Decameron
27 Gennaio 2019Competenze
27 Gennaio 2019Le file di sedie sono tutte occupate, la classe è schierata nel grande salone, ragazzi e insegnanti riprendono fiato.
Si è conclusa da poco la visita guidata nei laboratori della Comunità Casa del Giovane di Pavia.
Ogni ragazzo ha potuto vedere e constatare quanto sia fondamentale per gli ospiti della comunità lo strumento lavorativo e la conseguente acquisizione di professionalità, nonché l’osservanza di alcune regole (non troppe) sufficienti a comprendere l’importanza di alcuni valori, quali il rispetto per l’altro accolto e accompagnato nel suo cammino di ricostruzione, di sganciamento da condotte criminogene, di dipendenza da sostanze, tutto ciò attraverso le risorse faticosamente acquisite e messe in campo.
Il dibattito prende il via dopo la visione di un video, in cui Don Enzo Boschetti fondatore della comunità, pochi mesi prima di morire, con la parola piegata dalla sua malattia, disegnava il dolore incontrato nei tanti giovani raccolti ai margini della strada, le tante vite bruciate nella frazione di uno sparo, e la fatica sopportata per i tanti giovani liberati dalla droga, dalla necessità muta di sopravvivere in ginocchio.
Nel salone è scomparso il brusio disturbante, ora c’è tensione dell’ascolto, c’è voglia di capire, di confrontarsi, di accorciare una distanza, e c’è pure chi ha voglia di fare il maledetto per forza: mi scusi, non sono d’accordo con lei, io fumo qualche canna, ma non sono certamente un tossicodipendente, credo che l’hascish non faccia male”.
Gli insegnanti mi guardano interdetti, i ragazzi fissano sbigottiti il loro compagno, alcuni.sono rapiti da tanto..coraggio.
La cosa che più colpisce non è la confessione pubblica come gesto di trasgressione, piuttosto è la smemoratezza per tutto ciò che pochi attimi prima hanno scopertoimpreparati totalmente.
In questa comunità ci sono duecento ospiti, tra giovani, adulti, donne, provate a chiedere ad ognuno di essi, come hanno cominciato a fare uso di sostanze. La maggioranza di loro vi risponderà: con uno spinello, sì, proprio con una canna, e tu ci stai dicendo che non fa male.
Non c’è una droga che non faccia male, tutte le droghe fanno male.
Avete sentito le storie anonime, blindate, di tante persone ridotte a numeri, che in questa comunità stanno ritrovando dignità e umanità .
Droghe leggere, droghe pesanti, quali allora le differenze, se a perdere sono sempre i più giovani, quelli che in leggerezza hanno iniziato e con pesantezza si sono perduti.
Non esistono le droghe leggere”, esistono le droghe”, e sono tutte da evitare.
I tempi mutano, noi cambiamo, e le droghe si misurano con le nostre debolezze, si ammodernano sulle nostre fragilità, cambiano abito mentale nelle nostre rese.
Così è stato venti anni fa per leroina-droga-protestataria, così è ai giorni nostri per la droga in pillole, quella che non consegna più gli uomini ai pugni dritti nello stomaco, ma rende i più giovani attori formidabili di storie inventate da scrittori invisibili.
Giovani rubati in corse folli contro il tempo che non basta mai, per poi rimanere inchiodati ai bordi di qualche rettilineo, o per buona sorte su qualche sedia a rotelle, fino a diventare vecchi per i rimorsi.
Il fumo delle sigarette brucia i polmoni fino a morire di cancro.
Il vino ubriaca fino a morire alcolisti.
Qualche spinello non brucia i polmoni, non rende alcolisti né drogati, ma in quel volo che fa ridere intontiti c’è la sonnolenza della ragione, c’è il via libera della stanchezza che non placca alla discesa, ma avventura senza attenzione, alla disavventura già prossima.
In questo salone si sta ripetendo un gioco antico, in cui si impone al sentire comune il valore del tollerare, tutto dentro una scrollata di spalle, piuttosto che la lotta che impegna duramente: tolleranza come possibilità di apertura a ciò che non è, che disamora verso ciò che non conosciamo, in molteplici risposte tutte pervase, conservate, protette, in parole valigia, come ha ben detto un mio caro amico, a capo di questa comunità.
Quel ragazzo recita la sua parte, lo fa talmente bene che è comprensibile non abbia consapevolezza di ciò che egli stesso è, per sapere cosa sta malamente offrendo agli altri.
