La questione romana
6 Marzo 2023Pietà, Pinacoteca Vaticana, Giovanni Bellini
9 Marzo 2023San Gerolamo della Pinacoteca Vaticana è uno dei quadri più drammatici e sofferti dell’artista toscano, giunto a noi incompiuto in modo rocambolesco.
Fu in un periodo difficile della sua vita, poco prima della partenza per Milano nel 1482, che Leonardo lavorò al suo dipinto più tragico e all’ennesimo destinato a rimanere incompiuto. Era un uomo spesso soggetto ad attacchi di malinconia; le note nel suo diario mostrano quanto si sentisse giù in quel momento della sua vita. Commenti trovati a margine del Codice Atlantico: “Perché soffri così? Quanto più grande è, tanto maggiore cresce la capacità di soffrire. Credevo di imparare a vivere; imparavo solo a morire”.
Il volto implorante di Girolamo è di tre quarti; è stravolto dal digiuno e dalla penitenza; allo stesso tempo, i suoi occhi mostrano determinazione e forza di volontà. Nella sua mano destra tesa stringe una roccia, il penitente sta per colpirsi il petto. A rendere questo ancora più drammatico è l’ambientazione del soggetto sullo sfondo scuro di una grotta. Da un lato, un altro dei paesaggi rupestri di Leonardo si erge nella nebbia.
San Gerolamo alla Pinacoteca Vaticana è una meravigliosa rappresentazione pittorica del tumulto emotivo dell’artista durante quel periodo. È anche degno di nota per quanto bene dimostra la conoscenza anatomica di Leonardo. I muscoli e le ossa del santo sono ricoperti da un sottilissimo strato di pelle, con i muscoli delle guance e del collo accuratamente disegnati.
La storia di questo dipinto è un po’ incredibile, ma interessante. Originariamente proprietà dei papi, passò nelle mani di Angelica Kaufmann. Presumibilmente è stato poi smarrito e qualcuno l’ha tagliato in due pezzi. Una sezione è stata trasformata in un piano di tavolo mentre un calzolaio ha utilizzato l’altra parte per la parte superiore di uno sgabello. Il cardinale Joseph Fesch riconobbe il dipinto nel 1820; si presume che avesse già visto un disegno dell’opera da qualche parte. Lo acquistò dal rigattiere romano sperando di ritrovare il segmento mancante, cosa che riuscì a fare diversi anni dopo. Il dipinto è stato restaurato anche se sono ancora visibili evidenti tracce della sezione ritagliata. Gli eredi dello zio di Napoleone Bonaparte (il cardinale Fesch) vendettero in seguito il fondale ocra per venticinque franchi a papa Pio IX; fu poi rimessa alle cure dei Musei Vaticani, dove si trova ancora oggi.
Questo è uno dei pochissimi dipinti attribuiti a Leonardo su cui non ci sono mai stati dubbi. Anche se non sono stati trovati riferimenti contemporanei all’opera, essa è considerata inequivocabilmente leonardiana, per i suoi metodi e la sua struttura pittorica; è evidente anche la somiglianza con l’Adorazione dei Magi.