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25 Agosto 2022Tarquinia, cittadina medievale famosa per i suoi resti archeologici, è situata a pochi chilometri dalla Toscana, nell’Alto Lazio, vicinissima a Capalbio e al Monte Argentario e a meno di un’ora di auto dal Podere Santa Pia.
Il paese è adagiato su un piccolo colle, che domina lo splendido paesaggio naturale della sottostante Alta Tuscia ed è immerso tra le incantevoli valli del fiume Marta e lo straordinario territorio della Bassa Maremma.
Da visitare anche le vicine Saline, una sorta di Parco Naturale dalla fauna suggestiva, e Tarquinia Lido, rinomata stazione balneare.
Tarquinia è custode di un numero incredibile di tesori, tra costruzioni antichissime, palazzi antichi e chiese storiche; che servono come una straordinaria testimonianza del passato di questa città.
Torri
Il numero incredibile di torri, come Torre Dante, fa di Tarquinia, secondo un’espressione popolare, la “San Gimignano del Lazio”.
Museo Nazionale Etrusco
La piazza principale di Tarquinia è Piazza Cavour, all’estremità occidentale del paese. In questa piazza un magnifico palazzo, parte in stile gotico e parte romanico, con un bel cortile a colonne, il Palazzo Vitelleschi (1436-39), oggi sede del Museo Nazionale Etrusco, con una delle migliori collezioni italiane di reperti etruschi, tra cui un favoloso gruppo di cavalli alati in terracotta del IV secolo a.C.
Alla parte più antica dell’edificio appartengono le due magnifiche finestre gotiche sul fronte principale, mentre altri elementi come il timpano triangolare dell’ingresso sono testimoni di successive modifiche.
Chiesa di Santa Maria in Castello
La Chiesa di Santa Maria in Castello sorge sulle rocce della parte occidentale del paese, dominando la valle del fiume Marta fino al Mar Tirreno. È stata dichiarata Monumento di Interesse Nazionale nel 1975. La Chiesa di Santa Maria in Castello è la chiesa più antica di Tarquinia, la sua costruzione iniziò nel 1121 e terminò nel 1208. Di stile romanico, ha un prospetto con tre portali, il medio di cui con decorazioni cosmatesche. Anche la pavimentazione delle tre navate presenta tracce di mosaici cosmateschi.
Chiesa di Santa Maria di Castello (1121-1208), con influenze longobarde e cosmatesche. La facciata presenta un piccolo campanile e tre ingressi. L’interno è a tre navate, divise da massicce lesene con capitelli paleocristiani e fregi.
Su un piazzale antistante la chiesa si erge una slanciata torre medievale.
Altre chiese
Il Duomo di Tarquinia, un tempo in stile romanico-gotico ma ricostruito dopo l’incendio del 1643, ha mantenuto dell’originario edificio gli affreschi cinquecenteschi nel presbiterio, di Antonio del Massaro.
La Chiesa di San Giacomo e della Santissima Annunziata mostra diverse influenze arabe e bizantine.
Processione Cristo risorto
La domenica di Pasqua viene trasportata da una macchina e dai portatori (altro Patrimonio Unesco immateriale dell’umanità) la statua del Cristo risorto, a grande velocità fra due ali di folla, partendo dalla Chiesa di San Giuseppe poi attraverso le vie della città.
A tal proposito scrive così un figlio celebre di questa terra, il poeta Vincenzo Cardarelli, importante tarquinese:
Da San Giuseppe si nomina un’altra parrocchia del mio paese. Questa è gloriosa per possedere la macchina del Redentore, grande, roseo, bellissimo, con gli occhi celesti e un’incredibile ferita sul fianco, che si porta in processione la sera del sabato Santo, prima che cali il sole, correndo, con un seguito di tronchi enormi che fanno selva. Lungo il suo viaggio , dalla finestra, si sparano fucilate in aria: le campane sciolgono e suonano a festa. Mentre questo accade, giunta la processione in cima alla piazza, il Cristo risorto che molleggia, portato a spalla, sopra un mare di teste, come nave in mezzo alla burrasca, si volta e, col braccio alzato, posa un momento a benedire il popolo genuflesso, pieno di felicità e di benessere, già col sapore delle uova pasquali in bocca.