Nella sua sfida c’è tutta la nostra fallibilità di genitori, di educatori, di società che rimane al balcone a guardare quel vuoto-male sussurrato o gridato, difficilmente individuabile a causa della nostra incapacità di intendere l’importanza di un’azione morale, come risposta personale a una circostanza, nelle scelte e nelle responsabilità che ne conseguono.
Quel ragazzo non ha ancora compreso la differenza tra una vocazione di bullo per forza, e il peso di un comportamento secondo coscienza, dove esistono coloro che esigono prevenzione.
Quel ragazzo disconosce che trasmettere la vita è un servizio, e riuscirci bene significa raggiungere una libertà interiore che sta a maturità.
Forse occorre scendere dal palcoscenico, dove i riflettori non colpiscono gli occhi, accecandoli.
Serve fare un passo indietro e comprendere che responsabilità e credibilità, provengono dal vissuto conquistato, sperimentato, dalla conoscenza delle lacerazioni e dagli ideali, non certamente da uno spinello, dalla droga.
Forse occorre imparare da chi sa rispettosamente amare.
Vincenzo Andraous
tutor Comunità
Casa del Giovane
Pavia 28-6-2003
Per V. Andraous in Spinello a gogo’
Le droghe accompagnano l’umanità fin dall’ alba della specie.
L’ uso delle droghe è antico quanto l’uso del vino, del tabacco, della birra, tutte le più importanti sono state studiate, catalogate, sperimentate per provarne gli effetti; l’umanità è affascinata dall’ alcool, dal delta-9-THC, dall’ acido lisergico, dalla dimetiltriptamina, dall’ MDA, ecc. ecc.., in una continua ricerca dell’ essenza della felicità: un sogno che non è mai stato raggiunto, mentre è stata raggiunta la consapevolezza che queste sostanze creano solo sostituti illusori, spesso pagati a caro prezzo.
Non ci può essere ignoranza nell’ uso di questo genere di sostanze: sarebbe come ignorare l’aratro, a cosa serve, sarebbe come demonizzare una spada o un coltello solo perché può essere usato contro qualcuno.
Per queste sostanze chiamate droghe, le varie civiltà hanno elaborato rituali che attualmente chiamiamo culture. Ne veniva così regolamentato l’uso ed erano sottolineati i pericoli, fornite eventuali avvertenze e modalità per evitarli, spesso creando tabù.
Venivano usate nei più svariati modi, dalla ricreazione (molto poco, era preferito l’alcool) alle pozioni magiche, dai rituali religiosi al combattimento. e lo sono tutt’ora.
E’ solo in questo tipo di società moderna basata sul modello occidentale, quella nostra, che la droga ha assunto il connotato di piaga sociale, diffondendosi a macchia d’ olio tra i giovani, diventando fenomeno di massa, generando così una nuova cultura, anzi una controcultura.
E’ noto che l’alcool ogni anno uccide una cifra spaventosa di persone,altrettanto le nostre strade.
Dico adesso che le strade sono pericolose! Ragazzi, evitate la strada, anche se voi che siete prudenti, perché quello che vi schiaccia, prima o poi, lo trovate! Ragazzi la strada mai! Suona ridicolo no? Eppure è la verità.
Perché allora esistono persone come te, che demonizzi la droga, che ti scandalizzi quando un giovane che tu definisci senza la saggezza e la coscienza di un adulto, ti dice che ha provato la droga? Cosa gli puoi dire adesso che lui ne sa più di te che probabilmente non ti sei mai fatto uno spinello?
Cosa pensi di ricavarci facendogli l’esempio del ragazzo tossico a bestia o facendogli conoscere i travagli di quello che è riuscito ad uscire dalla morsa soffocante della droga? Pensi di spaventarlo?
Te lo dico io, non fai niente, né male né bene, niente. Perché riceverà solamente un ammonimento, un “fidati di me che te lo dico io” che può essere ignorato in meno di mezzo secondo, senza nessun problema o rimorso di coscienza.
Perché la pericolosità insita nella droga, nell’ alcool, nell’ andare per strada in macchina, è il frutto proibito di questa società, non c’ è male in queste cose, e il tuo modo di combatterle è lo stesso modo della stradale che ha l’autovelox come deterrente per far andare più piano gli incoscienti.
Così, per colmo delle cose, mi sembra che pure tu sia un mero frutto della società, all’ antitesi di chi di droga si fa, colui che e messo lì a “combatterla”.
Hai parlato di droghe che mutano a seconda dei tempi, tutti moderni però, di droghe che si adattano a seconda dei costumi, della moda, attribuendo loro solo parole come male, fragilità umana, debolezza: in questo modo non dici che cosa realmente è una droga.
