Erik Erikson
27 Gennaio 2019Rosalia Di Nardo
27 Gennaio 2019Approfondimento storico sul ventennio del regime nella Tesina Esame di Stato di Libera Maria De Padova
Benito Mussolini
Il fascismo è un movimento fondato in Italia da Benito Mussolini nel 1919 con la conseguente conquista del potere nel 1922. Benché non costituisca un fenomeno esclusivamente italiano, il fascismo ha avuto origine nel nostro Paese come reazione e conseguenza della grave crisi politica ed economica seguita alla prima guerra mondiale.
La classe dirigente, erede dello Stato liberale post-risorgimentale, aveva voluto spingere l’Italia nel conflitto, senza prevedere le gravissime perdite umane che ne sarebbero derivate. Così, dopo la fine vittoriosa, si era trovata improvvisamente costretta a dover fronteggiare una situazione difficilissima, ricca di tensioni e contrasti interni, dove gli interessi dei gruppi economico-sociali privilegiati si scontravano con le aspirazioni della maggioranza della popolazione, fino ad allora tenuta ai margini della vita dello Stato. Il ritorno alla “normalità” non aveva offerto a milioni di reduci la meritata ricompensa, dopo i lunghi anni di pericoli e sofferenza in trincea. Anzi, insieme al dissesto delle finanze pubbliche, che i responsabili al governo non riuscivano a sanare, l’aumento dei prezzi e il diffondersi della disoccupazione alimentavano le agitazioni popolari. In questo sconvolgimento sociale, dove l’inefficienza economica stimolò il rafforzamento dei partiti di massa, con una forte crescita dei socialisti, soprattutto fra gli operai, e un’affermazione del Partito Popolare fra i cattolici dell’ambiente contadino, nacque e si andò affermando il movimento fascista.
Alla riunione di piazza San Sepolcro a Milano nel 1919 parteciparono un centinaio di persone(questi primi fascisti furono chiamati sansepolcristi). Il movimento aveva un programma vago ed era alla ricerca di un’ideologia. Tentava di fondere i motivi nazionalistici, cari soprattutto ai combattenti, con la polemica contro l’inefficienza del parlamentarismo, che trovava facili consensi anche negli ambienti piccolo-borghesi.
Mussolini capì che la debolezza della classe dirigente, incapace di stabilizzare la situazione economica e sociale, si poteva vincere solo conquistando i favori dei gruppi dominanti del padronato industriale e dei proprietari terrieri, sempre più intolleranti verso le manifestazioni popolari e pronti ad appoggiare chiunque fosse disposto a usare la “mano forte”.
Così, nel giro di pochi mesi, la propaganda fascista conquistò terreno e, senza far segreto di una volontà autoritaria, dichiaratamente antidemocratica, cercò di sfruttare il malcontento e di incanalare la spinta reazionaria delle forze borghesi e conservatrici, già deluse per la “vittoria mutilata” a Versailles e atterrite dalla ascesa delle classi popolari, che sembravano voler scuotere e schiacciare il tradizionale assetto gerarchico della società italiana.
Il fascismo rifiutava ogni forma di lotta fra le classi e faceva appello al principio della superiore “unità nazionale”, intesa come un organismo vivente cui dovevano essere subordinati tutti gli interessi particolaristici. Parve quindi, inizialmente, fornire un’efficace alternativa tanto alla debolezza di una classe politica dilaniata da insanabili contrasti interni, che mettevano capo a continue crisi di governo, quanto alle velleità rivoluzionarie dei socialisti, che si scontrava con le opposte cautele delle centrali sindacali, ancora fiduciose di spingere la borghesia sulla via delle riforme. Ma proprio l’esaltazione di un ipotetico primato nazionale, da raggiungere non più nel segno della politica liberale, che aveva caratterizzato tutto il periodo del Risorgimento e la storia postunitaria, ma attraverso un esplicito rifiuto degli ideali democratici e una vigorosa difesa della “diseguaglianza irrimediabile e benefica degli uomini”, accentuò il ricorso ai metodi della violenza fisica, con l’intervento delle squadre d’azione. Queste si diffusero alla prima sconfitta politica accusata dal movimento nelle elezioni del 16 novembre 1919: il fascismo riuscì infatti a presentarsi solo a Milano.
