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27 Gennaio 2019Confronto tra Il principe e i Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio
27 Gennaio 2019Descartes è famoso per la frase “Cogito, ergo sum” (Penso, dunque sono), che esprime il suo dubbio metodico e la sua ricerca di certezza attraverso il dubbio.
Cartesio ha cercato di costruire una base filosofica solida basata sulla ragione e sull’evidenza, cercando di eliminare ogni dubbio fino a trovare qualcosa di indubitabile.
Nel campo della matematica, Descartes ha reso celebre il sistema di coordinate cartesiane, che è stato fondamentale per lo sviluppo della geometria analitica.
Il suo lavoro ha influenzato molte discipline, dalla filosofia alla scienza, aprendo la strada al razionalismo e alla metodologia scientifica.
Biografia
René Descartes visse per 54 anni, dal 31 marzo 1596 all’ 11 febbraio 1650, prima nella città di La Haye, situata nel sud della Francia, successivamente si trasferì in una città chiamata La Flèche per frequentare il college. Morì di polmonite in Svezia.
CARTESIO
Spesso si abusa della nozione di “crisi” e dell’idea della transizione tra epoche, ma nel caso di Cartesio questi concetti colgono un’indubbia realtà. Egli vive un periodo di profonde trasformazioni, e soprattutto è interprete dei problemi della sua cultura, contribuendo in modo decisivo alla nascita di nuove forme di organizzazione del sapere. La vita e il pensiero di Cartesio sono stati un percorso di trasformazione che egli ha compiuto dando ordine e senso a quanto avveniva a lui e intorno a lui. Nel Discorso sul metodo (1637) descrive la sua storia personale come esemplare: egli vuole rappresentare la propria vita come una “storia” o una “favola” dalla quale trarre esempi istruttivi. E molto istruttiva è, in effetti, la sua vicenda.
Cartesio è sicuramente tra i filosofi più importanti, tanto che I filosofi e matematici britannici Alfred Whitehead (1861-1947) e Bertrand Russell (1872-1970), che hanno lavorato insieme alla pubblicazione dei Principia Mathematica, Whitehead ha detto che «la storia della filosofia moderna è la storia dello sviluppo del cartesianesimo nel suo doppio aspetto di idealismo e di meccanicismo». Qui è evidente il riferimento alla res cogitans per quanto concerne l’idealismo e alla res extensa per quanto riguarda il meccanicismo. Russell ha definito Cartesio «il fondatore della filosofia moderna […]. È il primo pensatore d’alta capacità filosofica, il cui modo di vedere sia profondamente influenzato dalla nuova fisica e dalla nuova astronomia. È pur vero che egli conserva molto di scolastico, tuttavia non accetta le fondamenta poste dai suoi predecessori, e si sforza di costruire ex novo un edificio filosofico completo». Edmund Husserl (1859-1938), il padre del metodo fenomenologico, ha scritto: «Nessun filosofo del passato ha contribuito in modo così decisivo al senso della fenomenologia come il maggior pensatore francese, Renato Cartesio. È lui che la fenomenologia deve onorare come suo patriarca».
VITA
Cartesio nasce a La Haye (in Turenna) nel 1596, studia presso i gesuiti e nel 1616 si laurea in diritto. Due anni dopo si arruola nell’esercito dei Paesi Bassi guidato da Maurizio di Nassau, di religione protestante e combatte la guerra dei Trent’anni. Tra il 1620 e il 1625, abbandonata la vita militare, compie numerosi viaggi soprattutto in Italia e in Francia. Si stabilisce quindi a Parigi, dove frequenta gli ambienti letterari e mondani e i circoli scientifici. Nel 1628 decide di gettare le basi di una nuova filosofia. Nel 1647 inizia una corrispondenza con la regina Cristina di Svezia, assai interessata alle sue idee, e nel 1649 si lascia convincere a intraprendere un viaggio in Svezia per darle lezioni. Proprio a Stoccolma muore per un’infreddatura nel 1650.
CARATTERISTICHE GENERALI
La metafisica di Cartesio è la metafisica del soggetto, al centro dei suoi ragionamenti filosofici c’è l’uomo travolto dal dubbio. Il discorsi filosofico cartesiano prende le mosse da tutte quelle certezze metafisiche considerata insindacabili (Dio, anima, mondo esterno…) che, attraverso il metodo del dubbio, vengono analizzate e messe in discussione per poi arrivare (i risultati non sono così originali) alla loro conferma. Cartesio non è uno scettico, usa solo il dubbio per giungere a certezze indubitabili. Cartesio è infatti profondamente convinto che ogni uomo possa raggiungere l’evidenza, la certezza assoluta, quindi ribadirà l’esistenza di Dio, dell’anima e del mondo esterno creando una metafisica del soggetto forte capace di superare ogni dubbio.