Droga che fino al XIX secolo d.c. ha un uso autocratico, in quanto viene gestito dal potere con le proprie modalità e per i propri fini mistici, religiosi, terapeutici, bellici politici e perfino come strumento di delitto o di genocidio.
Riusciresti adesso a definire il bisogno di spiritualità che accompagna l’essere umano e la religione in generale?
Non è forse vero che anche le religioni sono autocratiche?
Non è forse vero che anche chi abusa della religione diventa spesso molto pericoloso?
Un fondamentalista? Un eretico?
Non è forse vero che le religioni più costrittive sono quelle che producono il maggior numero di esaltati?
Non è forse vero che i paesi dove l’alcool è vietato, a vita o fino ad una certa età, sono quelli con più problemi di alcolisti, giovani e non? L’ unico intelligente tra tutti mi sembra il ragazzo, l’unico, tra i sicuramente molti suoi compagni che lo spinello se lo fanno ma non lo dicono, che ha agito sul piano della realtà, che mettendovi di fronte la sua verità vi ha messo tutti a tacere. vi siete scandalizzati, tu ti sei scandalizzato e lo vieni a scrivere perfino in giro, lo gridi quasi, tu che appartieni alla classe di chi la droga la dovrebbe combattere.
Hai scritto di lui come una specie di demonio che insinua con parole allettanti la voglia di droga nei più deboli, mettendolo a paragone di chi “trasmette la vita con servizio”, come se nelle sue parole ci fosse solo una lusinga della morte e tu fossi portatore di verità.
Hai torto a parlare di tolleranza: ancora una volta dalle tue righe ho visto che l’hai confusa con l’indifferenza, con il silenzio, l’hai messa in una luce negativa; la “tolleranza” è una parola buona!
E’ una virtù e non le si dovrebbero attribuire connotati dispregiativi.
Hai ragione a parlare di fallimento degli educatori e di società che sta a guardare.
A.N.
Parliamone
RISPOSTA PER N.A.
Di solito non intervengo mai sulle critiche che mi vengono mosse, infatti ho il massimo rispetto per le opinioni altrui, soprattutto quando queste divergono dalle mie.
In questo caso però mi pare necessaria una precisazione, e lo faccio servendomi delle orme scritte di Don Franco Tassone capo di questa comunità Casa del Giovane dove da qualche anno lavoro come tutor.
Lo faccio per rendere giustizia alle parole, quando esse assumono il peso di una sentenza e influenzano le persone, in particolar modo quelle che ancora non hanno una personalità formata, mi riferisco chiaramente ai giovani, a coloro che ancora non hanno pieno il carico della coscienza, cioè l’essere presenti a se stessi, quale nucleo centrale della personalità che viene a formarsi nel tempo.
Il lettore afferma che l’unico vero intelligente, gli è sembrato quel ragazzo, il quale ha saputo metterci a tacere e anche scandalizzarci.
Occorrerebbe sempre rifuggire dalle doverizzazioni e catastrofizzazioni, ma in questo caso mi pare altrettanto doveroso ribadire l’importanza della coscienza, e un bambino sebbene grande, non è cosciente; esiste una entità psicologica, ma non ancora caratterizzata da elementi di consapevolezza.
Allora forse serve rendersi conto di una realtà esterna ( l’intorno a noi ) per diventare coscienti di noi stessi, e il primo avvertimento è lavvertimento dell’esistenza dell’altro.
E chiaro che crescita vuol dire differenziazione, affermazione di sé come entità autonoma, attraverso le varie fasi di sviluppo dell’individuo, attraverso le occasioni e le opportunità della vita, ma ciò non autorizza nessuno a rilasciare patenti di maledetto per forza, perché questa è una vocazione destinata al macero, e cosa assai più grave, destina al macero i più deboli.
Il lettore parla di droga che accompagna l’umanità fin dai suoi albori.io so che il fattore critico non è la sostanza ma l’individuo, occorre differenziare diversi tipi di consumatori, non esiste il drogato contrapposto a chi non ha mai consumato erba o altro, ma esistono consumatori abituali, saltuari, e addirittura esistono gli ex consumatori, in ogni caso chi lo fa vive male la propria condizione di persona.
E nuovamente ribadisco che avere personalità non significa essere qualcosa per mezzo di una canna, chi possiede una personalità matura dimostra unità nel comportamento tra ciò che pensa e ciò che fa. Valuta in maniera obiettiva la realtà e se stesso, e perciò si rapporta al contesto coerentemente alla propria situazione. La stessa comprensione del contesto è segno di maturità, perché vuol dire essere coerenti con la realtà.
