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27 Gennaio 2019Archivio 2009 su Ondina Peteani
27 Gennaio 2019Laurea honoris causa a Liliana Segre
27 novembre 2008 Aula Magna di Ateneo Università degli Studi di Trieste
Indirizzo internet della registrazione audiovisiva integrale:
il link
Cerimonia solenne conferimento della Laurea Honoris Causa a Liliana Segre (con pagina web di introduzione)
Prolusione: Rettore Prof. Francesco Peroni
Motivazione: Preside della Facoltà di Giurisprudenza, Prof. Paolo Giangaspero
Laudatio: Prof. Mauro Giuseppe Barberis
Lectio Magistralis: Liliana Segre
L’ Ateneo triestino ha solennemente conferito Laurea Honoris Causa a Liliana Segre, sopravvissuta di Auschwitz , scegliendo di celebrare attraverso la Sua non paragonabile potenza testimoniale il famigerato settantesimo anniversario della promulga delle “Leggi razziali”, urlate per la prima volta nel Paese dal dittatore il 18 settembre ’38 in una Piazza dell’Unità d’Italia, a Trieste, empia di aberrante gioia di popolo:
indirizzo web:
https://www.youtube.com/watch?v=3-mNqP7AT6g
Liliana Segre nella sua Lectio Magistralis ha scardinato le coscienze, ha messo i cuori in tumulto.
Con rovente ma essenziale pacatezza ha accompagnato il foltissimo pubblico assiepato nell’Aula Magna in quell’orrore d’inferno in cui venne scaraventata ancor bambina. Colpevole ha pronunciato. Colpevole di essere nata Ebrea. Quei sui – perché – ripetuti in asciutta e raggelante sequenza hanno rigato il volto dei più di amarissime lacrime.
Chiudendo la Laudatio iniziata con le parole di Primo Levi, il Prof. Barberis, ha scandito che non è l’Università di Trieste a onorare Liliana Segre; è Liliana Segre a onorare l’Università di Trieste.
Si ritiene, a maggior ragione del pericolosissimo momento politico-sociale in cui la discriminazione e la violenza dell’indifferenza ritornano pericolosamente ad insidiare e ad attechire, sia doverosamente giusto informare Tutti che un fronte di coerenza Democratica non accetta oltre l’imbarbarimento dei rapporti, della vita, delle relazioni intersociali e della politica, intenzionalmente portate a precipitare dalla dottrina della rimozione e della negazione.
Un Rettore coraggiosamente coerente ha scelto la simbologia più lacerante per ricordare cosa seguì all’applicazione di quel Legiferare tirannico e vergognosamente sottovalutato, plaudito e condiviso di allora.
Diffondiamo questo toccante documento di Coscienza, Cultura e Libertà.
Gianni Peteani
Presidente comitato permanente Ondina Peteani
prima staffetta partigiana d’Italia – deportata Auschwitz n. 81672
Laudatio del Prof. Mauro Barberis
“Gli sportelli erano stati chiusi subito, ma il treno non si mosse che a sera. Avevamo appreso con sollievo la nostra destinazione, Auschwitz: un nome privo di significato, allora e per noi; ma doveva pur corrispondere a un luogo di questa terra”. (Primo Levi – “Se questo è un uomo”)
Sono parole di Primo Levi, tratte da Se questo è un uomo (1947): e ci introducono subito a quella dimensione dell’assurdo, prima ancora che dell’orrore, che pervade tutta la memorialistica della Shoah. Queste parole ci fanno intuire le ragioni per cui l’editore Einaudi era restio a pubblicare il libro: la voglia di dimenticare, in quegli anni, coinvolgeva tutti. Coloro che avevano saputo, e che magari si erano voltati dall’altra parte, non volevano ricordare la loro stessa complicità o anche soltanto la loro ignavia, la loro indifferenza morale. Quelli che non avevano saputo, a loro volta, neppure riuscivano a capacitarsi dell’enormità dei crimini commessi; non a caso i sopravvissuti che tornavano alle rispettive comunità spesso non riuscivano a farsi credere, venivano presi per pazzi. Le stesse vittime, in quegli anni, cercavano soprattutto di non disturbare, di fare accettare la propria ingombrante presenza, come vedremo fra un attimo.