Vincenzo Cardarelli (Il sole a picco – 1952)
Tarquinia Etrusca
L’antica Tarquinia era una delle città più importanti dell’Etruria. Tarquinia è uno dei posti migliori per vedere le tombe etrusche e ha un ottimo museo archeologico. Il Palazzo Vitelleschi è stato costruito intorno alla metà del XV secolo da Giovanni Vitelleschi, nato a Tarquinia.
Le tombe etrusche si trovano su un colle appena fuori dal capoluogo. Circa 6000 tombe furono scavate nel tenero tufo vulcanico e alcune furono affrescate all’interno con affreschi colorati.
Le necropoli di Tarquinia e Cerveteri patrimonio UNESCO dal 2004
Le due necropoli costituiscono una testimonianza unica ed eccezionale dell’antica civiltà etrusca. I cimiteri, repliche di schemi urbanistici etruschi, sono tra i primi esistenti nella regione.
Necropoli di Monterozzi a Tarquinia
La necropoli di Tarquinia, detta anche Monterozzi, contiene 6.000 tombe scavate nella roccia. È famosa per le sue 200 tombe dipinte, la prima delle quali risale al VII secolo a.C. Le grandi pitture murali di Tarquinia sono eccezionali sia per le qualità formali che per il contenuto, che rivelano aspetti della vita, della morte e delle credenze religiose degli antichi Etruschi.
Necropoli della Banditaccia a Cerveteri
Quarantacinque minuti a sud di Tarquinia si trova Cerveteri, un’altra grande città etrusca. Le tombe qui si trovano in una specie di parco.
La necropoli nei pressi di Cerveteri, detta della Banditaccia, contiene migliaia di tombe organizzate secondo una pianta urbanistica, con strade, piazzette e quartieri.
Le tombe qui sono ancora ricoperte da tumuli (tumuli), che sono sommersi da erba e arbusti.
Altre Necropoli e resti etruschi nel Viterbese
Norchia, nell’entroterra di Tarquinia, ha tombe scavate nella roccia sulle grandi scogliere.
Necropoli rupestri anche lungo l’antica Via Armerina
Sutri, anche nell’entroterra, oltre ad un’altra necropoli rupestre, ha un anfiteatro etrusco.
La bellissima Tomba dei Leopardi e altre tombe nella Necropoli di Monterozzi a Tarquinia
Tarquinia è rinomata per le sue tombe dipinte uniche e per i vasti cimiteri, e ha attirato eminenti scrittori e poeti, tra cui Stendhal, D.H. Lawrence, Aldous Huxley e Malaparte.
Henri Bleyle Stendhal, il grande romanziere francese del XIX secolo che scrisse Il rosso e il nero, fu per un certo periodo un diplomatico a Roma. Rimase incantato da Tarquinia, allora conosciuta come Corneto, e scrisse un lungo articolo sulle sue tombe etrusche recentemente scoperte.
Nei primi giorni di aprile 1927 D.H. Lawrence intraprese quello che sarebbe stato il suo ultimo lungo tour a piedi. Accompagnato dal suo amico Earl Brewster, visitò i maggiori siti legati agli Etruschi, da Volterra nel nord della Toscana a Tarquinia.
La Tomba dei Leopardi è una stanzetta affascinante e accogliente, e i dipinti alle pareti non sono stati così danneggiati. Tutte le tombe sono in qualche misura rovinate dagli agenti atmosferici e da volgari vandalismi, essendo state lasciate e trascurate come comuni buchi, quando lo erano. stato aperto di nuovo e rigato fino all’ultimo sussulto.
Ma i dipinti sono ancora freschi e vivi: i rossi ocra e i neri e i blu e i verdi blu sono curiosamente vivi e armoniosi sulle pareti giallo crema. La maggior parte delle pareti della tomba ha avuto un sottile strato di stucco, ma è della stessa pasta della roccia viva. che è fine e giallo, e si trasforma in un bel oro cremoso, un bel colore per uno sfondo.
