Voto Formigoni per un bene maggiore, non come male minore
27 Gennaio 2019Volontariato e giustizia
27 Gennaio 2019Sono in questo recinto di filo spinato da tanti anni, ho conosciuto per mia scelta irresponsabile la violenza della teoria e l’illusione morta della pratica.
Nella mia mente c’è indelebile il rumore sordo delle nocche infrante sulle labbra, negli occhi il sangue colato a fiumi.
Tanti anni trascorsi a sopravvivere, tanti giorni in fila per tre, senza domani,atomizzati dal delirio di onnipotenza, in miserie vissute a piene mani.
Ora e nuovamente avanzano antichi spettri in risoluzioni strategiche, pagine scritte di panico bianco,poi d’improvviso la scia del sangue nel delitto D’Antona.
Mi sono costretto a riprendere in mano il mio ultimo libro da poco pubblicato, a sfogliarne lentamente le pagine, a rileggerne le parti che riguardano il mio pezzo di carcere vissuto nell’incontro con le Brigate Rosse.
Ho ritrovato intatto l’urto di un’incoscienza che non conosce timore dei dazi da pagare, ma che poi sono venuti con il fragore del ferro e del fuoco. Come una fotografia impolverata dal tempo, lo sguardo della memoria mi riporta al carcere dell’Asinara, alla cella buia in cui fui chiuso, agli altri miei coinquilini per la prima volta diversi da me, diversi perché detenuti politici.
La sensazione di aver di fronte dei sognatori che tentavano di spiegarmi i loro ideali, così naturali nel loro mondo-universo-umanità, persino in quella mia stessa disumanità che ci faceva stare insieme e ci illudeva di renderci più umani. Un sogno disegnavano, un sogno maledetto che non si sarebbe mai potuto avverare.
A quei tempi io ero un rapinatore, un detenuto comune, ai loro occhi una vittima del capitalismo e di quel potere statuale che combattevano. Sorridevo sornione allora e sorrido amaro ancor oggi, perché non mi consideravo affatto una vittima. Loro erano contro la proprietà privata, io invece per difenderla ad oltranza, anzi per appropriarmene facendo ricorso all’illegalità. Nel mio assolutismo subculturale, ritenevo rivoluzionaria la mia ribellione, la quale altro non era che il mio individualismo sotto vuoto spinto, e loro ne rappresentavano l’esatto contrario.
I poli opposti che convergono.
Ricordo il riferimento costante agli altri, il presupposto forte delle masse operaie, la continua e martellante aggregazione all’ideologia, al dogma, alla battaglia o meglio a una guerra costruita sullo scontro di principi che non consentono mediazioni.
Libertà, libertà, libertà, si gridava nelle celle, aggrappati alle finestre, stesi sul pavimento imbrattato di sangue.
Libertà rincorsa come una prostituta, una libertà priva di interdipendenza, di interrelazioni, di consapevolezza di sbagliare, di ferire, di morire.
Di una cosa ero e sono convinto; sebbene alzassero il livello di scontro, in cuor loro sapevano di essere e di rimanere degli sconfitti. In carcere siamo tutti uomini sconfitti.
In questo presente ci si chiede se quanto sta accadendo é da addebitarsi a un rigurgito di quel vecchio sistema che non può più tornare.
Ci si chiede se sono realmente le Brigate Rosse o qualche altro nucleo combattente. Io invece chiedo a questo chicchessia a che prò?
Mi rendo conto di essere un perfetto incompetente, non ho nozioni da trasmettere né specificità acquisite, non ho conoscenza diretta di questo nuovo fenomeno, Non posseggo il dono della brillantanza né ho le famose allucinazioni di Shinning, ma scorgo ugualmente delle stranezze, delle incongruenze, segnali concreti che sconsigliano il perpetrarsi di queste follie, perché l’intorno reale non é quel reale inventato a misura di chi si reinventa guerriero e paladino di una rivoluzione che non esiste.
Oggi quelle masse operaie compatte e simpatizzanti di una giustizia dell’ingiustizia, non sono più ben allineate e intruppate sul campo delle ideologie. Oggi il consenso alla lotta armata è in disuso, é di per sé fallimentare, oggi nessuno scende in piazza inneggiando alla stella a cinque punte. Oggi non c’é più nell’aria quell’attimo fuggente che si verificò in anni non remoti e che non fu mai colto dagli stessi protagonisti in armi, e non per una sorta di ipnosi collettiva, bensì per una precisa indecisione a portare a compimento un progetto pensato e voluto, il quale solo nella teoria tutti coinvolse e sospinse avanti, ma nella pratica marchiò solo alcuni come restauratori di una nuova ecatombe annunciata e sottoscritta dalla storia.
