Riccardo Bacchelli: il Manzoni del Novecento
27 Gennaio 20191984
27 Gennaio 2019
Tema svolto di Samuele Gaudio
Traccia
“Non tutti sono chiamati ad essere artisti nel senso specifico del termine. Secondo l’espressione della Genesi, tuttavia, ad ogni uomo è affidato il compito di essere artefice della propria vita: in un certo senso, egli deve farne un’opera d’arte, un capolavoro”. Commenta questa citazione tratta dalla “Lettera agli artisti” di Giovanni Paolo II alla luce della tua personale esperienza e del percorso scolastico svolto finora”
Svolgimento
In qualche modo penso che questa frase racchiuda in sé ed esemplifichi una parte di quello che ho vissuto, sperimentato e conosciuto durante il percorso di questi tre anni.
Innanzitutto bisogna capire che cosa significa, che cosa vuol dire che l’uomo deve essere artefice della propria vita. Per capirlo bisogna distinguere l’essere “creatore” e l’essere “artefice”. Il Papa si domanda nella stessa lettera:
«Qual è la differenza tra “creatore” e “artefice”? Chi crea dona l’essere stesso, trae qualcosa dal nulla, e questo, in senso stretto, è il modo di procedere soltanto dell’Onnipotente. L’artefice invece utilizza qualcosa di già esistente, a cui dà forma e significato. Questo modo di agire è peculiare all’uomo in quanto immagine di Dio.»
Per essere artefici della propria vita di conseguenza bisogna attingere, partire da qualcosa di preesistente, che noi abbiamo chiamato durante il percorso dello scorso e di questo anno “tradizione”.
Per costruire la propria vita come artefici bisogna considerare il dono della tradizione che abbiamo ricevuto e dargli “forma e significato”, non cioè limitandosi ad accettare questo dono così com’è, ma continuandolo, plasmandolo, arricchendolo in base a quello che viviamo noi.
Inoltre questa distinzione tra creatore e artefice si esprime nel confronto tra il Cantico delle creature di San Francesco e la Poesia del puro nulla di Guglielmo IX d’Aquitania. In questo confronto è emerso che il Cantico delle creature è un’invenzione, in quanto San Francesco, che ne è l’artefice, prende spunto dalla realtà. Egli usa la tradizione come strumento per esprimere un significato e tutta la forma e le parole della poesia sono ordinate in corrispondenza di quel significato (che in questo caso è che l’uomo è il fine, il verso della creazione). Invece la poesia di Guglielmo IX è una creazione, perché non prende spunto dalla tradizione e nasce dal nulla. Tuttavia, dato che l’uomo non è Dio, e che quindi non può creare l’essere dal nulla, questa poesia non potrà avere un significato e non potrà parlare che del nulla, come dice lo stesso titolo.
Di conseguenza per essere artefici della propria vita, e per far sì che non parli del nulla, bisogna partire dalla tradizione ricevuta. Ma non basta fermarsi ad accettare la tradizione. Come si può fare per arricchirla in modo che la mia vita parli di qualcosa, sia tesa ad un significato, come il Cantico delle creature di San Francesco? C’è bisogno di mettersi di fronte alla realtà con una condizione di apertura , con stupore; e chi può essere più sensibile alla realtà se non un artista?
Giovanni Paolo II dice, all’inizio di questa lettera , che lo stupore che prova un artista è come un riflesso, una percezione del sentimento che ha provato Dio quando ha guardato l’opera del creato.
Durante questi anni ho capito che la cosa che mi muove di più ad agire, non solo in un lavoro scolastico, ma in tutta la mia vita, è proprio lo stupore. E’ questa commozione che mi muove, che mi stimola. Se una persona è indifferente, ogni cosa gli scivola addosso senza segnarla minimamente. Essere indifferente, illudersi di essere autosufficiente (come gli ignavi), e non impegnarsi in nulla, fa sì che io non possa appassionarmi a qualcosa, fa in modo che io non possa crescere e cambiare, cosa che è un elemento fondamentale per me, soprattutto in questo periodo della mia vita.
E’quindi solo grazie allo stimolo dello stupore, alla sensibilità per la realtà, che secondo me caratterizza in particolar modo gli artisti, che una persona può cominciare a muoversi e ad agire essa stessa nel quotidiano, giudicando le esperienze che fa e sfruttandole per fare della propria vita un capolavoro. Ma come si può fare della propria vita un’opera bella, un capolavoro? La propria vita può diventare bella se è ricerca, se è tesa al bene ultimo.
Infatti il Papa dice: «la bellezza è in un certo senso l’espressione visibile del bene, come il bene è la condizione metafisica della bellezza».
Anche Platone dice la stessa cosa: « la potenza del Bene si è rifugiata nella natura del Bello».
In questi anni ho imparato ad osservare meglio la realtà e mi accorgo subito che essa è bella, ma questa sua bellezza non è fine a se stessa, poiché rimanda, tende a un significato più grande, è segno del Bene con la “B” maiuscola, cioè Dio, che è anche creatore ed è quindi inizio e fine di ogni cosa.
In Filosofia ho visto come anche i filosofi greci avevano capito che la realtà è segno, infatti pensavano, anche senza conoscere il vero Dio, che la realtà, la “physis”, tendesse a ritornare nel grembo della forza generatrice che l’aveva creata.
In conclusione, per essere artefici di una vita bella devo desiderare e ricercare, attraverso la conoscenza dei segni, la verità e i significati, ma soprattutto devo ricercare il Bene, perché, come dice Sant’Agostino: «la conoscenza della verità ha come scopo la conoscenza del bene»
di Samuele Gaudio