Le pareti, di questa piccola tomba, sono una vera delizia. La stanza sembra abitata ancora dagli Etruschi del VI secolo a.C., popolo vivo, accogliente, che deve aver vissuto con autentica pienezza. Arrivano i ballerini e i suonatori di musica, muovendosi in un ampio fregio verso la parete frontale della tomba, la parete di fronte a noi quando entriamo dalla scalinata buia, e dove il banchetto si svolge in tutto il suo splendore. Sopra il banchetto, nell’angolo del timpano, ci sono i due leopardi maculati, araldici l’uno di fronte all’altro attraverso un alberello. E il soffitto di roccia ha pendenze a scacchi di quadrati rossi e neri e gialli e blu, con una trave del tetto. dipinto, con cerchi colorati, rosso scuro e blu e giallo. In modo che tutto sia colore, e non sembriamo affatto sottoterra, ma in qualche camera di piaceri del passato.
I ballerini sulla parete destra si muovono con una strana, potente prontezza in avanti. Gli uomini sono vestiti solo con una sciarpa colorata ampia, o con una bella clamide allegra, drappeggiata come un mantello. Il sùbulo (flautista, da cui “sìbilo” in italiano) suona il doppio flauto tanto amato dagli Etruschi, toccando i registri con mani grandi ed esagerate, l’uomo dietro di lui tocca la lira a sette corde, l’uomo davanti si gira e fa segno con la mano sinistra, reggendo un grande vino- ciotola alla sua destra. E così vanno avanti, sul loro lungo; piedi calzati di sandali, oltre i piccoli ulivi a bacca, andando veloci con le loro membra piene di vita, fino alle punte.
Questo senso di vivacità vigorosa e corposa è caratteristico degli Etruschi, ed è in qualche modo al di là dell’arte. Non si può pensare all’arte, ma solo alla vita stessa, come se questa fosse la vita stessa degli Etruschi, che danzavano nei loro mantelli colorati con membra nude massicce ed esuberanti, arrossate dall’aria e dalla luce del mare, danzando e svolazzando attraverso gli ulivi, fuori nella fresca giornata.
La parete di fondo presenta una splendida scena di banchetti. I commensali si sdraiano su un copridivano a quadri o scozzese, sul divano del banchetto e all’aria aperta, perché dietro hanno alberelli. I sei festini sono audaci e pieni di vita come i ballerini, ma sono forti, mantengono la loro vita così meravigliosamente e riccamente dentro di sé, non sono sciolti, non si perdono nemmeno nei loro momenti selvaggi. Giacciono in coppia, uomo e donna, sdraiati ugualmente sul divano, curiosamente amichevoli. Le due donne finali sono dette hetaerae, cortigiane, soprattutto perché hanno i capelli gialli, che sembrano essere stati una caratteristica preferita in una donna di piacere. Gli uomini sono scuri e rubicondi, e nudi fino alla vita. Le donne, disegnate sulla roccia cremosa, sono bionde e indossano abiti sottili, con ricchi mantelli intorno ai fianchi. . Hanno un certo aspetto audace e libero e forse sono davvero cortigiane.
L’uomo in fondo tiene in alto, tra pollice e indice, un uovo, mostrandolo alla donna dai capelli biondi che si sdraia accanto a lui, colei che gli tende la mano sinistra come per toccargli il petto. Egli, nella mano destra, tiene un grande boccale per il vino, per la festa.
La coppia successiva, uomo e donna bionda, si guarda intorno e fa il saluto con la mano destra curva, nel consueto gesto etrusco. Sembra che anche loro salutino il misterioso uovo sorretto dall’uomo alla fine che è, senza dubbio, l’uomo che è morto e di cui si celebra la festa. Ma. davanti alla seconda coppia uno schiavo nudo con una coroncina in testa brandisce una brocca di vino vuota, come a dire che va a prendere altro vino. Un altro schiavo più in basso sta porgendo una cosa curiosa come una piccola ascia, o ventaglio. Gli ultimi due banchetti sono piuttosto danneggiati. Uno di loro sta porgendo una ghirlanda all’altro, ma non se la mette sopra la testa perché in India ti mettono ancora una ghirlanda sulla testa, per onorarti.
Sopra i banchetti, nell’angolo del timpano, i due grandi leopardi maschi maculati fanno pendere la lingua e si fronteggiano araldicamente, alzando una zampa, ai lati di un alberello. Sono i leopardi o pantere degli inferi Bacco, a guardia delle uscite e degli ingressi della passione della vita.
C’è un. mistero e un portento nelle scene semplici che vanno più in profondità della vita comune. Sembra tutto così allegro e leggero. Eppure c’è una certa profondità di significato che va oltre la bellezza estetica in queste raffigurazioni.