L’infiltrazione del fascismo nella zona industriale e agraria era avvenuta; la presenza nella capitale era assicurata. L’alta industria aveva trovato nel fascismo la forza da opporre alle rivendicazioni operaie, agli scioperi, alle durezze della lotta sociale che raggiunse il vertice con l’occupazione delle fabbriche nel 1920.
Il movimento fascista, divenuto partito nel novembre del 1921, cercò di darsi una dottrina e, poiché il grande momento per i socialisti era passato, Mussolini, prima di puntare decisamente al potere, tentò la politica delle alleanze. Entrò, per le elezioni del 1921, nei blocchi nazionali giolittiani, ottenne un primo successo mandando alla camera 35 deputati e cercò l’alleanza con i socialisti e i popolari. Era l’equivoco di una grande coalizione che portò al patto di pacificazione con i socialisti, ma che non convinse i fascisti intransigenti e rappresentò una parentesi brevissima, perché pochi mesi dopo riprendevano scontri, lotte, violenze e il fascismo nuovamente autonomo, si appoggiava ai liberali, convinti che il movimento di Mussolini avrebbe restituito a molti il senso dello Stato. E infatti Mussolini espose nella sua Dottrina del fascismo una concezione dello stato che sembrava riallacciarsi al pensiero risorgimentale, ma in realtà il fascismo pretese di costruire uno Stato che accogliesse in sé ogni individualità per annullarla nella concezione di una propria priorità assoluta volta solo ad affermare il primato del dominio e della forza. Nello Stato vide l’organo supremo per garantire la libertà individuale. Di conseguenza, il drastico annullamento della volontà individuale significa esaltazione mistica del sacrificio, subordinazione assoluta alla volontà del capo per il bene della patria.
La marcia su Roma non fu tuttavia la conquista del potere, ma il cammino verso il potere e, mentre socialisti e comunisti si schierarono subito all’opposizione, molti rappresentanti della vecchia classe politica liberale, non diversamente da una parte dei popolari, si illusero di poter controllare l’ascesa del fascismo al potere, incanalandolo nell’ambito della vita democratico- parlamentare. Il primo governo Mussolini poté così ottenere una larga maggioranza alla Camera. Ma la speranza di una rapida normalizzazione non si realizzò, mentre lo svuotamento delle istituzioni parlamentari e l’avvio verso un sistema dittatoriale cominciarono subito con l’inquadramento delle camicie nere nella Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, vero esercito di partito messo direttamente “agli ordini del capo del governo” e con la creazione del Gran Consiglio del Fascismo destinato nel 1928 a diventare l’organo supremo che avrebbe coordinato e integrato tutte le attività del regime. Inoltre, la riforma elettorale del 1924, con la legge Acerbo che riduceva la rappresentanza delle forze di opposizione, non solo non mise a tacere le intimidazioni fasciste, ma accentuò le violenze e i brogli elettorali, che il deputato socialista Matteotti denunciò alla Camera, anche se l’atto coraggioso gli costò la vita ad opera di alcuni sicari fascisti. Nonostante lo sdegno dell’opinione pubblica e la reazione degli altri partiti che abbandonarono il Parlamento, Mussolini, con il discorso del 3 gennaio 1925, diede una svolta decisiva al regime dittatoriale. Furono varate le leggi fascistissime che consacrarono la nuova struttura e lo strapotere dello Stato. Croce, Giolitti e altri dovettero arrendersi all’evidenza. Ogni speranza legalitaria o di riporto alla legalità del fascismo cadeva. Essa moriva con la soppressione della libertà di stampa, le persecuzioni contro gli antifascisti, col ripristino della pena di morte, l’istituzione di un tribunale speciale per i reati politici, l’istituzione dell’ O.V.R.A. polizia politica segreta, e con l’attribuzione al potere esecutivo di emanare norme di legge. I normali meccanismi dello Stato di diritto e i fondamenti della libertà politica e della sovranità popolare vennero sovvertiti, mentre a cominciare dal 1926 nelle amministrazioni comunali alla procedura elettiva del sindaco e del consiglio venne sostituita la nomina governativa del podestà e della consulta, così da sconvolgere l’intero ordinamento centrale e periferico nel processo di fascistizzazione dello stato.
