, un fisico classico e come tale riteneva intoccabili i principi di conservazione della quantità di moto e dell’energia totale (“Dio parla attraverso i principi di conservazione”). Accettando senza condizioni le trasformazioni di Lorentz, si giunge a stabilire che la massa di un oggetto varia a seconda che sia fermo o in moto, rispetto all’osservatore. Quindi si deve introdurre una terza forma di energia meccanica, oltre a quella cinetica e potenziale, detta energia di massa, E=MC2 appunto. A causa dell’equivalenza di energia e massa, l’energia che un oggetto ha in conseguenza del suo movimento andrà a sommarsi alla sua massa. Questo fatto renderà più difficile andare ad aumentare la velocità. Questo effetto diventa realmente significativo per oggetti che si muovono a velocità prossime a quelle della luce. All’approssimarsi di un oggetto alla velocità della luce, la sua massa cresce sempre più rapidamente, cosicché per accrescere la sua velocità si richiederà una quantità di energia sempre maggiore. Nessun oggetto potrà mai essere accelerato fino alla velocità della luce, perché a quella velocità la sua massa diventerebbe infinita e quindi per fargli raggiungere tale velocità si richiederebbe una quantità di energia infinita.