Ci si chiede sono i vecchi? Sono i nuovi? Chi sono? Io non so chi siano, o forse sono coloro che gridano da tanto tempo inascoltati e che per questa nostra disattenzione faranno del male a se stessi e agli altri. Si, forse sono coloro che noi non vorremmo mai essere.
A pensarci bene é incredibile; sebbene dall’interno di un carcere, mi accorgo del divario che li separa da un’umanità reale e vivificante, mentre loro così racchiusi nelle certezze non s’avvedono dell’inganno che li coglie. Da circa sei anni ho il privilegio di frequentare le Scuole, le Parrocchie, le Università, di incontrare tanti giovani e studenti, e più volte mi sono sorpreso nel constatare il vuoto di memoria delle nuove generazioni, certo, una dimenticanza colpevole per un preciso momento storico del nostro paese, della nostra storia recente, anzi recentissima.
Per questa assenza di memoria storica reputo doppiamente pericolosa la strategia in atto.
1 giovani non conoscono assolutamente il dramma degli anni di piombo, cosa hanno significato quei teatri di guerra in termini di assenze eterne e di paralisi riformistica.
Nelle classi, negli oratori, nelle università, ci sono plotoni e reggimenti di giovani che non sono documentati né hanno voglia di conoscere uno scenario che per loro é sepolto dal benessere e dal successo da conseguire a tutti i costi.
Proprio in questa osservazione che volutamente ho generalizzato per meglio rendere visibile; e l’inattualità, e l’impossibilità oggettiva e soggettiva di un ritorno delle Brigate Rosse, vi é intrinseca la solitudine suicida che attraverserà la recita macabra di qualsiasi fantasma del passato.
Grossi e urgenti i temi affrontati da questi nuovi guerrieri in armi; la questione sociale, il lavoro, l’americanizzazione europea, la guerra, la disparità di opportunità ecc.
Problemi e conflitti che però potrebbero fuorviare tanti ragazzi confusi dalle sconfitte interiori che ci portiamo dentro. Ragazzi disposti a tutto pur di risultare presenze vive, pur di trovare risposte alle tante inquietudini che li tormentano, travolgendoli.
In questa architettura sgangherata non risplende il sacrificio della solidarietà, non sale alto il lamento di una generazione oppressa, in questa nuova sfida non c’è profilo né ombra di antigoni itineranti, c’é soltanto, e tutta intera, la colluttazione sorda di chi non sa convivere con le scelte fatte in una terra ove non esista il Paradiso, e giustamente dico io.
Nel mio piccolo conosco il sistema e quando esso non funziona, so perfettamente quanto può essere ingiusto e perverso al punto da stritolarti se gli dai fastidio. Sì, lo so bene io, e ugualmente ritengo che occorra darsi per ciò che siamo, per ciò in cui crediamo, e ciò in forza della nostra capacità di contribuire dinamicamente e correttamente a una comune umanità, tentando, sì, di spostare le assi di coordinazione sociale, di modificare le stesse correnti di pensiero, ma ciò non può significare il ritorno alla violenza, allo scontro frontale, dapprima al diniego e in seguito al funerale del dialogo.
I,a clessidra dei secoli non s’é fermata, le parole non si riuscirà ancora una volta a piegarle agli slogans, ai concetti di immagine, di contrapposizione ideologica, di dottrine che non hanno più presa né scaltri consumatori.
L’araba fenice in questo senso non risorgerà.
Forse occorrerebbe riflettere su quegli anni di furore e di immense tragedie, sull’ipocrisia storica dell’avanzare o muori”, sì, forse é necessario pensare a ciò che nel frattempo é intervenuto, agli slanci in avanti ed ai percorsi di impegno e di riconciliazione, ai nuovi rapporti duraturi e importanti instaurati nella nostra società.
Forse é il caso di ripercorrere le orme di quel ragazzo che innanzi alle spoglie morte di suo padre, e poco lontano dal drappo con la stella a cinque punte, seppe sussurrare con la voce rotta cos’é il dolore del perdono, e facendolo si consegnò vicendevolmente.
Ora e ancora mani armate decantano inni e lodi alla rivoluzione, ora e ancora ci saranno autorappresentazioni, o peggio autocelebrazioni, ma nulla si potrà di allora, nulla si ripeterà di ieri. Soprattutto nulla potrà ovviare alle grandi responsabilità che ci si assumerà nei riguardi dei tanti ragazzi al palo della vita, di tanti coetanei e propri simili con gli sguardi perduti e già stanchi a vent’anni.
Un mio amico filosofo un giorno mi ha detto; guai a tradire se stessi e guai a tradire gli altri”.
A voi vorrei dire; non tradite voi stessi, tradendo la possibilità di scegliere di tanti altri.
Vincenzo Andraous
Responsabile Centro Servizi Interni
Comunità Casa del Giovane
via Lomonaco 43
Pavia 27100
tel cell 348-3313386