Eppure, con il passare del tempo, sui campi di sterminio, e su Auschwitz in particolare, si è accumulata una letteratura immensa, divisibile in almeno tre grandi generi: anzitutto la memorialistica, ossia i diari dei sopravvissuti; poi la narrativa, i testi misti di storia e dinvenzione; infine gli studi sociologici e storici, compresi i libelli revisionisti e negazionisti, che forse andrebbero ascritti alla categoria precedente. L’opera di Liliana Segre, cui è dedicata questa Laudatio, appartiene evidentemente al primo genere, la memorialistica: ma si tratta di una testimonianza essenzialmente orale, non scritta, fatta di ricordi formulati a viva voce, nel corso di lezioni o di interviste, e solo poi, eventualmente, registrati sulla carta. Schermendosi, Liliana Segre dice di non essere capace di scrivere: ma forse la ragione è un’altra.
Il fatto è che anche lei ha cercato di dimenticare; per quasi mezzo secolo, dal ritorno a Milano, all’età di quindici anni, sino all’inizio dei Novanta del secolo scorso, quando di anni ne aveva sessanta, Liliana Segre ha tentato di vivere come chiunque altro, facendo la moglie, la madre, la nonna. A quel punto della sua vita, però, si è improvvisamente avvicinato il tempo in cui tutti i testimoni sarebbero morti, e la storia della Shoah avrebbe rischiato di perdersi. Così, da quasi vent’anni, ogni settimana, una volta alla settimana, Liliana Segre esce di casa e si chiude alle spalle la porta della vita quotidiana per riaprire la porta dell’incubo. Da quasi vent’anni Liliana Segre racconta nelle scuole, ai ragazzi e ai loro insegnanti, la sua storia sua e la storia di tutti quelli che non ce l’hanno fatta: assumendosi tutti i rischi che questo comporta, la possibilità di incontrare ignoranza, stupidità, indifferenza.
Le sue lezioni nelle scuole, le sue conferenze consegnate alla scrittura, non hanno l’esattezza quasi scientifica del libro di Primo Levi, né l’acutezza filosofica de La banalità del male (1963) di Hannah Arendt, né la straordinaria erudizione di Face à lextrème (1991) di Tzvetan Todorov: ma presentano un’altra nota, più personale e più commovente. Liliana Segre è una persona come tutti noi, che non ha mai fatto nulla per apparire migliore o peggiore di altri; era una qualunque ragazza di tredici anni quando ha conosciuto il lager, e sa benissimo di essersi salvata solo per un concorso quasi irripetibile di circostanze: essenzialmente per essere stata impiegata in lavori al chiuso nel terribile inverno polacco, e per un attaccamento alla vita non comune neppure in una tredicenne. Quello che l’ha tormentata di più, negli anni di silenzio, è stato proprio di non essersi ribellata, ma semplicemente di avercela fatta: il rimorso di
essere sopravvissuta, senza neppure voltarsi a salutare le compagne che le cadevano accanto.
Se c’è un bersaglio polemico nelle sue testimonianze, non sono i criminali che hanno progettato e realizzato l’olocausto, e neppure il popolo tedesco in genere, I volenterosi carnefici di Hitler (1997), come li chiama alla rinfusa Daniel Goldhagen. Il suo bersaglio sono quelli che sapevano o che non hanno voluto sapere; quelli che oggi dicono basta, degli ebrei si è già parlato anche troppo, tutto questo è certo accaduto ma oggi non potrebbe più accadere. Quelli che non dicono, ma pensano, che questa cosa enorme potesse accadere solo nella Germania nazista: come se cose simili non fossero accadute prima e non continuassero ad avvenire anche dopo, in giro per il mondo; come se la Germania nazista non fosse stata uno dei paesi più sviluppati del Novecento, ricco ad esempio di filosofi del diritto, la materia che insegno, ma dei quali solo tre, Gustav Radbruch, Erich Kaufmann e Hans Kelsen, lasciarono l’insegnamento nell’università
nazificata; come se noi italiani, qui e oggi, fossimo troppo buoni, o troppo culturalmente evoluti, per correre rischi del genere.
