Nuove poesie di Rilke
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27 Ottobre 2022Nel 1922, Rilke compose Die Sonette an Orpheus, I sonetti su Orfeo, scritto in sole due settimane, ma una delle sue opere più famose.
Il mito di Orfeo aveva occupato Rilke due decenni prima della composizione dei sonetti, perché nel 1904 scrisse il suo poema Orfeo, Euridice, Hermes, che si occupa principalmente della figura di Euridice.
Rilke scrisse i primi 25 sonetti in soli quattro giorni, dal 2 al 5 febbraio 1922, e la seconda parte, questa volta di 29 sonetti, dopo quasi due settimane di lavoro sulle “Elegie di Duino”, dal 15 al 23 febbraio. A causa del fatto che i sonetti sono stati creati rapidamente contemporaneamente alla seconda parte delle “Elegie Duinesi”, compaiono più volte come supplemento e continuazione. Non sorprende quindi che vi siano numerosi passaggi paralleli complessi e tematici oltre che semantici, formali e ritmici.
I sonetti sono dedicati a Wera Ouckama Knoop, morta nel 1919 a soli 19 anni; vogliono essere la sua tomba, una sorta di requiem, che ricorda subito i requiem di Rilke già scritti, per Paula Modersohn Becker, Wolf Graf von Kalckreuth e i piccoli Peter Jaffé.
Fioretto tematico già annunciato nel titolo è il mito del cantore e suonatore di cetra greco Orfeo, figlio della musa Calliope e sposo della ninfa Euridice. Un giorno, Euridice viene molestata da Aristeo, scappa, ma muore per il morso di un serpente. Orfeo va quindi negli inferi per chiedere ad Ade, che ne è il dio, con l’aiuto delle sue melodie, il ritorno della sua sposa Euridice. Ade alla fine cede, ma pone la condizione che Orfeo debba andare davanti a Euridice nell’ascesa dagli inferi e non debba volgersi a lei durante l’ascesa. Ma quando Euridice gli tocca la mano durante la salita, Orfeo si gira verso di lei; l’amata deve quindi tornare negli inferi per sempre.
Orfeo è, più tardi, quando osserva di nascosto una festa tumultuosa nella sua terra natale, braccato dalle Menadi, seguaci del dio dell’ebbrezza Dioniso, e fatto a pezzi.
Orfeo appare fin dall’inizio come un dio che incanta sia gli animali che le persone con il suo canto. In quanto membro di entrambi i regni, quello dei vivi e quello dei morti, egli, come “messaggero permanente”, può anche superare la caducità a cui l’uomo non può sottrarsi.
La prima parte si conclude con la morte violenta di Orfeo e con la certezza che il suo canto sopravviverà – come San Francesco d’Assisi alla fine della terza parte del Libro delle ore, Stunden-buch.
La seconda parte dei sonetti riprende il motivo di Euridice in modo esplicito e, nel contesto della giustapposizione di essere e non essere, si conclude con l’espressione della ricerca del tutto e dell’essenza delle cose.
In questa poesia, e in altre poesie della prima parte del libro, Orfeo, il dio cantore (I 1-3, I 19, II 26) e signore del poeta (I 16), appare come il glorificatore e il glorificato confine tra due mondi: il regno dei vivi e quello dei morti – ed entra così in una certa analogia con lo stesso poeta, che, anch’esso a metà fra reale e ideale, si muove tra il regno vivente della poesia e quello della rappresentazione della poesia.
Sonetti a Orfeo, I, 3 |
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Testo originale |
Traduzione |
Analisi |
Ein Gott vermags. Wie aber, sag mir, soll ein Mann ihm folgen durch die schmale Leier? Sein Sinn ist Zwiespalt. An der Kreuzung zweier Herzwege steht kein Tempel für Apoll.Gesang, wie du ihn lehrst, ist nicht Begehr, nicht Werbung um ein endlich noch Erreichtes; Gesang ist Dasein. Für den Gott ein Leichtes. Wann aber sind wir? Und wann wendet eran unser Sein die Erde und die Sterne? Dies ists nicht, Jüngling, dass du liebst, wenn auch die Stimme dann den Mund dir aufstösst, – lernevergessen, dass du aufsangst. Das verrinnt. In Wahrheit singen ist ein andrer Hauch. Ein Hauch um nichts. Ein Wehn im Gott. Ein Wind. |
Un dio lo può. Ma un uomo, dimmi, come potrà seguirlo sulla lira impari? Discorde è il senso. Apollo non ha altari all’incrociarsi di due vie del cuore.Il canto che tu insegni non è brama, non è speranza che conduci a segno. Cantare è per te esistere. Un impegno facile al dio. Ma noi, noi quando siamo?Quando astri e terra il nostro essere tocca? O giovane, non basta, se la bocca anche ti trema di parole, ardire nell’impeto d’amore.Ecco, si è spento. In verità cantare è altro respiro. È un soffio in nulla. Un calmo alito. Un vento.Traduzione di Giaime Pintor |
Il dio può esistere e cantare, canta perché esiste, ma noi quando siamo? (risposta: dato che noi non siamo, non siamo nemmeno in armonia con noi stessi, e non possiamo cantare);
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