Dall’età di undici anni Cartesio è allievo del Collegio gesuita di La Flèche, una delle più rinomate istituzioni educative in Francia. Fa esperienza così del sistema culturale che stava iniziando a entrare in crisi sia per il peso dirompente che andava assumendo la scienza matematica della natura sia per la crescente sensazione di inaffidabilità delle fonti tradizionali di certezza in campo scientifico, religioso, morale e politico. La filosofia di Cartesio nasce dal senso di smarrimento che prova una volta concluso sugli studi, scrive nella Parte I Discorso sul metodo: “mi si era fatto credere che con lo studio avrei acquistato una conoscenza chiara e sicura di tutto ciò ch’è utile alla vita, avevo un desiderio grandissimo d’imparare. Ma, appena terminato quel corso di studi, dopo il quale si è di solito annoverati fra i dotti, mutai interamente opinione: poiché mi trovai intricato in tanti dubbi ed errori, che mi sembrava di non aver cavato altro profitto, cercando di istruirmi, se non questo: di avere scoperto sempre più la mia ignoranza.”. Cartesio incarna perfettamente la crisi della scolastica con la conseguente perdita di certezze, così terminati gli studi dà aspri giudizi sulle discipline studiate. Il rischio dello studio della storia è quello di perdere di vista il presente “quando si spende molto tempo nei viaggi, si diventa alla fine stranieri in casa propria; e quando si è troppo curiosi delle cose del passato, si rimane di solito assai ignoranti di quelle del presente.”; lo studio delle regole formali dell’eloquenza e della poesia invece non rende poeti: “Avevo grande stima dell’eloquenza, ed ero innamorato della poesia; ma pensavo che l’una e l’altra fossero doni dell’ingegno, piuttosto che frutto dello studio. Chi ha il raziocinio più robusto e sa mettere meglio in ordine i propri pensieri per renderli più chiari e intelligibili, può sempre, meglio di tutti, imporre le sue tesi, anche se parla soltanto il basso bretone e non ha mai imparato la retorica. E quelli che son capaci delle invenzioni più piacevoli, e sanno esprimerle con maggior ornamento e dolcezza, continuano a essere i migliori poeti, anche se ignorano l’arte poetica”. Non salva dalla critica né la matematica né la teologia: “Mi piacevano soprattutto le matematiche, per la certezza e l’evidenza delle loro ragioni; ma non ne avevo ancora riconosciuto il vero uso e, pensando che servissero solo alle arti meccaniche, mi stupivo del fatto che, pur essendo le loro fondamenta così sicure e solide, su di esse non si fosse costruito nulla di più alto […] Riverivo la nostra teologia e aspiravo come chiunque altro a guadagnare il cielo; ma avendo appreso come cosa assai certa che questa strada è aperta ai più ignoranti come ai più dotti, e che le verità rivelate che ci conducono fino ad esso sono al di sopra della nostra intelligenza, non avrei mai osato sottoporle alla debolezza dei miei ragionamenti, e pensavo che per intraprenderne e condurre a termine l’esame era necessario ottenere una qualche straordinaria assistenza dal cielo ed essere più che uomo.”. Infine sottolinea l’incapacità della filosofia di arrivare a una conclusione certa: “Non dirò nulla della filosofia, se non che, vedendola coltivata per molti secoli dagli ingegni più alti senza tuttavia che vi si trovi qualcosa che non sia oggetto di dispute e di cui perciò non si dubiti”
Conclude quindi Cartesio: “Ecco perché, appena l’età mi permise di uscire dalla tutela dei miei precettori, abbandonai interamente lo studio, e risolsi di non cercare altra scienza fuori di quella che potevo trovare in me stesso o nel gran libro del mondo”.
