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16 Dicembre 2020“Un caso, (non solo), maledetto”. Il romanzo di Marco Vichi.
Servono ancora due mesi di servizio al sessantenne commissario Bordelli per andare in pensione, e proprio alla fine della sua carriera di poliziotto gli doveva capitare forse il caso più difficile della sua carriera.
E’ stata impostata così l l’ultima fatica dello scrittore fiorentino, Marco Vichi. Siamo sempre a Firenze, nel gennaio del 1970. L’Italia vive gli anni della ripresa economica del dopoguerra e ancora la città non è stata invasa dalle folle dei turisti. Si respira comunque un’aria lugubre e solitaria nelle vie medioevali di Firenze in cui si muovono i fantasmi letterari di Vichi. Le prime cento pagine del libro fanno trascinare il lettore, sotto il segno della avidità e viene assorbito dalla bruciante curiosità, sempre crescente. Si cerca di comprendere chi ha commesso il delitto ai danni del vecchio nobile? Chi ha agito? Perché? Estremamente divoranti ed appetitose, le pagine, si distinguono per la loro sobrietà e scorrevolezza, e ci fanno entrare nei meandri del mondo fiorentino, quella viziata della nobiltà raffinata, ma specialmente quella delle povere borgate. Fatta di figli di operai, di gente che ancora deve combattere contro la miseria non ancora sconfitta. Ma non solo, l’autore riesce ad indagare anche l’animo dei personaggi, i loro desideri più perversi, più malvagi, ma anche quelli più teneri, malinconici e colmi di un amore per la verità e per la giustizia.
Nulla di nuovo traspare dalle indagini dei due commissari, Bordelli uscente ed il Piras, sostituto. Nonostante abbiano una prova inconfutabile a loro favore, una prova tanto decisiva, sembra che nulla si riesca a concludere, e nulla si avvia verso la giusta pista per trovare i colpevoli. Sembra proprio che siano beffati dalla cativa sorte.
Neanche grazie all’esperienza, all’acutezza e all’intuito del commissario si riesce ad avere il meglio.
Dopo le prime cento pagine del libro, fatte di indagini, di vane ed inutili piste da seguire, di strizzate di cervello senza frutti, nulla di interessante traspare. Siamo di nuovo a capo. Sembra tutto, un buco nell’acqua.
La svolta arriva una notte quasi per caso, come se la maga, l’avesse soffiata dalle distanze. Bordelli, mentre è sdraiato, gli viene subito l’illuminazione. Un colpo di genio improvviso, un’intuizione, ed ecco, trova la giusta pista da seguire. Traspare in lui il genio intuitivo e qualcosa cambia per sempre. Da ora in poi, non divagherà più nella arida palude delle indagini senza frutti.
Questo avviene più o meno a metà libro, dopo che Vichi, intelligentemente, ci ha fatto introdurre in una Firenze ancora fatta di borghi storici, di osterie di fiducia e della mondana e viziata nobiltà fiorentina, raccontando un convincente spaccato.
Troviamo il commissario Bordelli mentre si avventura nelle vecchie stradine di San Frediano, in quelle del centro, nei lungarni ed intorno alla Piazza della Libertà.
Dopo la svolta giusta. Dopo aver trovato la persona adatta che cambierà il corso delle indagini, la narrazione subisce una pausa. Ma è una pausa di respiro. Una pausa intelligente, che fa bene alla narrazione. La curiosità degli appassionati del commissario, si ferma nel limbo della certezza che giustizia, al povero conte sarà fatta. Quindi, Vichi si concentra ormai, all’abituale, la solita cena con gli amici. Qui, la narrazione entra in acque Boccacciane. I cinque amici raccontano tante storie. Storie che fanno da intermezzo tra le indagini condotte ormai nella direzione giusta e la soluzione del giallo. Chi ha ucciso dunque il vecchio Conte? Un uomo solitario, complesso, raffinato, buono e viziato? Questa si scoprirà però solo a libro chiuso. Intanto l’autore ha l’occasione di entrare nel piacere della gastronomia, nei rapporti interpersonali tra amici. Nelle battute da tavola, nelle storie che arricchiscono il libro e ci fa partecipi nella buona compagnia.
Stupiscono le emozioni che suscita la storia. Specialmente quelle che toccano più la sfera privata dell’affezionato e buono commissario Bordelli, il quale si intenerisce quando riceve una inattesa lettera di gratitudine. Ma da chi? Chi ha fatto intenerire Bordelli? Non meno bella è anche la storia del bambino nato con il fiuto dello sbirro. E qua e là, non mancano spaccati con ceni filosofici ed evocativi di una bellezza mozzafiato. Secondo me è una narrazione matura e condotta con maestria professionale. La bellezza e l’avidità nel non mollare il libro, pagina dopo pagina, va cercata nella misura giusta tra indagini condotte con professionalità e intelligenza. Ma non solo, anche nei rapporti amorosi del solitario commissario che vive nel Chianti. L’autore ancora un altra volta non fallisce la mira con l’ultima faccenda del ormai uscente Bordelli.
La lingua é sciolta. I dialoghi sono scorrevoli e l’intreccio è quello di un maestro che sa gestire con abilità il tessuto narrativo.
La maestria con cui Vichi stende i dialoghi, il rapporto tra la descrizione, gli stati d’animo e l’intreccio della trama, mostrano come si trova a suo aggio e come si diverte a svelare a poco a poco la faccenda, come un guanto rovesciato per mostrare l’incontrario, per arrivare a capo dei misteri da svelare.
Ho percepito un Bordelli quasi malinconico e attaccato ai ricordi che ha voglia forse di fare pace con i suoi fantasmi del passato in guerra. Ma è sempre un commissario esigente, grintoso, e professionale.
Definitivamente è un libro da leggere e da gustare tutto d’un fiato.
Artur Spanjolli