Ho ascoltato anch’io, su You Tube, il discorso tenuto a Trieste da Benito Mussolini nel 1938, giusto settantanni fa, gli stessi anni della fondazione della nostra Facoltà. Il Duce, davanti a una folla entusiasta, rassicurò tutti quegli ebrei che avevano onorato la Patria: non avete nulla da temere, disse. L’ho ascoltato anch’io: ma non mi ha convertito al luogo comune degli italiani brava gente. Preferisco credere a Liliana Segre quando, nella testimonianza raccolta da Daniela Padoan in Come una rana d’inverno (2004), ricorda i complici italiani dello sterminio. Le ferrovie: «i treni della deportazione avevano la precedenza assoluta e sono partiti per quasi due anni, in continuazione, senza che nessun funzionario macchinista scambista si sia opposto». Gli amministratori: «Questori e prefetti hanno passato gli elenchi degli ebrei ai repubblichini e agli occupanti nazisti. Ci hanno cercato casa per casa». Il piccolo
amministratore di condominio che subito dopo la promulgazione delle leggi razziali si affrettava a scrivere: «Lebreo Giuseppe Segre non ha più alcun diritto perché la proprietà è stata confiscata».
Ecco, quello che Liliana Segre ci ha insegnato è a liberarci di tutte le illusioni, le ipocrisie, le consolazioni. Si vorrebbe, nelle sue memorie, trovare un gesto eroico da parte delle vittime, un attimo di resipiscenza da parte dei carnefici: ma si trova, invece, solo la verità, l’uomo com’è, restituito alla sua dimensione naturale, elementare, animale. Nei ricordi di Liliana Segre, in particolare, sono importanti i dettagli: la storia delle scarpe spaiate, ad esempio. Ai deportati, si sa, veniva tolto tutto, anche le scarpe; ma gliene venivano restituite due, spaiate, con le quali dovevano camminare nella neve, ulcerandosi sempre più i piedi e trasformando ogni loro spostamento in quel balletto di larve che aveva colpito Primo Levi al suo arrivo ad Auschwitz. Ecco, io riesco ancora a immaginare l’uomo che ha progettato i campi di sterminio; ma confesso di non riuscire a immaginarmi un essere tanto abbietto da aver avuto quest’idea delle scarpe spaiate.
Avete già sentito dalla voce del Rettore e del Preside le ragioni del conferimento della laurea honoris causa a Liliana Segre. A differenza che in altri casi, qui trovare motivazioni è facile: difficile, semmai, è trovare le motivazioni giuste. Qui non centrano la solidarietà umana e neppure il razzismo che rialza la testa, anche nelle forme del revisionismo o del negazionismo. In realtà, l’opera di Liliana Segre ci ricorda la necessità e i rischi del diritto, del nostro vecchio mestiere di giuristi. Theodor Adorno ha detto che non si possono più scrivere poesie dopo Auschwitz; ma è anche vero che dopo Auschwitz non si può più fare il giurista come lo si faceva prima. Dopo Auschwitz, in particolare, non si può più dire che il diritto dev’essere comunque obbedito: come si è sempre detto, in Occidente, almeno a partire dalla prosopopea delle leggi nel Critone platonico. Signora Segre, è per averci ricordato tutto questo che oggi
l’Università di Trieste Le conferisce la laurea honoris causa. Ma non è l’Università di Trieste a onorare Liliana Segre; è Liliana Segre a onorare l’Università di Trieste”.
Comunicato stampa precedente:
LA FACOLTA’ DI GIURISPRUDENZA FESTEGGIA I SUOI 70 ANNI:
DOPPIO EVENTO DOMANI IN AULA MAGNA
Laurea honoris causa a Liliana Segre
(che parlerà delle leggi razziali del 1938)
e convegno su discriminazione e tecniche di tutela
Giurisprudenza celebra i 70 anni dalla propria istituzione,
seconda tra le facoltà dellAteneo triestino, con due
iniziative in programma domani, giovedì 27 novembre: la
laurea honoris causa a Liliana Segre e un convegno dedicato
ai temi della discriminazione e alle tecniche di tutela.
