Guerra e pace di Lev Tolstoj
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10 Febbraio 2021Vittime della persecuzione nazista in provincia di Pavia
prof. Luigi Gaudio
Gli ebrei confinati a Belgioioso
BELGIOIOSO. Si è tenuta il 14 febbraio 2020 la posa delle pietre di inciampo per ricordare la famiglia polacca Sturm, internata a Belgioioso. In via Garibaldi era presente Gunter Demnig, l’artista tedesco che ha ideato il progetto. Ed era presente la figlia dell’unico sopravvissuto della famiglia Sturm, arrivata da Israele. Hanno partecipato anche alcuni rappresentanti della comunità ebraica di Milano.
L’iniziativa è stata curata dal Comitato provinciale “Pietre inciampo” con la sezione Anpi Belgioioso e Istituto storico della Resistenza ed è stata patrocinata da Comune e Provincia. Quattro le pietre posate per non dimenticare Isaak Henock Sturm, arrivato a Milano nel febbraio del 1936, insieme alla moglie, Pessla Hauser, e ai due figli Jakob Lazar e Alter Nissan. L’8 ottobre 1941 tutta la famiglia Sturm venne internata a Belgioioso dove rimase per tre anni, fino all’arresto. Isaak non sopravvisse alla Shoah.
«La pietra d’inciampo viene posta vicino all’abitazione, al luogo di studio o al luogo di lavoro della persona deportata, così da consentirne un ideale ritorno a casa e la restituzione del nome -afferma Annalisa Alessio, vicepresidente di Anpi -. E’ l’esatto contrario di un progetto “monumentale” , ma un sommesso invito a guardare per terra e a riscoprire nel tessuto urbano i nomi e le storie della deportazione. Siamo giunti alla terza edizione del progetto che colloca la nostra provincia all’interno di una mappa europea che disegna le tracce della deportazione». –
Stefania Prato, su La provincia pavese, 15 gennaio 2020
Guglielmo Barbò, il generale fedele al popolo italiano
Guglielmo Barbò Conte di Casalmorano (Milano, 11 agosto 1888 – Flossenbrg, 14 dicembre 1944) è stato un generale italiano veterano della prima guerra mondiale. Durante la seconda guerra mondiale partecipò, come comandante del 1º Reggimento “Nizza Cavalleria”, alla battaglia delle Alpi Occidentali, all’invasione della Jugoslavia, e alla campagna di Russia. Sul Fronte orientale fu comandante del Raggruppamento truppe a cavallo (RAC) del CSIR. Decorato con la Croce di Cavaliere dell’Ordine militare di Savoia due Medaglie d’argento e una Croce di guerra al valor militare, una Croce al merito di guerra e la Croce di Ferro di seconda classe..
Insomma era davvero un generale dell’esercito fedelissimo al suo dovere, perfettamente inserito nella gerarchia militare al tempo fascista, periodo in cui aveva dimostrato doti eccezionali di stratega e di militare fedele al re.
Dal 1º aprile 1943 divenne comandante della Scuola di Applicazione di Cavalleria di Pinerolo.
All’atto dell’armistizio dell’8 settembre 1943 avviò una trattativa con le autorità militari tedesche che si concluse il giorno 12 dello stesso mese, quando la Scuola passò sotto il comando tedesco ed egli con tutto il personale militare, fu caricato su un treno per essere internato in Germania, via Brennero, in quanto aveva rifiutato di aderire alla Repubblica Sociale Italiana. Nella stessa notte del 12 settembre riuscì a fuggire dal treno ed entrò nella resistenza piemontese, facendo riferimento all’avvocato liberale Luciamo Elmo.
Catturato il 16 agosto 1944 e trasferito nel carcere di San Vittore a Milano, fu portato poi a Bolzano da dove, il 5 settembre, fu inviato, quale “detenuto politico”, con il Trasporto 81 al campo di concentramento di Flossenbürg in Germania. A causa delle durissime condizioni di detenzione morì il 14 dicembre dello stesso anno
Anna Botto, una maestra che nasconde gli inglesi in casa sua
Anna Botto nasce il 31 dicembre 1895 ad Alessandria. E’ maestra per trent’anni in provincia di Pavia, e infine a Vigevano. Dopo l’8 settembre 1943 prende contatti con esponenti antifascisti, ospita nella propria casa, a Vigevano, in Via del Popolo alcuni militari inglesi fuggiti dai campi di prigionia.
