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29 Gennaio 2017Io vorrei raccontarvi cosa ha significato per me occuparmi insieme al fratello di don Savino e a Manuela della redazione del libro: un’esperienza particolarmente significativa perché, proprio per assemblare le parti del libro, mi sono ritrovata a leggere e rileggere le omelie e gli articoli di don Savino, così come le testimonianze di alcuni suoi figli spirituali. Questa circostanza ha costituito come una sorta di specchio nel quale ho visto e riconosciuto ciò che tante volte mi aveva detto don Savino, ma che durante la sua vita non ero stata capace di cogliere fino in fondo. E ciò che non avevo immediatamente colto è sicuramente stata l’importanza che ha avuto per me incontrare il carisma di don Giussani. Non credo infatti di aver capito subito quanto questo incontro abbia cambiato la mia vita e il mio modo di rapportarmi con il Signore.
Prima di conoscere don Savino la mia religiosità era vissuta come un dovere da espletare, come qualcosa che alla fine c’entrava poco con la mia esistenza. Per me era inconcepibile che l’esperienza di Dio potesse, per così dire, passare attraverso gli altri, ero ripiegata in una ricerca solitaria un po’ intimista di Dio, una ricerca che tuttavia, e ora ne ho capito la ragione, si è sempre rivelata sterile. Sentivo il Signore sempre lontano da me, come confinato nel suo mondo fatto di eternità, estraneo alla mia vita e al mio cuore. Insomma lo cercavo ma non lo incontravo. Cercavo nel modo sbagliato, cercavo nel posto sbagliato, e cioè lontano da me. Don Savino mi ha fatto conoscere un Dio vicino perché ancora oggi incarnato, presente nella mia vita in modo concreto, reale. Mi ha educata a leggere le circostanze e le persone come occasioni nelle quali poter scoprire questa presenza, oggi, carne come duemila anni fa. Don Savino mi diceva che la mia giornata doveva essere una caccia al tesoro alla scoperta di come il Signore in ogni momento decide di sorprendermi e anticiparmi, come mi accompagna, come cammina al mio fianco.
Nessuno, prima di questo prete, mi aveva fatto fare esperienza del Cristianesimo come di un incontro, un avvenimento che un certo giorno accade nella tua vita, magari quando meno te lo aspetti, e questo perché il Signore vuole farti capire che l’iniziativa è comunque sempre sua e poco dipende da te. E così per la prima volta ho sperimentato che da questo incontro si genera una comunità di persone, di amici, con cui condividere lo stesso cammino e che questa amicizia non è semplicemente sentimento o affetto, come magari l’avevi vissuta fino al giorno prima, ma è condivisione della consapevolezza che tu ed io siamo membra della stessa carne.
Don Savino mi ha anche e soprattutto insegnato a guardare la realtà, in particolare nei momenti difficili e faticosi, non come nemica, ma sempre e solo come le modalità con quale il Signore si manifesta a noi e ci parla. Ricordo che nei mesi della malattia diceva spesso che tutto quello che ci accade è sempre e solo ultimamente un bene per noi, anche quando questo bene appare essere un paradosso. Mi diceva che servono però occhi capaci di stupirsi e meravigliarsi per riconoscere questo bene attraverso le sottili pieghe di una sofferenza, di una fatica o di una ferita, e don Savino aveva questa capacità e sensibilità che ha cercato di trasmettere a me e credo a tutte le persone che lo hanno conosciuto.
Durante i suoi ultimi due anni in lui si è approfondita sempre di più la certezza che solo nell’adesione alla volontà del Signore noi possiamo trovare la nostra felicità perché solo il Signore conosce il nostro vero bene. Ricordo che durante un’omelia disse che era dovuto arrivare a settant’anni per comprendere in tutta la sua portata la ragione per la quale Gesù nel Padre Nostro dice: “Sia fatta la Tua volontà” .
Anche per questo sono grata di poter fare memoria, con queste poche righe, del bene che don Savino ha fatto a me come credo a ciascuno di voi, è infatti per me occasione per esprimere il mio affetto e la mia riconoscenza a lui e al Signore che ha avuto la pietà di guardarmi con gli occhi di questo Suo sacerdote.