Deliberata dal Senato accademico più di un anno fa,
l’iniziativa è la testimonianza della capacità
dell’Università di Trieste di affrontare con
consapevolezza temi di rilevanza universale.
“I due momenti in cui la giornata sarà articolata –
spiega il preside della Facoltà, Paolo Giangaspero – sono
uniti da un profondo nesso di continuità, che si ricollega
anche alle celebrazioni dei sessant’anni dall’entrata in
vigore della Costituzione repubblicana e della Dichiarazione
universale dei Diritti umani dell’Onu, siglata a Parigi
nel 1948. Nel loro insieme, essi intendono infatti
costituire un’occasione di riflessione su un tema – quello
delle discriminazioni e degli strumenti elaborati dal
pensiero giuridico per farvi fronte – che continua ad
assumere un ruolo centrale nell’evoluzione degli
ordinamenti contemporanei”.
La giornata si aprirà alle 11, in Aula magna, con il
conferimento della laurea honoris causa a Liliana Segre che
affronterà il tema “Contro l’indifferenza. Le leggi
razziali del 1938 ed il silenzio del mondo”: una
cerimonia che si chiuderà con il concerto del pianista
Pierpaolo Levi il quale, presentato da Alessandro Carrieri,
eseguirà musiche composte nei lager nazisti.
Nata a Milano nel 1930, da famiglia ebraica laica, Liliana
Segre viene espulsa dalla scuola nel 1938, a causa delle
leggi razziali. Rinchiusa nelle carceri di Varese, Como e
Milano, da cui parte con destinazione Auschwitz-Birkenau,
all’arrivo è separata dal padre che non rivedrà più.
Oltre al padre, nei mesi successivi, saranno assassinati
nelle camere a gas di Auschwitz anche i nonni. Bambina
tredicenne, è segregata per un interminabile anno nel
lager, per poi essere trasferita in altri campi, da dove
sarà infine liberata solo il primo maggio del 1945.
Ritornata a Milano, riprende gli studi, conseguendo la
maturità classica.
Dopo quarantacinque anni di silenzio, a sessant’anni,
decide di testimoniare. Ad oggi, ha incontrato più di
centomila studenti. “Il riconoscimento che la Facoltà
ha ritenuto di tributare alla signora Segre in virtù della
sua preziosa attività di educazione, soprattutto rivolta
alle giovani generazioni, al culto della dignità
dell’uomo e al radicamento della consapevolezza dei
diritti fondamentali consacrati nella Costituzione –
sottolinea Giangaspero – ben si riallaccia infatti ai temi
che saranno trattati nel convegno, “Eguaglianza e
differenze. Principio di non discriminazione e tecniche di
tutela”, in programma dalle 15.30, sempre in Aula
magna, quando importanti giuristi, come Federico Sorrentino,
Aurelio Gentili, Maria Vittoria Ballestrero e Adelina
Adinolfi, si interrogheranno sui numerosi profili
problematici che la lotta contro le discriminazioni ancora
presenta, dimostrando come la garanzia dell’eguaglianza,
che costituisce una condizione essenziale per la realizzazione dei diritti e
dei principi fondamentali posti a base della Costituzione,
non può essere mai considerata un’acquisizione
definitiva, ma deve affrontare sfide sempre nuove e più
complesse”.
A fronteggiare queste sfide, del resto, la Facoltà di
Giurisprudenza ha saputo nel corso della sua storia dare
importanti contributi, attraverso l’opera dei molti grandi
giuristi che vi hanno insegnato. Tra questi, si deve
ricordare, nella celebrazione di questo anniversario, almeno
la figura di Vittorio Bachelet, che alla difesa dei valori e
dei principi di democrazia affermati dalla Costituzione
repubblicana ha sacrificato la stessa vita.
Indirizzo internet della registrazione audiovisiva integrale:
Cerimonia solenne conferimento della Laurea Honoris Causa a Liliana Segre