Dopo gli studi, proprio in seguito al senso di smarrimento in cui si trova, Cartesio cerca un metodo che possa permettere di distinguere il vero dal falso con assoluta certezza e, per elaborarlo, ha bisogno di regole chiare e indiscutibile che prende dalla matematica. IN questo senso Cartesio è un razionalista [nella filosofia tra ‘600 e ‘700 il termine razionalismo è usato per indicare una teoria secondo la quale veniva riconosciuto alla ragione il “possesso” a priori, cioè senza l’intervento dell’esperienza, di alcune conoscenze fondamentali, di alcuni principi primi evidenti ed indimostrabili; il termine empirismo invece è usato per indicare una teoria secondo la quale tutte le conoscenze, anche quelle più astratte e indimostrabili, derivano comunque dall’esperienza e la ragione pertanto non possiede nulla di “proprio”, non possiede le “idee innate”, come venivano chiamate in quell’epoca.] la matematica, in quanto scienza astratta della ragione, possiede quel metodo rigoroso e certo a cui ispirarsi anche negli altri ambiti conoscitivi. L’obiettivo di Cartesio è dunque quello di rielaborare il metodo specifico della matematica per renderlo applicabile ed estensibile a tutti gli ambiti. Così individua quattro regole fondamentali (implicitamente contenute già nella matematica) alla base non solo di ogni ricerca scientifica ma anche del discorso filosofico:
- EVIDENZA. “La prima regola era di non accettare mai nulla per vero, senza conoscerlo evidentemente come tale: cioè di evitare scrupolosamente la precipitazione e la prevenzione; e di non comprendere nei miei giudizi niente più di quanto si fosse presentato alla mia ragione tanto chiaramente e distintamente da non lasciarmi nessuna occasione di dubitarne.” è la regola più importante!
- ANALISI: “La seconda, di dividere ogni problema preso in esame in tante parti quanto fosse possibile e richiesto per risolverlo più agevolmente.” Una volta scomposto il problema va applicata a ogni parte la regola dell’evidenza, solo così si possono scartare tutti quegli aspetti che non sono chiari e distinti.
- SINTESI: “La terza, di condurre ordinatamente i miei pensieri cominciando dalle cose più semplici e più facili a conoscersi, per salire a poco a poco, come per gradi, sino alla conoscenza delle più complesse; supponendo altresì un ordine tra quelle che non si precedono naturalmente l’un l’altra”. Le parti del problema che hanno superato la regola dell’evidenza vanno ricomposte e va data una soluzione.
- ENUMERAZIONE: “ E l’ultima, di fare in tutti i casi enumerazioni tanto perfette e rassegne tanto complete, da essere sicuro di non omettere nulla.”
Si tratta di procedimenti razionali desunti dalla geometria euclidea e basati sul criterio dell’evidenza e della certezza, requisiti complementari in quanto l’una implica necessariamente l’altra. L’evidenza a sua volta, per essere tale, deve possedere le due proprietà della chiarezza e della distinzione: solo ciò che è assolutamente chiaro e distinto alla ragione può considerarsi evidente, quindi vero, e essere utilizzato in un procedimento scientifico. Dunque in generale, secondo Cartesio, tutto ciò che risulta evidente è al contempo vero, “le cose le quali noi concepiamo in modo del tutto chiaro e distinto sono tutte vere”. L’evidenza è quindi la prima regola della ragione umana e su di essa si fondava l’autorità della ragione stessa.
L’esperienza vissuta da Cartesio è quella di un uso autonomo della ragione. Essa, però, non si libera di tutto ciò che ostacola tale uso senza prima avere delineato un nuovo progetto di conoscenza: la ragione naturale ha bisogno di un metodo per non procedere secondo una «curiosità cieca»; senza di esso il rischio è che «con studi disordinati […] l’intelligenza [sia] accecata». Così, all’esperienza del dubbio si unisce per molti anni una condotta che consente di cercare senza aver ancora trovato. La morale provvisoria che Cartesio descrive è di nuovo il racconto di un’esperienza e di un metodo per poter ricercare nuove certezze senza muoversi nel vuoto: prima di cominciare a ricostruire la casa in cui si abita bisogna sì abbatterla, ma averne intanto «un’altra dove poter soggiornare comodamente per tutto il tempo che durano i lavori».
La morale provvisoria consiste di poche massime:
- ubbidire alle leggi e ai costumi del proprio Paese, conservando la religione in cui si è stati educati – seguendo per il resto le opinioni più moderate accolte da coloro con cui si vive;
- essere risoluti nelle proprie azioni, seguendo le opinioni che si è deciso di accogliere, senza oscillare;
- cercare di vincere se stessi piuttosto che la fortuna e cambiare i desideri, anziché l’ordine del mondo.
Queste massime esprimono più una storia che una teoria e adottandole Cartesio mantiene la libertà di abbandonare qualunque opinione. La convinzione della presenza della ragione lo induceva infatti a non doversi «contentare, neppure per un istante, delle opinioni altrui». Anzi, trattandosi di una razionalità condivisa, essa gli garantisce un fondamento abbastanza sicuro per le sue scelte e la possibilità di far appello a un identico «buon senso» degli altri. E le stesse regole della morale provvisoria sono rivedibili: la morale provvisoria non sospende l’autonomia della ragione, ma ne è una provvisoria espressione.
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