Epitaffio per un antifascista ucciso
Giovedì 21 ottobre 1943: Anna Botto scrive l’epitaffio distribuito alle esequie in memoria di Giovanni Leoni, geometra comunale ucciso in rappresaglia per l’uccisione di un fascista:
Piombo tedesco
volle vittima di rappresaglia
Giovanni Leoni
Papà, ti gridano le figlie tue
sta’ a noi vicino
guidaci per mano
mitiga la nostra solitudine
Non abbia pace
chi ti consegnò al nemico.
La famiglia in pianto
gli amici straziati
Vigevano sconvolta
attendono l’ora inesorabile
della giustizia
che chiamerà il sacrificato
alla gloria dei forti
Anna Botto arrestata nel 1944
A più riprese arrestata e rilasciata sin dalla primavera del 1944, dalle Carceri giudiziarie di via Romagnosi a Pavia, dal momento che i fascisti non riescono a carpirle informazioni sulla resistenza, viene infine trasferita a San Vittore il 31 agosto 1944
Anna Botto trasferita a Bolzano
e poi in Germania
Il 20 settembre 1944 in camion la quarantottenne Anna viene trasportata dalle carceri milanesi di S. Vittore al campo di concentramento di Bolzano di via Resia.
Il 7 ottobre 1944 viene deportata verso la Germania. : gli uomini vengono diretti con il trasporto n° 90 a Dachau, le donne con il trasporto n° 91 a Ravensbrck.
A Ravensbrck
Al mattino di giovedì 12 ottobre 1944 Anna Botto,
con le altre deportate appena giunte con il treno
sono per prima cosa avviate in un “block” . Racconta Maria Luisa Canera: “Qui, spogliate di ogni nostro indumento, dovevamo sfilar nude davanti a un gruppo di sedicenti medici. […] Il procedimento più umiliante è la rasatura praticato a una percentuale di cinque o sei deportate su dieci. […] A tutte viene attribuita nuova identità: per le politiche italiane il triangolo rosso con la scritta IT e il numero progressivo d’ingresso al campo.”
Uccisa poco prima della liberazione
Rosa Gaiaschi, compagna di prigionia, racconta: “Quando ormai non ero più a Ravensbrück ho chiesto di lei, mi hanno detto che il blocco delle invalide, delle pazze, era stato distrutto col lanciafiamme” .
Alcuni superstiti hanno testimoniato che nell’aprile 1945, poco prima della liberazione, gruppi di SS incendiano coi lanciafiamme il blocco ove Anna si trova e che nessuno si salva.
A Vigevano una via e una scuola intitolatele
Teresio Olivelli, il ribelle cattolico
Nato nel 1916, a 22 anni si laureò a Pavia in giurisprudenza.
Nel febbraio del 1941 si arruolò volontario e fu inviato in Russia. Durante la terribile ritirata guidò il ritorno degli uomini della 31ª batteria della “Tridentina” .
Nel 1943, a soli 27 anni, al rientro dalla Russia, fu nominato rettore dell’Istituto “Ghisleri” di Pavia.
Il 9 settembre 1943 fu catturato a Vipiteno e rinchiuso in campo di prigionia a Innsbruck, evadendo ben tre volte. Riuscì a raggiungere l’Italia e si unì ai partigiani lombardi.
Fondò e diresse il giornale “Il Ribelle” in cui firmò il manifesto della rivolta morale contro il fascismo, e scrisse la “Preghiera del Ribelle” , il più alto momento spirituale della Resistenza.
Fu arrestato a Milano il 27 aprile 1944, subì pestaggi e torture a San Vittore e fu trasferito al campo di Hersbruck. Nonostante le condizioni disumane, non perse mai la sua dignità; ovunque si prestò all’assistenza spirituale e materiale donando le proprie razioni alimentari, proteggendo e soccorrendo i compagni di prigionia, mettendo a disposizione le proprie conoscenze e capacità per alleviare la loro detenzione.
Morì il 17 gennaio 1945 per le conseguenze di un feroce pestaggio. Avvertendo vicina la morte, chiamò un compagno che spasimava dal freddo e gli donò i suoi vestiti.
Nel 1953 gli è stata conferita la Medaglia d’Oro al Valor Militare e nella motivazione si legge: “… Dopo lunghi mesi di inaudita sofferenza trovava ancora, nella sua generosità, la forza di slanciarsi in difesa di un compagno di prigionia bestialmente percosso da un aguzzino. Gli faceva scudo con il proprio corpo e moriva sotto i colpi. Nobile esempio di fedeltà, di umanità, di dedizione alla Patria” .
Nel 1987 si è aperto il processo per la sua beatificazione.