Il Parlamento risultò svuotato di ogni prerogativa e le elezioni(1929) vennero ridotte a semplici plebisciti di approvazione di una “lista unica” di deputati designati dal Gran Consiglio.
Il capo del governo, che era contemporaneamente duce del fascismo, prese a occupare il vertice della piramide politica, che simboleggiava l’ordinamento gerarchico del regime, con l’obbligo di rispondere solo al sovrano. Con le elezioni plebiscitarie del 1929 Mussolini poté contare su una Camera tutta composta da fascisti e il carattere totalitario del fascismo finì rapidamente per coinvolgere ogni settore della vite italiana.
Mussolini dovette subire, pur di mantenere il controllo, forti pressioni, non solo dai vecchi centri di potere, ma anche dai maggiori centri economici. La pianificazione economica varata dal conte Volpi, industriale e finanziere, chiamato al ministero delle finanze, fu causa di gravi difficoltà. I salari italiani, nel 1930, erano al penultimo posto in Europa, seguiti solo da quelli spagnoli. I salari dei contadini venivano sempre più compressi per consentire ai produttori di sopportare la concorrenza straniera favorita dall’alto corso della lira.
Il fascismo aveva autorizzato i proprietari agrari, come gli industriali, a rifarsi sui lavoratori e pubblicamente elogiava il sacrificio accettato.
L’organizzazione paramilitare della scuola, l’istituto dell’ Opera nazionale Balilla(O.N.B.) valse a monopolizzare, fin dalle prime classi elementari, il processo di formazione educativa de giovani secondo il principio del “credere, obbedire, combattere” , che tendeva a fare di ogni cittadino essenzialmente un “soldato” , pronto a rispondere agli ordini e fedele esecutore delle direttive imposte dall’alto.
Imbevuto di retorica, il fascismo creò una divisa per ogni italiano, dalla più tenera età fino alla maturità. Marciarono, sfilarono in ogni paese d’Italia, al grido “Viva il Duce!” figli della lupa, piccole italiane, balilla, avanguardisti, giovani fascisti e fasciste, donne e massaie rurali, salutando romanamente, battendo il passo romano.
Nella scuola fascistizzata, l’insegnamento travisò la storia. Nacque la scuola di mistica fascista. L’obbedienza al fascismo divenne un obbligo per gli stessi professori universitari, ai quali venne imposto il giuramento come condizione per poter mantenere la cattedra. Inoltre, dopo aver costretto la maggioranza degli oppositori a patire carcere e violenze o a trovare asilo politico all’estero, per meglio rafforzare la propria posizione interna, il regime fascista aveva trovato un accordo con la Chiesa cattolica, realizzando attraverso i Patti Lateranensi del 1929 la conciliazione fra lo Stato italiano e la Santa Sede, così da garantire a Mussolini l’appoggio delle più alte gerarchie ecclesiastiche. L’accordo non fu giudicato favorevolmente dai fascisti. Molti furono i malumori per il pesante riscatto imposto dalla Chiesa, ma quest’ultima, che pur vedeva il cattolicesimo riconosciuto come religione di Stato, accettava il divieto per i cattolici di organizzarsi in partiti politici. Ciò non impedì all’Azione Cattolica di svolgere la propria azione presso i giovani al di fuori dello spirito fascista, tant’è vero che nel 1931 il regime fascista accusò esplicitamente l’Azione Cattolica di sottrarre uomini e giovani alla disciplina fascista. Sembrò la rottura, ma si giunse al compromesso e il fascismo mantenne l’appoggio della Chiesa
L’ascesa del fascismo culminò nel 1936 con la conquista dell’Etiopia, la proclamazione dell’impero e la vittoria sulle sanzioni economiche proclamate da cinquantadue Stati della Società delle Nazioni che aveva condannato l’aggressione italiana in Africa. Furono sanzioni blande, cui non aderì la Germania. Mussolini, seguendo l’esempio di Hitler, promulgò le leggi razziali nel 1938- 39 segnando la prima vera scissione tra il Paese e il regime. Nel 1940 l’Italia, assolutamente impreparata, fu trascinata dalla Germania nel secondo conflitto mondiale e ciò determinò la progressiva caduta del fascismo.
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