Trieste, come Milano, abbia il suo “Binario 21”
27 Gennaio 2019E’ bello vivere liberi
27 Gennaio 2019Un libro raccoglie le immagini e le storie della toponomastica al femminile
di Arianna Boiria – Il Piccolo di Trieste – 5 luglio 2016
Da sinistra: Gianna Belle (già collaboratrice di Ondina), Laura Famulari Assessore Comunale, Maria Teresa Bassa Poropat Presidente della Provincia di Trieste, Fabiana Martini, Vicesindaco di Trieste, Anna Di Gianantonio, biografa di Ondina, Antonella Grim, Assessore Comunale.
Strade dal nome di donna fotografate da donne. Strade intitolate a Cecilia de Rittmeyer, Sarah Davis, Kathleen Foreman Casali, ricche, colte, cosmopolite, ma soprattutto benefattrici, attente agli ultimi di Trieste, cui hanno lasciato i loro averi. Strade che ricordano semplici artigiane e commercianti, come la fabra” Maria Toros che, alla morte del marito, intorno al 1850, continuò a lavorare il ferro nella bottega vicino piazza Goldoni. O la venderigola” di frutta e verdura proveniente da Pirano, cui è dedicata la Piranella” sul colle di San Giusto, via minuscola ma coriacea, capace di resistere agli attacchi della toponomastica maschile, indignata per lomaggio importuno a una femminetta”. Strade di donne partigiane, Martina Berneti>, la prima slovena a ricevere questonore e proprio nel suo rione, San Giacomo, Ondina Peteani e Alma Vivoda, che si sono sacrificate per la libertà di tutti.
O, donne che al lavoro hanno sacrificato tutto, gioventù e affetti, come Marianna Di Domenico, morta nel 2004 sotto uninscatolatrice del pastificio Zara, dove intervenì, in un beffardo gioco del destino, il marito carabiniere. E’ una contabilità perdente quella della toponomastica al femminile: 43 strade femmine”, tra Trieste e Muggia, oltre 700 quelle maschie”. Un abisso, nonostante laccelerata nelle intitolazioni degli ultimi sette anni, che ha rinforzato la mappa” di genere con, tra le altre, l’attrice Ave Ninchi, la cantante Fedora Barbieri, la scrittrice Marisa Madieri, la pittrice Leonor Fini, la cestista Chiara Longo, le fotografe Wulz, la studentessa infoibata Norma Cossetto. E’ stata quasi una sfida, allora, quella dell’associazione Fotografaredonna, che, con le sue professioniste, appassionate e neofite, ha letteralmente percorso tutte le strade femminili di Trieste e Muggia, interpretandole con l’obbiettivo. Questo lungo lavoro, preceduto da workshop di approfondimento storico, sulla foto contemporanea e sull’utilizzo del photoshop, è sfociato nel libro #Fuori dove la parità non esiste” (La Mongolfiera libri, pagg. 176), firmato dalla presidente del sodalizio, Marisa Ulcigrai e da una delle fondatrici, Sandra Grego, con il coinvolgimento di molte storiche per le schede informative sulle protagoniste. «Non una guida turistica», precisa subito Ulcigrai. Piuttosto un racconto per immagini, che, di volta in volta, si fa documentazione, suggestione, elaborazione, secondo la sensibilità e le preferenze di ciascuna fotografa. A loro si è aggiunta Paola Di Bello, professionista e docente, con la sua “lettura” di via dellAnnunziata e di via Madonnina in una sequenza ininterrotta di ritratti, quasi cinematografica, della gente che ci passa. In principio furono Madonna e sante, tra Settecento e Ottocento. La prima strada databile” è via Santa Teresa, anno 1887, mentre lintitol’azione sospesa” è quella alla scrittrice Marica Nadli?ek, approvata dalla giunta comunale di Trieste nel novembre 2015 e in attesa che sia individuata un’area verde nella zona di Strada di Guardiella. L’approccio al lavoro di Fotografaredonna è partito dalla cronologia ricostruibile, poi si è sviluppato per affinità di temi. Via delle Monache, via Santa Maria Maggiore, della Madonnina, dellAnnunziata, le strade del culto mariano, tra scorci di paesaggio e sprazzi di spiritualità. In via della Madonna del mare i commercianti che resistono, nonostante la pedonalizzazione promessa e mai arrivata. Vicolo Santa Chiara, abbruttito dai graffiti, via Santa Caterina, colorata dalle stoffe in saldo dellEmporio Istriano. Anche l’800 è secolo di intitolazioni spirituali, prima che il 900 cominci ad aprirsi alle donne, omaggiando pubblicamente le benefattrici. Ecco, allora, nel libro, le donne al lavoro nel Mercato coperto, edificio donato da Sarah Davis per riparare le venderigole”, ecco i giovani ipovedenti che imparano un mestiere all’istituto Rittmeyer, dono della baronessa Cécile. Via Margherita nella foto è una geometria di cielo, perimetrata da cemento, viadotto e un ritaglio di verde. Lei era lanconetana Margherita Maiocchi, sposa di Bartolomeo Ravasini di Momiano, morta nel 1880. Non ne sappiamo nulla, non abbiamo una sua foto, non fece nulla di eclatante, ma fu amata e ricordata: il terreno per una nuova strada lo donò all’amministrazione il figlio Angelo, purché portasse il nome della mamma. Anche la rimessa dei tram della Società Triestina Tramway si chiamò Margherita” e da lì, la sera del 1° ottobre 1990, uscirono tre mezzi con illuminazione interna, inaugurando, in qualche modo nel segno di una donna, la prima linea di tram elettrici. Via Rita Rosani e via Laura (e Silvano) Petracco, partigiane: in una collettiva di scatti, Fotografaredonna le racconta attraverso il verde, i fiori, gli alberi, la libertà di spaziare con lo sguardo. Foto evocative per le artiste e le letterate: giardino Fedora Barbieri, col rosso denso di un sipario che cala sul palcoscenico, giardino Leonor Fini, attraversato dalla silhouette della pittrice di schiena, disegnata nel buio verso un punto luce, giardino Marisa Madieri, la scrittrice col brevetto di volo, parole e un pezzo di azzurro. Giardino Chiara Longo, cestista, insegnante, mamma, morta a quarantaquattro anni: un canestro di verde stagliato contro il cielo, il senso dello slancio, la proiezione verticale. Tecniche, interpretazioni, colori diversi. Sono tanti gli sguardi di fotografe donne che raccontano le strade delle donne. Strade in salita, come Erta Sant’Anna, che una madre percorre con la figlioletta, a tratti portandola in braccio, a tratti lasciandola libera di provare a camminare. Un’unica foto di cronaca, quella che cristallizza lintitol’azione a Marianna Di Domenico, l’operaia morta in fabbrica. In tutti i sensi, foto simbolo di un lungo cammino da compiere.