Davvero quel ragazzo ha mostrato gli attributi con quello slogan? A tal punto da interpretarlo come pass per la conquista di una identità? Di un ruolo? In uno spinello quotidiano” vi è l’impegno e la fatica per raggiungere una crescita personale accettabile? Oppure in questo atteggiamento vi è una considerevole instabilità emotiva che maschera un disagio con lavvicinamento ai rischi estremi.
Il lettore disegna speculazioni filosofiche, egli è buon architetto di ciò che è stato, ma non di ciò che è, e soprattutto non lo è per quanto concerne il DOMANI, come scienza del non ancora, come speranza che non muorese con l’impegno di tutti.
Fallimento degli educatori, di una società che sta a guardare ? Forse questo è il risultato che scaturisce da una sorta di nichilismo congenito a qualche generazione fortunatamente passata, perché educare non sta più solo per trasmissione di nozioni-conoscenze, ma come formazione alla complessità, come insieme di comportamenti, quanto meno per colmare con il tempo certe carenze, e bisogna riuscirci in tempo affinché non diventino LUCIDE FOLLIE.
Perché esistono persone come me che demonizzano la droga ( io direi tutte le droghe )?
Quel ragazzo ne sa più di me ? Probabilmente perché io non mi sono mai fatto?
Cosa penso di ricavarci facendogli l’esempio del ragazzo devastato dalla roba e del suo difficile recupero ( quando ciò è possibile aggiungo ancora io )?
Personalmente diffido sempre delle esemplificazioni, non mi accontento della dicitura: SI TRATTA DI BANALE REAZIONE A UN MODELLO CULTURALE, DI ACCETTABILE INDISCIPLINA ADOLESCENZIALE.
Diffido molto, perché io ci sono passato per queste doppie e triple corsie preferenziali, potrei raccontare molto di me in proposito, e la mia non è una bella storia, anzi è una gran brutta storia; come a un certo punto della mia vita l’incontro con me stesso.
Ho scontato trent’anni di carcere e sono ancora detenuto, come ho già scritto nei miei libri il mio è un viaggio lento e sottocarico, senza scorciatoie, privo di comodi rifugi, ma finalmente con il presente davanti e non più dietro.
La mia è stata una vita di tragedie, di doppie tragedie, non solo aver tolto la vita a qualcuno, ma aver creduto per molto tempo di essere stato nel giusto.
Potrei davvero dilungarmi, ma evito nuovamente di annoiare il mio prossimo, di certo c’è che la mia storia, ciò che è stato, ciò che ora è, mi consente di raccontare ciò che vedo e sento, senza essere maestro di niente, ma raccontare la mia esperienza ( come somma dei miei tanti errori ), sebbene non salverà alcuno dal proprio destino, quanto meno metterà A VISTA il baratro che lo attende, indipendentemente dalla tomba che ognuno si scava per propria scelta..ma ciò può accadere solamente quando si è in possesso di capacità, strumenti, risorse sufficienti per poter effettuare delle scelte.
Checchè se ne dica o peggio non se ne dica, l’uso di roba è prevalentemente una via di fuga senza progettualità, è la rappresentazione dell’impossibilità di trovare una uscita di emergenza, per cui non si può parlare di prevenzione del danno , ciò che si deve e si può prevenire è il coinvolgimento nell’uso, soprattutto quello PRECOCE, fornendo ai giovani l’opportunità di trovare risposte più valide ai loro problemi- compiti di sviluppo.
Comunque a quel lettore mi viene da dire che, sì, le sue argomentazioni meritano attenzione, ma io ho imparato a sfuggire le visioni ed i percorsi unidimensionali, e proprio accogliendo e accompagnando giovani e adulti in questa comunità, sono diventato estremamente attento al disagio che circonda le persone affaticate, al loro bisogno di essere aiutati a entrare un po in se stessi, per comprendere che ci si deve impegnare strenuamente per difendere la propria dignità personale.
Qui non ritratta di esprimere giudizi sulle persone, bensì sui comportamenti, partendo dai miei naturalmente, appunto perché andare incontro agli altri, portare fuori ciò che si ha di buono, attraverso un adattamento interpersonale e intrapersonale, sottende capacità di iniziativa: NON SICURAMENTE FINE A SE STESSO, MA FINE A SE STESSI.
Quel lettore parla di fallimento degli educatori e di una società che sta a guardare? Personalmente in questa comunità Casa del Giovane mi è stato insegnato che fare prevenzione è un intervento che costringe a farne altri, fare prevenzione è lavoro insieme, fare davvero prevenzione è un bisogno reciproco.
Chi ha buoni orecchi intenda.
Vincenzo Andraous
carcere di Pavia e
tutor Comunità Casa del Giovane
14-7-2003 Pavia