Paragrafi 12 e 13 della lettera 47 di Seneca a Lucilio
28 Dicembre 2019La pazzia di Orlando canto XXIII ottave 129-136
28 Dicembre 2019Questi versi fanno parte del sesto canto del Paradiso della Divina Commedia di Dante Alighieri, in cui l’imperatore Giustiniano narra la storia dell’Impero Romano e dell’aquila imperiale, simbolo dell’autorità divina sulla terra.
Analisi e commento: Il passo può essere suddiviso in diverse sezioni tematiche:
- Storia dell’Impero Romano (versi 67-81): Giustiniano ripercorre le gesta di Giulio Cesare e Augusto, menzionando luoghi e battaglie significative (Antandro, Simoenta, Tolomeo, Iuba). Si fa riferimento alle guerre civili e alla pace augustea che portò alla chiusura del tempio di Giano.
- Comparazione tra imperatori (versi 82-90): Le imprese di Cesare e Augusto vengono paragonate a quelle di Tiberio (il “terzo Cesare”), sottolineando come la giustizia divina operi attraverso gli imperatori.
- Digressione su Tito e Carlo Magno (versi 91-96): Si menziona la distruzione di Gerusalemme da parte di Tito come vendetta divina e l’intervento di Carlo Magno in difesa della Chiesa contro i Longobardi.
- Critica alle fazioni politiche (versi 97-111): Giustiniano critica sia i Guelfi che i Ghibellini per il loro uso improprio dei simboli imperiali e per la loro lotta per il potere.
- Descrizione del cielo di Mercurio (versi 112-126): Si descrive la natura delle anime presenti in questo cielo, caratterizzate dall’aver agito per onore e fama terrena.
- Storia di Romeo di Villanova (versi 127-141): Il canto si conclude con la storia di Romeo, un personaggio storico che servì fedelmente il conte di Provenza ma fu ingiustamente accusato e allontanato.
Questi versi finali sottolineano temi ricorrenti in Dante: l’ingratitudine umana, l’ingiustizia terrena e la virtù non riconosciuta. La storia di Romeo serve come esempio morale e come critica alla società contemporanea di Dante.
Testo e parafrasi dei versi 67-142 del Canto sesto del Paradiso di Dante
Testo
Antandro e Simoenta, onde si mosse, Da indi scese folgorando a Iuba; Di quel che fé col baiulo seguente, Piangene ancor la trista Cleopatra, Con costui corse infino al lito rubro; Ma ciò che ’l segno che parlar mi face diventa in apparenza poco e scuro, ché la viva giustizia che mi spira, Or qui t’ammira in ciò ch’io ti replìco: E quando il dente longobardo morse Omai puoi giudicar di quei cotali L’uno al pubblico segno i gigli gialli Faccian li Ghibellin, faccian lor arte e non l’abbatta esto Carlo novello Molte fïate già pianser li figli Questa picciola stella si correda e quando li disiri poggian quivi, Ma nel commensurar d’i nostri gaggi Quindi addolcisce la viva giustizia Diverse voci fanno dolci note; E dentro a la presente margarita Ma i Provenzai che fecer contra lui Quattro figlie ebbe, e ciascuna reina, E poi il mosser le parole biece indi partissi povero e vetusto; assai lo loda, e più lo loderebbe». |
Parafrasi L’aquila imperiale rivide Antandro e il Simoenta, da dove partì, e il luogo dove riposa Ettore; poi si mosse contro Tolomeo con conseguenze negative per lui. Da lì scese fulminea contro Giuba; quindi si volse verso il vostro occidente, dove udiva il suono della tromba di Pompeo. Per ciò che fece con l’imperatore successivo, Bruto e Cassio latrano all’inferno, e Modena e Perugia ne soffrirono. Ne piange ancora la triste Cleopatra, che fuggendo davanti all’aquila, si diede morte improvvisa e terribile per mezzo di un serpente. Con Augusto l’aquila corse fino al Mar Rosso; con lui portò tanta pace nel mondo che fu chiuso il tempio di Giano. Ma tutto ciò che questo simbolo, di cui parlo, aveva fatto prima e poi avrebbe fatto per il regno mortale a lui sottoposto, appare poca cosa e oscura se si guarda con occhio chiaro e con animo puro ciò che fece nelle mani del terzo Cesare, Tiberio; infatti la viva giustizia che mi ispira concesse a lui, di cui parlo, la gloria di compiere la vendetta della sua ira. Ora ammira ciò che ti ripeto: poi con Tito corse a vendicare la vendetta dell’antico peccato. E quando il dente longobardo morse la Santa Chiesa, Carlo Magno, vincendo, la soccorse sotto le sue ali. Ormai puoi giudicare di quei tali che ho accusato prima e dei loro errori, che sono causa di tutti i vostri mali. L’uno oppone i gigli gialli al simbolo pubblico dell’aquila, e l’altro se ne appropria per la sua fazione, così che è difficile vedere chi sbaglia di più. Facciano pure i Ghibellini, facciano pure la loro arte sotto un altro simbolo, perché segue male l’aquila chi separa la giustizia da essa. E non l’abbatta questo nuovo Carlo con i suoi Guelfi, ma tema degli artigli che strapparono il vello a un leone più potente. Molte volte già i figli hanno pianto per la colpa del padre, e non si creda che Dio cambi le sue insegne per i gigli dei francesi! Questa piccola stella di Mercurio è adorna di buoni spiriti che furono attivi affinché onore e fama li seguissero: e quando i desideri tendono quassù, deviando così, è inevitabile che i raggi del vero amore salgano meno vivi verso l’alto. Ma nel commisurare le nostre ricompense al merito sta parte della nostra letizia, perché non le vediamo né minori né maggiori del giusto. Perciò la viva giustizia addolcisce in noi il sentimento al punto che non si può mai piegare ad alcuna malvagità. Voci diverse fanno dolci note; così i diversi gradi nella nostra vita rendono dolce armonia tra queste sfere celesti. All’interno di questa perla celeste brilla la luce di Romeo, la cui grande e bella opera fu mal ricompensata. Ma i Provenzali che agirono contro di lui non hanno avuto di che ridere; e quindi sbaglia chi si danneggia facendo del male a chi fa del bene. Raimondo Berengario ebbe quattro figlie, e ciascuna divenne regina, e ciò fu opera di Romeo, persona umile e straniera. Poi le parole malevole spinsero il conte a chiedere conto a questo giusto, che gli rese sette e cinque per dieci. Quindi Romeo partì povero e vecchio; e se il mondo sapesse che cuore ebbe mentre mendicava la sua vita di pezzo in pezzo, lo loderebbe molto, e lo loderebbe ancora di più. |